Sergio Romano, Corriere della Sera 30/01/2013r, 30 gennaio 2013
Durante la mia lunga carriera di direttore d’albergo ho avuto spesso come cliente Raffaele Guariglia
Durante la mia lunga carriera di direttore d’albergo ho avuto spesso come cliente Raffaele Guariglia. Era stato ambasciatore del Regno d’Italia in numerosi Paesi e ministro degli Esteri del governo Badoglio. Con lui ho trascorso alcune serate durante le quali mi raccontava episodi molto interessanti della sua vita. Ricordo, però, che serbava ancora una certa rabbia per il pessimo trattamento ricevuto dalle autorità francesi dal 10 Giugno 1940 quando l’Italia dichiarò guerra alla Francia, dove era allora ambasciatore, In particolare mi parlava delle difficoltà che ebbe con il convoglio del treno diplomatico che lo portò da Parigi alla Svizzera dove giunse dopo ben 5 giorni di vicissitudini di vario genere. Mi chiedo come fecero i consoli italiani, sparsi in vari punti della «nemica» Francia, a rientrare in patria. Vincenzo Balbis vincenzo.balbis@ gmail.com Caro Balbis, L a fortunosa partenza di Guariglia e altri italiani da Parigi nella notte fra il 12 e il 13 giugno 1940 fu raccontata dallo stesso protagonista in un rapporto al ministro degli Esteri Ciano sotto la data del 25 giugno. Per dimostrare la «cattiveria» dei francesi il rapporto fu pubblicato dal ministero della Cultura popolare ed è comunque interamente riprodotto nei Ricordi di Raffaele Guariglia apparsi anche in Francia nel 1955 con il titolo La diplomatie difficile. Mémoires 1922-1946. Era appena terminato il discorso con cui Mussolini, dal balcone di palazzo Venezia, aveva annunciato l’ingresso dell’Italia in guerra, quando la via di fronte all’ambasciata si riempi d’italiani che vi cercavano asilo e di poliziotti francesi che ne impedivano l’accesso. Nei giorni precedenti, mentre la rottura dei rapporti diplomatici era ormai nell’aria, vi erano stati contatti informali fra diplomatici dei due Paesi al Quai d’Orsay (il palazzo del ministero degli Esteri francese) per decidere quando, come e con quali mezzi, se necessario, i funzionari italiani in Francia e i funzionari francesi in Italia sarebbero stati trasportati e scambiati in Svizzera. Ma quando il consigliere italiano dell’emigrazione andò al Quai d’Orsay, la mattina del 10, per chiarire alcuni particolari rimasti in sospeso, dovette attraversare a fatica un cortile pieno di documenti da bruciare e casse da trasportare. Di fronte all’impetuosa avanzata tedesca (la Wehrmacht entrò a Parigi la mattina del 14 giugno), anche la diplomazia francese era costretta a fare bagagli per trasferirsi a Bordeaux. L’attesa, in una ambasciata circondata dalla polizia, durò sino alla mezzanotte del 12 giugno quando Guariglia e i suoi collaboratori, con alcuni consoli e un piccolo gruppo d’italiani a cui era stato concesso di lasciare la Francia, vennero imbarcati alla Gare de Lyon su un treno speciale che raccolse altri consoli italiani a Digione e giunse a Bellegarde, nei pressi della frontiera svizzera, alle prime ore del giorno dopo. Vi furono altre discussioni e trattative alla presenza di un diplomatico degli Stati Uniti e di due diplomatici del Brasile (a cui l’Italia aveva affidato la protezione dei suoi interessi) e fu necessario attendere l’arrivo del personale consolare di Nizza, Cannes, Marsiglia, Chambéry, Grenoble, Tolone e Bordeaux. Quando il treno degli italiani riuscì finalmente ad attraversare la frontiera svizzera, nella notte fra il 15 e il 16 giugno, il gruppo comprendeva 500 persone. I francesi erano stati spesso scortesi e in qualche caso brutali, ma il loro risentimento, in quelle circostanze, era umanamente comprensibile. Per certi aspetti, d’altro canto, Guariglia, quando divenne ministro degli Esteri del governo Badoglio, fu trattato peggio dai suoi connazionali. All’alba del 9 settembre 1943 scoprì che il re e il maresciallo se n’erano andati da Roma senza avvertirlo. Trovò asilo, per fortuna, nell’ambasciata spagnola presso la Santa Sede.