Aldo Grasso, Corriere della Sera 30/01/2013r, 30 gennaio 2013
Non potrei mai perdonarmi di non aver segnalato il più bel programma culturale che mi sia capitato di veder negli ultimi tempi
Non potrei mai perdonarmi di non aver segnalato il più bel programma culturale che mi sia capitato di veder negli ultimi tempi. Sto parlando di «Federico Buffa racconta Arpad Weisz», trasmesso a rotazione da Sky Sport per celebrare il giorno della memoria. Fino a poco tempo fa, di Weisz, nato a Solt il 16 aprile 1896, s’erano perse le tracce: era stato allenatore, dalla fine degli anni ’20 in poi, di Inter (allora Ambrosiana) e Bologna, alle quali aveva fatto vincere ben tre scudetti e altri prestigiosi tornei; si precisava che era un ebreo ungherese, deportato e ucciso dai nazisti. Federico Buffa ha dato voce e volto alla sua incredibile storia, passata quasi inosservata prima che Matteo Marani decidesse di raccontarla in un libro, Dallo scudetto ad Auschwitz. Ungherese, buon calciatore di scuola danubiana, ottimo allenatore, quasi un precursore nell’attenzione scientifica che mette nella sua professione. In Italia è a Milano (abitava in Corso Italia, vicino al palazzo che ora ospita il Touring e all’epoca era la sede della prima radio italiana) e a Bologna. Scopre Giuseppe Meazza, a Bologna inventa lo squadrone che «tremare il mondo fa». Poi le leggi razziali di Mussolini, un lungo peregrinare per l’Europa, fino ad Auschwitz. Buffa è un narratore straordinario, capace di fare vera cultura, cioè di stabilire collegamenti, creare connessioni, aprire digressioni. Ne esce un ritratto vivido, febbrile, commovente, non solo di Arpad Weisz, ma della storia del calcio, delle tattiche di gioco, della letteratura, della politica, della musica. Ecco, questo è raccontare lo sport, dare senso ad avvenimenti che apparentemente non ne hanno, osservare il lato notturno della storia che ancora avvolge il mondo in una nebbia opaca. P.S. Un solo piccolo appunto: Buffa si mesce Tokaj da una bottiglia con tappo filettato!