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 2013  gennaio 30 Mercoledì calendario

CRISI, LA GEOGRAFIA DELL’OTTIMISMO

NEW YORK
L’INDICE Dow Jones è a un soffio dai 14.000 punti, lo Standard & Poor’s 500 ha oltrepassato quota 1.500. Il più rappresentativo che è l’indice Wilshire 5000 (include anche le piccole e medie imprese) ha già fatto il botto. Cioè il record storico: non solo il livello più elevato dopo la crisi, ma il massimo di tutti i tempi.
E LA geografia dell’ottimismo non abbraccia solo America e Asia, ora lambisce perfino l’Europa più fragile. La fiducia degli investitori ha riversato alla fine del 2012 ben 100 miliardi di euro nei Piigs: iniziali di Portogallo Italia Irlanda Grecia e Spagna. Quell’acronimo infamante, che nelle fasi più acute della crisi era diventato sinonimo del rischio-default, adesso si trasforma nel suo opposto: un’opportunità per i capitali in cerca di alti rendimenti.
In America un grosso investitore, Robert Turner che dirige l’omonimo fondo d’investimento, parla di “esuberanza razionale”. Cioè ottimismo fondato sui fatti, l’opposto di una bolla speculativa. (Il termine “esuberanza irrazionale” fu usato invece da Alan Greenspan quando era il presidente della Federal Reserve per descrivere la febbre della New Economy). In Europa Mario Draghi ha coniato l’immagine del “contagio positivo”. Uno dei dirigenti della JP Morgan Chase, che è la più grande banca americana, ha confermato sul Financial Times che l’ondata di capitali investiti nei bond italiani, spagnoli, portoghesi e greci, è un fenomeno significativo perché per la prima volta dall’inizio della crisi non è “riciclaggio” di denaro prestato dalla banca centrale. «Questi sono investitori che vengono da fuori, non europei, attratti da una rinnovata fiducia nel progetto dell’eurozona», sostiene Carl Norrey che dirige il trading europeo alla JP Morgan.
Quando i sentimenti si radicano nei mercati, possono avere una forza di trascinamento formidabile. “Momentum”, è l’espressione tratta dalla fisica, e usata spesso nella finanza: dà l’idea di una spinta forte, che può andare avanti a lungo. Nelle fasi di panico acuto — l’ultimo esempio furono le convulsioni da default alla periferia dell’euro — sembrava che nulla potesse invertire la spirale della paura. Ora pare quasi vero il contrario. Ieri le Borse Usa hanno ignorato una brutta notizia, la caduta della fiducia dei consumatori.
Un indicatore dell’ottimismo dilagante è la risalita dei tassi d’interesse sui buoni del Tesoro più solidi del mondo. Cioè i Treasury Bond americani e i Bund tedeschi. I buoni decennali in America hanno visto crescere il rendimento al 2% all’inizio di questa settimana, e anche l’interesse sui Bund tedeschi è in rialzo. Questo è un segnale forte. Quando sui mercati imperversava la paura, Treasury Bond e Bund erano un bene-rifugio. I capitali affluivano alle aste, facevano salire i prezzi di quei titoli pubblici, e di converso schiacciavano i rendimenti sempre più giù, in certi casi addirittura sotto lo zero. E’ quel che accade quando nel panico la gente mette i contanti sotto il materasso, o per sentirsi più al sicuro li affida a una banca nella cassetta di sicurezza e paga un affitto per quel servizio. Ora quella psicologia da panico si è dileguata. I beni rifugio vengono trascurati a vantaggio dei titoli che rendono tanto: ecco perché i capitali affluiscono verso Btp italiani e spagnoli. Per la stessa ragione i Bund tedeschi vedono ridursi quella fantastica rendita di posizione che aveva consentito alla Germania di autofinanziarsi a tasso zero (lucrando sulle disgrazie altrui). Un segnale analogo viene dall’indice Vix precipitato ai minimi. Il Vix misura la “volatilità” che è legata anch’essa alla paura. Ebbene, siamo tornati ai minimi dal 2007.
I fautori della “esuberanza razionale” indicano tre cause fondamentali dietro questa svolta nell’atmosfera globale. La prima sta in America, dove con la vittoria di Barack Obama si è risolto anche il “precipizio fiscale”, è stata scongiurata una crisi di bilancio e la cessazione dei pagamenti del governo federale (accordo di capodanno tra Obama e il Congresso). La seconda viene dalla Cina, è la fine del rallentamento nella seconda economia più grossa del mondo. La terza è nel comportamento delle banche centrali. La Federal Reserve per prima, poi seguita da Bce, Banca del Giappone e dalle consorelle inglese, svizzera, indiana, stanno tutte applicando una politica monetaria eccezionalmente generosa.
Negli Stati Uniti, al ruolo anomalo della banca centrale (un iperattivismo che non ha precedenti neppure nella Grande Depressione) si accompagnano motivi di fiducia radicati nell’economia reale. L’anno 2012 si è concluso con una netta ripresa degli investimenti industriali in macchinari, impianti, tecnologie (+4,6% solo a dicembre). Il mercato immobiliare è ormai in netta ripresa da molti mesi. Uno studio della Goldman Sachs (la stessa che vide arrivare in anticipo, nel 2001, il club delle potenze emergenti rappresentato dai Bric) evoca addirittura un Nuovo Secolo Americano. Attribuisce la ripresa Usa a fattori di lungo periodo, strutturali. L’autosufficienza energetica. La crescita demografica positiva che ringiovanisce la forza lavoro grazie agli immigrati. Su questo fronte i segni d’intesa bipartisan tra Obama e il Congresso per una riforma ancora più liberale dell’immigrazione, sono anch’essi positivi. Infine, ben 23 Stati Usa hanno alzato il salario minimo garantito. E questa è forse la notizia più incoraggiante: se la fine della crisi dovesse accompagnarsi a una riduzione delle diseguaglianze, la crescita potrebbe ripartire su basi più sane e sostenibili. O resilienti, come si dice adesso.