Francesco Bonami, La Stampa 30/01/2013, 30 gennaio 2013
QUASI QUASI MI VENDO UNO SCHIELE
[Per riacquistare il ritratto di Wally simbolo dell’istituzione, il Leopold di Vienna mette all’asta tre disegni dello stesso autore Ma non sempre un museo può farlo] –
Quando la cultura è in bolletta, come nel caso dell’Italia, ma non solo, ci si abbandona alle idee più strampalate per far quadrare i conti e trovare i fondi necessari per restaurare monumenti e tenere aperte le porte dei musei . C’è quello che metterebbe una tassa extra sui salumi da devolvere ai restauri archeologici, l’altro che invoca i privati, quello che minaccia di chiudere tutto dagli Uffizi a Brera e chi invece insiste perché si vendano i capolavori tenuti in cantina. Cosi ecco che appena arriva la notizia di un museo che vende un suo gioiello tutti si buttano a pesce sperando che l’esempio possa essere anche la soluzione dei nostri guai. Ci buttiamo a pesce senza sapere però quanto è profonda l’acqua. Nel caso recente del Leopold Museum di Vienna, che venderà in asta da Sotheby’s il 5 febbraio tre disegni di Schiele, l’esempio è cosi bizzarro che serve a poco. Infatti il Leopold, che contiene la fantastica raccolta di Klimt e Schiele del collezionista Rudolf Leopold, venduta al governo austriaco ad un terzo del suo valore a patto che fosse creata una fondazione ad hoc, vende i Schiele, a Londra, non per pagare la bolletta della luce o gli stipendi dei custodi ma paradossalmente per pagare un’altro Schiele il Ritratto di Wally , simbolo del Museo. Ohibò! Perché mai una cosa del genere. Perché pare che questa Wally fosse finita nella collezione Leopold dopo essere stata «rubata» dai nazisti ai legittimi proprietari, i quali però, quando nel 1998 l’opera arrivò a New York al Moma per una grande mostra di Schiele, la fecero confiscare basandosi sul National Stolen Property Act, la legge che si occupa di rendere ai proprietari le cose rubate durante una guerra o una dittatura. Dopo una lunga battaglia legale gli eredi dei proprietari hanno ottenuto giustizia e al Leopold non è restato altro che mettersi d’accordo per tenersi il suo capolavoro pagando 19 milioni di dollari, cifra che il museo non aveva e per la quale è adesso costretto a vendere altre opere di Schiele importanti ma meno importanti dell’altra. La storia quindi pur essendo molto interessante ma non servirà al nuovo ministro della cultura italiano. A meno che non sbuchino fuori gli eredi greci dei proprietari dei Bronzi di Riace chiedendo che le due sculture tornino a casa. Nel qual caso allora si dovrà pensare a una qualche legge che consenta quello che oggi non è possibile, la vendita dei nostri beni culturali.
La domanda però è un’altra. Potrebbe essere concepibile variare la nostra legislazione dando ai musei la possibilità di disfarsi di opere minori in modo da raccogliere fondi per scopi maggiori ? L’idea è affascinate ma pericolosissima. Nel caso una legge del genere, dovesse mai venir approvata, dovrebbe avere dei paletti e dei controlli tali da non poter nemmeno far correre il rischio che un direttore di un museo si metta a vendere opere minori della sua collezione solo per ripianare qualche debito o per pagarsi la carta igenica delle toilette.
Negli altri paesi che succede ? In Europa per la maggior parte dei casi è come in Italia. Il patrimonio non si vende, magari si affitta. Anche in Austria è la stessa cosa solo che il Leopold essendo una fondazione privata non ha gli stessi obblighi di un museo statale. In America esiste il «deaccessioning» ovvero la vendita di opere della collezione, dopo un vaglio severissimo di una commissione e dei curatori del museo. Si vende però solo per comprare altre opere per la stessa collezione. Lo ha fatto il Guggenheim vendendo un paio dei tantissimi Kandisky che ha, lo hanno fatto tanti altri musei. Da noi sarebbe difficile una regola del genere. La questione, infatti, non è tanto cosa vendere ma piuttosto cosa comprare. Che può comprare un museo come gli Uffizi ? Ma più che altro quello che potrebbe mancargli è sicuramente in qualche altro importante museo del mondo che a sua volta non si priverà mai dei suoi importanti tesori. Tuttavia l’istituzione di un fondo dedicato a possibili acquisizioni, creato da vendite di opere minori, non è un idea fantascientifica anche se molto complicata da mettere in pratica. Meno complicato sarebbe stimolare i collezionisti privati, a donare i loro capolavori. Lo stimolo chiaramente deve essere fiscale ma anche deve esistere una sistema di garanzie che tutelino l’oggetto donato, mostrandolo al pubblico e non scaraventandolo in un magazzino. Garanzie e tutele, nel caso, dovrebbero averle anche i musei. Sarebbe imbarazzante che si facesse una legge per poi consentire al politico di turno, amico del direttore del museo, cugino del sindaco, di sbarazzarsi delle croste del nonno piazzandole nelle sale della pinacoteca comunale deducendo il valore probabilmente immenso, dalla propria dichiarazione dei redditi.