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 2013  gennaio 30 Mercoledì calendario

LA BIBLIOTECA DEPREDATA E LE AMICIZIE DI DELL’UTRI

«Io non c’entro assolutamente niente», ha giurato Marcello Dell’Utri a chi gli chiedeva del suo coinvolgimento come indagato per concorso in peculato nell’inchiesta sullo sconvolgente saccheggio della biblioteca dei Girolamini di Napoli. Sarà...
Ferma restando la sua piena e cristallina innocenza fino al primo, al secondo, al terzo e chissà forse al quarto grado di giudizio se deciderà di ricorrere poi anche alla corte di giustizia europea e magari, perché no?, a qualche tribunale dell’Onu, il senatore deve tuttavia ammettere che, come minimo, se l’è andata a cercare.
Fu lui, che come è noto è un bibliofilo incallito, a raccomandare Massimo Marino De Caro, il direttore della biblioteca dei Girolamini che ha confessato finora il furto di oltre 4.000 volumi antichi, all’amico Giancarlo Galan. Il quale ha confidato al «Corriere del Veneto»: «Me lo aveva presentato un uomo al quale devo tutto nella vita: Marcello Dell’Utri. (...) Ammetto le mie colpe. Al suo curriculum non ho dato grande peso. Non ho verificato quanto c’era scritto. Non so se avesse i titoli per quell’incarico (...) Di libri sinceramente non ne capisco niente. E poi lui nel suo curriculum aveva scritto che insegnava a dei master a Buenos Aires e a Verona...».
Fu ancora lui, Marcello dell’Utri, a volerlo alla segreteria organizzativa del movimento «Il Buongoverno» del quale è il presidente nazionale onorario.
E sempre lui avrebbe suggerito ai senatori del Pdl Elio Massimo Palmizio e Salvatore Piscitelli (che de «Il Buongoverno» era il segretario) di presentare una stupefacente interrogazione parlamentare che invece che prendersela col direttore ladrone approvato dal ministero se la prendeva con quelli che per primi avevano denunciato lo scandalo, gli storici dell’arte Tomaso Montanari e Francesco Caglioti, si lagnava col ministro dell’istruzione perché i due docenti si erano «resi autori di una violentissima campagna denigratoria volta a screditare la nomina del dottor Marino Massimo De Caro quale direttore della biblioteca dei Girolamini» e chiedeva se quei due professori avessero il diritto di promuovere «una petizione via web (...) al fine di conseguire sostanzialmente «l’allontanamento» del dottor De Caro e l’istituzione di una commissione d’inchiesta sull’amministrazione, passata e recente, della biblioteca».
Dopo di che pretendevano che il ministro spiegasse se «quanto posto in essere dai prof. Montanari e Caglioti si riconduca allo svolgimento delle normali attività accademiche loro imposte dalla legge e se — soprattutto — non rischi di gettare discredito sulle istituzioni accademiche, anche in considerazione dei rilevanti profili diffamatori presenti nei testi a firma dei citati professori».
Di più: ancora lui, il senatore palermitano, fu benedetto da alcuni regali di Massimo Marino De Caro. Vogliamo rileggere la sconcertante intercettazione del 22 febbraio scorso pubblicata dalla «Corriere del Mezzogiorno»? «Quel giorno Dell’Utri si trova a Madrid. De Caro, che gli dà del lei, gli propone un "baratto-ricatto". Il senatore, interessato, chiede a De Caro, al quale si rivolge con il tu, "cosa c’è di buono" a Napoli. L’allora direttore della biblioteca spiega: "Perché io barattavo due prime edizioni di Vico, se le mancano, per due inviti a pranzo". Dell’Utri replica: "Anche tre ti faccio". De Caro è più esplicito: "No, le ho trovato, dottore, il De rebus gestis di Antonio Carafa (opera di Giambattista Vico, ndr), che è uno dei più rari". Cade la linea, ma di lì a poco i due tornano a parlare: "Le dicevo — ripete De Caro — che le ho trovato il De rebus gestis di Antonio Carafa". Dell’Utri: "Del Carafa, sì, che non ce lo abbiamo"».
Certo è che il senatore siciliano, il quale da anni si lamenta d’essere vittima di una gigantesca macchinazione giudiziaria, dopo avere spiegato un giorno a «Lo Specchio» di essere un raffinato intenditore («Il rapporto con libri comprende tutti i sensi. Dall’odore si può riconoscere pure il secolo di un libro, basta pensare alla spugna, alla cera che si passa, all’odore della polvere che si crea. E poi la vista: i dorsi con le incisioni in oro, i fregi particolari, la vista d’una biblioteca antica: come trovarsi di fronte a un monumento. Il tatto: la pergamena, il marocchino, il vitellino inglese, la carta vellutata, filigranata, giapponese...») non riconobbe, secondo la magistratura, la puzza di undici pezzi (poi restituiti) rubati dal suo amico Massimo Marino De Caro. Di cui tre preziosissimi.
Vale a dire una rarissima «legatura» di Demetrio Canevari (che non dice molto ai profani ma vale una fortuna), una edizione preziosissima del Momo, o del principe di Leon Battista Alberti e appunto una del De rebus gesti di Giambattista Vico.
Per carità, Marcello dell’Utri sarà anche «sfortunato» nelle sue amicizie. Ma certo...
Gian Antonio Stella