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 2013  gennaio 28 Lunedì calendario

SU CINQUE TIRI QUATTRO IN TASSE

Ogni cinque tiri di sigaretta quattro sono di tasse. Detta così, vien voglia di smettere di fumare. Il fatto è che nel business del vizio lo Stato è socio al 76%: tanto incamera tra accise e Iva su ogni pacchetto venduto, per un totale che supera i dieci miliardi euro all’anno. E chi amministra gode. L’ultima busta paga nota per il direttore generale della Aams, agenzia dei Monopoli, veleggiava sul mezzo milione di euro.
Raffaele Ferrara, tuttavia ha potuto godersela per appena un anno, dal giugno 2011 a giugno 2012. Nel mezzo dell’incarico viene apostrofato dal pentito Paolo Viscione come “suddito” di Marco Milanese accusato di aver favorito la società Atlantis di Francesco Corallo nel business dei giochi.
PRIMA di lui la prestigiosa poltrona apparteneva a Giorgio Tino, il cui nome appare accanto a quello di Vittorio Emanuele di Savoia in un fascicolo della procura di Potenza del pm Woodcock sulla gestione delle slot machines, poi archiviato a Roma. Da quell’inchiesta emersero anche rapporti stretti tra il direttore e i produttori di tabacco che se lo contendevano in preziosi inviti come quello offerto alla figlia di Tino al gran premio di Barcellona con tanto di hotel di lusso: “Papà grazie. E’ bellissimo. E’ a cinque stelle, nun poi capì”, si leggeva nelle intercettazioni.
Alla fine, a sorvegliare la cornucopia del vizio, in vetta ai Monopoli, il ministero dell’economia ci ha dovuto mettere un militare, Luigi Magistro, ex 007 dell’Agenzia delle Entrate.
Una poltrona diventata meno comoda: da tempo il bussiness del tabacco scricchiola e minaccia le casse dei monopoli. I fumatori smettono o scelgono soluzioni economiche. Dati Istat dicono che in dieci anni 700 mila hanno abbandonato il vizio. Dalle 103 mila tonnellate di sigarette del 1992 si è arrivati alle “sole” 85 mila del 2011. Mentre il consumo scendeva, lo Stato tamponava aumentando Iva e accise, nel 2012 arrivate al 58,5% del prezzo sul tabacco sfuso. Ma se il crollo del fumo dipende dai rincari, altri aumenti di tasse rischiano di tagliare gli incassi piuttosto che aumentarli. Già nei primi mesi del 2012 di fronte ai nuovi rincari il mercato ha risposto con un crollo di vendite del 9%. Stando alle ricerche Ref, i 14 miliardi di entrate del 2011 non si ripeteranno. Non c’è più nulla da spremere. A meno che le accise non si aprano a nuovi mercati oppure che gli italiani non tornino a fumare.
E qui casca la novità tecnologica, la sigaretta elettronica, in mano già a due milioni di italiani.
Sul prodotto non ci sono accise e se dovesse essere veramente in grado di far smettere di fumare porterebbe al collasso prima i Monopoli, poi i fabbricanti di sigarette e infine gli stessi produttori di sigarette elettroniche, che non avrebbero più clienti. Qualcosa suggerisce che non andrà proprio così.


“MI AVVELENI? ALLORA IO TI FACCIO CAUSA” –
Chi paga i costi del tabagismo? Negli Usa il problema è stato affrontato fin dagli anni 90 con una serie di cause degli Stati ai produttori. In Italia poco o nulla si è fatto, anche se qualcuno è arrivato alla conclusione che le Regioni – utilizzando comuni norme di responsabilità civile – potrebbero intraprendere un’azione legale analoga a quella degli Stati americani. Matteo Bonelli, avvocato dello studio legale Bonelli Erede Pappalardo, ha studiato la fattibilità dell’azione e l’ha proposta ad alcuni governatori che hanno mostrato interesse ma non il coraggio di andare fino in fondo. In Lombardia si è arrivati a una delibera poi bloccata in extremis. "Un’occasione persa, anche perché ci saremmo accollati noi rischi e costi in caso di insuccesso”.
Partiamo dal problema
È economico e giuridico insieme. I numeri dicono che lo Stato italiano incassa 12 miliardi dalle accise sul fumo, ma i danni causati dal fumo alle persone e i costi per curarne la malattie sono molto maggiori. A fronte di questa situazione, in Italia né i singoli danneggiati né il settore pubblico, sono riusciti a recuperare non solo i danni personali, ma nemmeno e i costi sanitari delle malattie da tabagismo.
Dov ’è l’intoppo?
Sul fronte dei danni personali il problema è prima di tutto il concorso di colpa dei danneggiati. Chi fuma assume volontariamente prodotti nocivi, e concorre quindi a infliggere a se stesso un danno, interrompendo il nesso di causalità tra il fumo e la patologia sviluppata, a meno che non riesca a provare di essere stato “ingannato” dai produttori di sigarette, che onestamente è difficile.
Ma le sigarette che fumiamo sono le stesse degli yankees…
L’ordinamento è molto diverso, sia sotto il profilo dei sistemi di “tort law” sia sotto il profilo processuale. Prima del 2007 in Italia non c’era la class action e quella attuale è comunque molto più debole di quella americana. Inoltre, la presenza della giuria popolare nei processi statunitensi aiuta e incentiva la proposizione di cause con forti implicazioni sociali. Comunque anche lì i privati hanno dovuto dimostrare di essere stati “ingannati” dai produttori e, in ogni caso, hanno avuto molto meno successo degli Stati che sono riusciti a ottenere un risarcimento di oltre 200 miliardi di dollari.
Le regioni potrebbero quindi avere più chances?
Penso di si. In primo luogo perché sono un soggetto che non è certamente colpevole del fumo altrui e che deve nondimeno accollarsi i costi sanitari prodotti dal fumo. Inoltre è molto più semplice la prova empirica del danno: evidenze statistiche consentono infatti di individuare il ricorrere di una determinata patologia al consumo di tabacco e di calcolarne l’incidenza sul costo sanitario con precisione. La rivalsa delle regioni sui costi di cura si baserebbe quindi su costi sociali reali e provati.
Vittime e risarcimenti. Li avete mai misurati su una singola regione?
In Regione Lombardia si contano 12 mila decessi l’anno riconducibili a patologie da fumo. Prendendo in esame i soli ricoveri connessi al tumore al polmone, che è la patologia più legata al fumo, il costo annuale indicato dagli esperti di Regione Lombardia è stato di circa 100 milioni di euro per i soli ricoveri in ospedale. A questi bisogna poi aggiungere tutti gli altri costi di cura del tumore al polmone, oltre quelli delle altre malattie. Noi ipotizzavamo una richiesta di rivalsa per non meno di un miliardo su un arco temporale di cinque anni, soldi che avrebbero rimesso in sesto il bilancio più di qualsiasi spending review.
Come viene accolta la vostra proposta? Chi la frena?
Ne abbiamo discusso ampiamente soprattutto con Lombardia e Liguria, che all’inizio avevano manifestato forte interesse, in particolare Formigoni. Ci siamo poi imbattuti nella resistenza delle strutture sanitarie, che hanno respinto ogni impulso ad andare oltre gli stretti compiti loro attribuiti.

AUSTRALIA, GUERRA CHOC CON LE FOTO DEI MALATI –
Quelle elettroniche le avevano già vietate da tempo ma ora l’Australia punta ad impedire, per legge, il consumo di sigarette “tradizionali” a tutti i nati dopo il 2000. È la seconda battaglia ingaggiata nella guerra contro il fumo iniziata con il restyling shock dei pacchetti. Altro che la timida scritta italiana “nuoce gravemente alla salute”: in Australia hanno deciso di usare immagini come una bocca devastata dal cancro provocato dal fumo per rendere il pacchetto di sigarette meno cool e accattivante disincentivando il consumo soprattutto tra le nuove generazioni. Lo ha stabilito la legge che ha imposto di rendere anonimi e senza i marchi gli involucri delle “bionde” che, sempre secondo le autorità australiane, ogni anno causerebbero 15 mila morti. L’obiettivo da raggiungere, entro il 2018, sono cinque punti percentuali in meno di consumatori: dagli attuali 15 al 10% della popolazione. Anche l’Australia, secondo i dati diffusi dall’organizzazione mondiale della sanità (Oms) rientra nelle tabelle di quei paesi industrializzati in cui i morti (tabagisti) annuali previsti per il 2025 raggiungerebbero quota 3 milioni all’anno; da considerare che nel 1995 sono stati 2 milioni. Le restrizioni in Oceania che potrebbero portare ad una riduzione dei profitti per le multinazionali del tabacco sono compensate dall’incremento di vendite e consumo sulle rotte del sud America e dei paesi dell’est Europa. Il pacchetto anonimo, secondo gli esperti, potrebbe diffondersi in altri mercati emergenti quali Brasile, Russia e Indonesia minacciando l’incremento del consumo di fumo in quelle aree.

SECONDO L’OMS, inoltre, nei paesi in via di sviluppo le stime sono tali per cui ci sarà una futura progressione di mortalità davvero impressionante: dal milione del 1995 ai 7 milioni di decessi a causa del fumo previsti per il 2025. Tornando alla proposta di legge promossa in Australia i contenuti sono chiari: la generazione del 2000 dovrà essere senza fumo, anche quando questi ragazzi avranno raggiunto la maggiore età quindi nel 2018. Un vero atto di belligeranza contro colossi del tabacco come ad esempio la Philip Morris che insieme ad altri concorrenti aveva già presentato ricorso (peraltro bocciato) all’Alta corte australiana contro la vendita di pacchetti senza marchio dell’azienda produttrice. Le sigarette che circolano sul mercato australiano infatti sono vendute in pacchetti tutti identici, dello stesso colore e sui quali spiccano le immagini di alcune conseguenze delle malattie correlate al fumo. Inoltre vi sono imposizioni precise anche rispetto all’ingombro delle scritte sui pacchetti inerenti i rischi per la salute: 75% della parte frontale e addirittura il 90 per il lato “b”. Il documento presentato in sede parlamentare si chiude con un’ inequivocabile considerazione: “I costi pubblici per la cura dei danni provocati dal fumo non li pagano le aziende produttrici, ma i cittadini australiani”.


SCIAMANI E PUNTURE CHE FATICA SMETTERE –
Un dubbio. “Non so se ho speso più soldi in sigarette o in metodi per smettere di fumare”. Una certezza. “In una notte insonne ho deciso di farmi male, di violentarmi psicologicamente. Così ho preso foglio e penna. Una calcolatrice. E ho quantificato i miei primi vent’anni da nicotinomane: per un pacchetto al giorno, da circa quattro euro e mezzo, ho tirato fuori 32.850 euro. Tutti evaporati tra le mie dita e la mia bocca”. Gabriella, 41 anni, agente immobiliare, un vizio nato relativamente tardi (“a causa del fidanzato dell’epoca”) e una zia di 81 con la quale condividere nevrosi e ricerca perenne di soluzioni alternative. Stregoni. Ipnosi. La sigaretta finta, gli aghi nell’orecchio (“chi ha detto che non fanno male?”). Due chiacchiere con lo psicologo. E ancora “quel” libro, ogni fumatore accanito ne conosce l’esistenza. Ne teme l’essenza. Centinaia di migliaia copie vendute in tutto il mondo, oltre ogni concetto di best-seller. Nelle pagine vengono smontati i luoghi comuni, o almeno questo è l’obiettivo, oltre a sbattere in faccia pericoli diretti per chi accende e quelli indiretti per chi è accanto: dall’invecchiamento e ingiallimento della pelle, alla diminuzione dello stimolo sessuale. Fino alla semplice puzza. Sì, puzza.

LA PROMESSA È UNA: arriverete all’ultima pagina e all’istante prenderete con una mano il portacenere e con l’altra spegnerete la vostra ultima cicca. Funziona? Non esistono statistiche ufficiali, se non quelle prodotte dei diretti interessati, quindi autori ed editori. Loro proclamano risultati quasi certi, ovvio. Ma basta fare un giro sui forum in rete per trovare una risposta ricorrente: si chiama “forza di volontà”. Senza quella, tutto è vano. C’è chi dice: “Sì, quel testo è un miracolo”, chi risponde “ci sono riuscito giusto per alcuni mesi, poi l’ho riaccesa”; chi ride e si fa beffa “l’effetto è durato giusto una notte. Poi la mattina non ho rinunciato alla prima boccata, quella che amo di più”. Chi disperato chiede consigli “qualcuno è a conoscenza di qualche altra tecnica? Con me il libro non ha funzionato”. Via verso un altro metodo. Secondo i ricercatori del Dipartimento di Farmacologia e Tossicologia presso la Virginia Commonwealth University School of Medicine, è necessario partire dell’ansi a, visto che molti fumatori dichiarano di accendere una sigaretta per lenirla. Quindi giusto studiare le angosce, le interazioni e ribaltare il problema “altrimenti continuo a spendere i soldi per rincorrere le stupidaggini più varie”. Soldi, torniamo lì. Per una seduta di agopuntura miracolosa (così promettono), a Roma sono 120 euro. A Milano qualcosa in più. In questo caso le tecniche sono più varie: c’è chi installa dei minuscoli aghi che vanno cambiati dopo quindici giorni. Chi promette di intervenire sui centri nervosi, ma solo all’istante. Poi l’ipnosi, noi del Fatto abbiamo prenotato un appuntamento nella Capitale e la segretaria del centro specializzato ha parlato di tre sedute, la prima duecento euro, le due successive cento l’una: “Stia tranquillo, è indolore e molto veloce, il professore è specializzato in dipendenze. Alla fine si sentirà subito meglio, la sigaretta le farà schifo”.

SUCCESSIVAMENTE ABBIAMO scoperto che il “centro” era un semplice appartamento e il professore sembrava uno sciamano da film di serie B. “Ribadisco: esperienze inutili – racconta Gabriella – Ho i primi sintomi da astinenza già poche ore dopo l’ultima sigaretta, ma il peggio arriva al terzo giorno. Cosa accade? Vertigini, depressione, sbalzi d’umore, a volte rabbia, impazienza. Sì, ansia. Irritabilità, problemi del sonno e di concentrazione”. Non basta. La lista comprende anche mal di testa, stanchezza, battito cardiaco rallentato e peso al petto. Bel mix.
Ma per dire addio alla “bionda” esistono anche altri rimedi. Quindi la farmacia o l’erboristeria: qui l’offerta passa dalle gomme alla nicotina, alle punture fino a essenze o succhi di frutta. Il tutto da calibrare “sulla persona” dicono “anche perché inizialmente si potrebbero subire degli scompensi”, aggiungono. “Sì, sì, ho tentato anche queste strade – conclude Gabriella – Così io, come mia zia. Ora mi parlano di alcuni prodotti provenienti dalle isole Hawaii. Ma non so come si chiamano. Poi toccherà alla sigaretta elettronica”. Anche lei, una nuova cliente.