Mattia Feltri, La Stampa 30/01/2013, 30 gennaio 2013
IL “PROFESSOR PRINCIPE” E LA FIDANZATA UCRAINA ALL’ASSALTO DEL TESORO
[Il direttore incastrato da due custodi precari, poi premiati da Napolitano] –
Quando, a fine maggio del 2011, il professor principe Marino Massimo De Caro entrò nella biblioteca Girolamini di Napoli, capì che era il paese della cuccagna. Il professor principe (che professore non era, perché non aveva mai insegnato a Verona, come diceva, né si era laureato a Siena e nemmeno era principe di Lampedusa, come si vantava) spalancò gli occhi e disse al conservatore della biblioteca, padre Sandro Marsano, che il sogno sarebbe stato di vivere lì. Ispezionò le sale, esaminò lo stato dei dorsi, gettò occhiate chirurgiche agli scaffali e sentenziò: «Qui è meraviglioso, ma è tutto infestato di tarli, un disastro».
Il professor principe si offrì per assumere il gravosissimo incarico di direttore e padre Marsano, grato, accettò. Del resto il professor principe era così titolato e così referenziato...
Marino Massimo De Caro, nato a Bari quarant’anni fa, è sodale del senatore Marcello Dell’Utri, ha eccellenti contatti col giro di Massimo D’Alema, frequenta il gruppo di Coesione nazionale, fondato nel dicembre 2010 per salvare il governo di Silvio Berlusconi. Dell’Utri lo presenta a Giancarlo Galan, ministro dell’Agricoltura, dove De Caro viene messo alla prova: si occupa di fotovoltaico e benone, grazie alle conoscenze del settore energetico e di qualche oligarca russo. Galan lo vuole anche al ministero della Cultura, perché ha passione e competenze. Il professor principe si intende di volumi rari, ha una libreria a Verona ed è membro dell’Associazione Librerie Antiquarie. Gira l’Italia e ne visita i tesori. All’abbazia di Monte Cassino ruba un libro di Galileo e due incunaboli. Alla biblioteca di Padova prende dei manoscritti. Alla Biblioteca Nazionale di Napoli vede il Siderus Nuncius di Galileo, se ne procura un fac simile, torna, sostituisce l’originale e lo intasca. Sgraffigna ovunque. A Firenze dai Padri Scolopi, dalla biblioteca del ministero. Ma è alla Girolamini che gli manca in fiato. Padre Marsano lo nomina direttore e avverte il ministero (ma non Galan, che non ne sa niente). Dal primo di giugno, il professor principe è un uomo fortunato.
Mancano libri, gli inventari sono lacunosi, le cure urgenti. De Caro fa chiudere la biblioteca e allontana i bibliotecari. Raduna il suo staff: l’ex guardia del corpo argentina, Alejandro Cabello, la fidanzata ucraina, bellissima bionda e gigantesca, Victoriya Pavlovski, il vecchio socio, Maurizio Bifolco, e un’altra mezza dozzina di personaggi clamorosamente improbabili. E comincia il più spettacolare e devastante saccheggio di libri rari, antichi e preziosi che mente umana ricordi.
Il gruppo lavora giorno e notte, a ritmi folli. I libri vengono spostati, selezionati, impilati. Se ne riempiono sacchi, cesti di vimini. Scatoloni con edizioni del Cinquecento e Seicento di Copernico, Tommaso d’Aquino, Keplero e Cicerone sono caricati su furgoni e portati in stanze d’albergo, garage alla periferia di Napoli, pure nel tinello di zia Angiolina, parente di uno della banda. Si sale sugli scaffali più alti e, per risparmiare fatica, si lasciano cadere i volumi da dieciquindici metri di altezza, e di piatto, ché se atterrano di taglio si distruggono. Li si nasconde nei bagni che vengono chiusi a chiave.
Piergianni e Mariarosaria Berardi sono due fratelli sulla sessantina. Sono custodi precari. I rumori e i movimenti non li convincono. Anche perché padre Marsano, che per i pm sa ciò che succede, ha fatto staccare allarmi e telecamere e autorizzato il professor principe di entrare ovunque, a qualsiasi ora, per qualsiasi motivo. Mariarosaria trattiene la chiave della Sala F, coi cataloghi e i manoscritti più belli. Ma la obbligano a consegnarla alla totale disposizione del direttore. I due ora sospettano. Piergianni riesce a far riattivare il circuito video per qualche giorno, lo devia sul suo computer e registra la razzia.
Nel frattempo sono state rubate migliaia di tomi, incunaboli, memoriae. Un restauratore cancella i segni di riconoscimento e il materiale va in tutto il mondo, nelle librerie, nelle case d’asta, da collezionisti privati, per un sacco di soldi. Una decina abbondante di libri va anche a Dell’Utri, che si dichiara stupefatto e restituisce il bottino, compresa una legatura cinquecentesca del Canevari, capolavoro assoluto di cui esistono cinquanta copie al mondo. Non restituisce, però, e per ragioni ignote, una copia dell’Utopia di Tommaso Moro,
Il resto si sa. Il professor Tomaso Montanari di Firenze riesce a entrare alla Girolamini e trova la distruzione. Pagine a terra, volumi sfasciati, lerciume, scaffali ripuliti, una brandina matrimoniale e materassi per i momenti di raro riposo. Montanari ne scrive sul Fatto . Parte l’inchiesta. I fratelli Berardi portano in Procura i video conservati sul pc. Per la banda è la fine. La Girolamini non sarà mai più quella di prima. A Natale la visita il presidente Giorgio Napolitano. Lo guidano Piergianni e Mariarosa, i custodi precari che si sono reinventati 007, e che settimana scorsa sono stati insigniti dell’onorificenza di Cavalieri al merito della Repubblica.