Claudio Gregori, La Gazzetta dello sport 30/1/2013, 30 gennaio 2013
Anche l’archeologia sportiva regala tesori. Ecco affiorare 5 lettere inedite del barone Pierre de Coubertin al conte Alberto Bonacossa
Anche l’archeologia sportiva regala tesori. Ecco affiorare 5 lettere inedite del barone Pierre de Coubertin al conte Alberto Bonacossa. De Coubertin è il fondatore dei moderni Giochi Olimpici. Bonacossa è il grande dirigente sportivo, per oltre vent’anni proprietario della Gazzetta dello Sport, scomparso esattamente 60 anni fa. Quattro delle lettere sono state scritte nel 1936, l’anno cruciale dei Giochi di Berlino. Questi documenti, ritrovati da Gianni Galeotti, dell’Unione Italiana Collezionisti Olimpici Sportivi, sono per certi aspetti straordinari, sia perché mostrano la stima di de Coubertin per l’Italia, per Roma e per Bonacossa, sia perché rivelano lo strazio del tramonto del fondatore di Giochi, angustiato da problemi di famiglia, di salute e anche economici. «Ho poco tempo davanti a me e bisogna impiegarlo bene», scrive de Coubertin nella lettera del 27 aprile 1936. Confida a Bonacossa che «l’artrite secca che si è installata in me ha fatto progressi e compromesso la mia attività fisica» e gli chiede, per la figlia, afflitta da depressione, di trovarle in Italia «un posto che sia insieme di luce e di storia dove si stacchi dalle sue fissazioni, dal delirio di persecuzione». Ipotizza Pompei, Rapallo, Bergamo. Confidenze Bonacossa è il caro amico, con cui si confida. Era entrato nel Cio il 26 maggio 1925, a Praga, due giorni prima che de Coubertin lasciasse la presidenza. Il 28, infatti, fu eletto il conte Henri de Baillet-Latour e de Coubertin divenne Presidente Onorario dei Giochi Olimpici a vita. Ma, come testimonia la lettera del 7 luglio 1924, inviata a Bonacossa al Grand Hotel di Parigi, i due si conoscevano già. Bonacossa, che aveva partecipato come tennista ai Giochi di Anversa (1920) nel singolo, eliminato al primo turno dallo svedese von Braun, era appunto tra gli «invitati speciali» nella seduta del Cio di Parigi il 9 luglio 1924. Nel 1935 era entrato nell’Esecutivo del CiO. Era così stimato, che, nella lettera del 26 giugno 1936, de Coubertin lo vede come successore di Baillet de LaTour come presidente. In questa lettera de Coubertin sostiene che, nel caso in cui i Giochi del 1940 non avessero luogo in Asia, sarebbe stato opportuno farli a Roma o a Milano. Nel ricordo luminoso del congresso Cio del 1923 in Campidoglio e della visita alla Farnesina, vede Roma anche come sacrario delle sue memorie. In cinquant’anni ha accumulato un’enorme quantità di documenti, testi, progetti sull’educazione e formazione sportiva, sulla storia. Aveva sperato di creare un centro di studi a Losanna, ma, si sfoga con Bonacossa «Io sono compreso meglio ad Haiti o in Guatemala che nel mio stesso Paese». Sogno italiano Vede l’Italia e Roma come luogo ideale. Il 27 aprile 1936 scrive «Il Duce è stato così gentile da dare l’approvazione. Si tratta ora di compiere quest’opera». Chiede una squadra, «formata da 10 a 20 giovani (maschi)», militari o civili, «che sappiano il francese così bene da seguire l’insegnamento, colti abbastanza da cogliere gli aspetti storici e filosofici, di spirito aperto e ardente». «Non voglio essere pagato», precisa. «Faccio questo col cuore, non per soldi». Ma dice: «D’altra parte non sono più nella situazione di 10 anni fa, essendo stato progressivamente rovinato dalla guerra e dopo da catastrofi finanziarie africane e sudamericane. Desidero quindi che tutte le spese supplementari mi siano evitate e vitto e alloggio assicurati durante il soggiorno». «Vorrei sapere se, disponendo del breve tempo che mi resta, io potrò trasportare a Roma la mia eredità intellettuale e filosofica con il deposito dei miei manoscritti, perché ritengo che là solamente si sapranno farli fruttificare dopo di me». Nell’ultima lettera, del 12 agosto, indirizzata a Bonacossa a Berlino all’Hotel Adlon, dove alloggiavano i membri del Cio durante i Giochi, de Coubertin, scrive «Contate che metterò ciò che mi rimane di testardaggine nel mio cervello testardo al servizio dello sforzo romano e che, se occorre, mi aggrapperò con le unghie alla vita per riuscirci. Ditemi se possiamo incontrarci subito dopo i Giochi». Il Duce, impegnato a fare l’Impero e l’asse Roma-Berlino, a «difendere la razza» e sostenere Franco, non ha fretta. Il 2 settembre 1937 de Coubertin muore senza aver realizzato il suo sogno. Il 25 marzo 1938 il suo cuore viene sepolto ad Olimpia. E, il 1° settembre 1939, esplode la Seconda Guerra Mondiale. Devastante e fatale. RIPRODUZIONE RISERVATA