Osvaldo De Paolini, Il Messaggero 30/1/2013, 30 gennaio 2013
«DA UN ESPOSTO ANONIMO SCATTO’ L’INDAGINE CONSOB»
Presidente Giuseppe Vegas, un po’ tutti hanno notato che nella sua pur lunga relazione sul caso Mps il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, non ha mai citato la Consob e il suo operato. Come lo spiega?
«Non credo sia casuale. Evidentemente il ministro, valutate tutte le circostanze, ritiene che la Consob abbbia fatto tutto quanto era nei suoi poteri».
Eppure in ben due occasioni, l’aumento di capitale del 2008 e quello del giugno 2011, la Consob ha avuto tra le mani i prospetti della banca. Possibile che non vi fossero evidenze di anomalie?
«Gli investimenti erano segnalati, ma non essendo esposte le controgaranzie era impossibile avvertire che qualcosa non andava. Fino all’agosto 2011 da nessun documento contabile nè da alcuna comunicazione inviata alla Consob emergono tracce di irregolarità. Nemmeno dal carteggio precedente proveniente dalla Banca d’Italia».
Quando avete cominciato ad avere sentore che le cose non quadravano?
«Il 2 agosto 2011, in seguito a un esposto anonimo che segnalava strane transazioni con soggetti esterni all’istituto. Si faceva il nome di Enigma e venivano ventilate ipotesi di riciclaggio».
Tutto qui?
«Ci stupì la rilevanza delle operazioni. Si trattava di transazioni per un totale di 3 miliardi in titoli di Stato poste in essere dalla banca con una sola controparte, vale a dire Nomura. Nell’esposto si parlava anche di vendita anomala di titoli strutturati. Nient’altro».
Che cosa fece la Consob?
«Quasi subito avviammo degli accertamenti attraverso richieste di informazioni dirette alla banca, che però ci tacque sempre la connessione esistente tra l’operazione Alexandria e il successivo investimento in Btp».
Che accadde dopo?
«Continuammo a indagare perché si aveva un sospetto forte di reticenza. A novembre prendemmo contatto con la Banca d’Italia e il 27 dicembre chiedemmo alla Vigilanza, che già aveva in corso un’ispezione, di acquisire informazioni circa le questioni sulle quali stavamo indagando».
Quando rispose Via Nazionale?
«Il 6 giugno 2012 ricevemmo una nota nella quale si riportava che con la controparte Nomura il Monte dei Paschi aveva posto in essere nello stesso periodo la ristrutturazione dell’investimento Alexandria e la sucessiva operazione in Btp. Nello stralcio del verbale non si faceva invece menzione dell’operazione Santorini».
E poi che cosa accadde?
«Valutate le informazioni così ottenute, il 25 giugno e successivamente il 26 settembre sollecitammo al Monte precise informazioni sull’acquisto dei Btp onde poter valutare la correttezza dell’appostamento in bilancio».
Quindi sentivate già puzza di bruciato.
«La puzza di bruciato aleggiava da settimane, ma dopo la relazione della Banca d’Italia i nostri uffici ritenevano che l’acquisto dei Btp e i contratti accessori dovessero essere contabilizzati come un’unica operazione».
Quando la pentola viene scoperchiata?
«Davanti a noi il 25 ottobre 2012, quando Alessandro Profumo e Fabrizio Viola ci comunicano che è stato rinvenuto il cosiddetto ”mandate agreement” dal quale emerge con evidenza il collegamento tra l’operazione Alexandria e l’acquisto dei Btp. Era la prova che la banca aveva occultato la vera natura dell’operazione».
E la famosa operazione Fresh, servita a pagare una parte del prezzo pattuito per l’acquisto di Antonveneta?
«Questa è un’altra storia. Su questo argomento posso solo dire che la Consob sta collaborando con la Procura di Siena dal dicembre 2011. E penso che il nostro contributo, anche in relazione alla situazione finanziaria della Fondazione Mps, non sia stato irrilevante ai fini delle indagini».
Fresh e per certi versi Alexandria, Santorini, Nota Italia, operazioni strutturate tutte finalizzate all’occultamento delle perdite di cui le autorità e il mercato non erano a conoscenza. Vere scommesse di cui si servono - c’è da sperare con prudenza maggiore rispetto a Siena - un po’ tutte le banche. E’ davvero così difficile per la Consob misurare la loro rischiosità prima che esse finiscano nei bilanci?
«Intanto va detto che, trattandosi di prodotti non destinati al mercato retail, sono privi di prospetto. È quindi per noi è complicato averne contezza. In ogni caso, quand’anche potessimo disporre per tempo di tutte le informazioni sulle loro caratteristiche, la volatilità dei mercati è ormai tale che sarebbe suicida proporre un rating sulle probabilità di default. A meno di non doverlo assegnare tutti i giorni e a tutti i prodotti in circolazione, il che è praticamente impossibile e comunque pericoloso».
Eppure la Consob ha da poco istituito un Ufficio analisi quantitativa con un responsabile, Marcello Minen, esperto in calcoli probabilistici. Non dovrebbe servire a calcolare gli scenari di probabilità?
«Sì, ma soltanto a fini statistici. Sarebbe folle che solo l’Italia, peraltro contro le disposizioni della Ue, introducesse un modello tutto personale: significherebbe minare le basi del mercato nazionale, visto che scatenerebbe una fuga sia di capitali sia di attività finanziarie. Per non parlare dei pericoli per il risparmiatore-patriota».
Francamente non vedo il pericolo.
«L’indicazione di probabilità quantitative può dare all’investitore un’ingannevole impressione di certezza, sulle future possibilità di guadagno, che può girare di segno ad ogni stormir di fronda. Con i cinque anni che abbiamo alle spalle, solo un folle può suggerire questa via per ridurre le possibilità di perdita per gli investitori».