Camilla Conti, il Fatto Quotidiano 28/01/2013, 28 gennaio 2013
“ORA PUNTIAMO SU ASIA E AFRICA”
[Il report riservato degli analisti di Credit Suisse: ribasso in occidente, “opportunità nei paesi emergenti”. Obiettivo giovani e donne] –
I governi hanno aumentato le tasse sui tabacchi per contenerne il consumo, il nuovo flusso regolatorio ha avuto un impatto negativo sulle quotazioni in Borsa dei titoli del settore, il cambiamento delle abitudini nei fumatori e l’aggravarsi della crisi economica stanno influenzando la domanda di questi prodotti. Tuttavia, ci aspettiamo che i mercati emergenti possano rappresentare maggiori opportunità di crescita per le compagnie del tabacco”. Così scrive Andreas Tomaschett, analista del Credit Suisse nell’ultimo studio della banca d’affari svizzera sulle big del tabacco. E ai propri clienti suggerisce di non vendere le azioni del settore, anzi di comprare. Perché potranno dare ancora molte soddisfazioni al portafoglio. I fan delle sigarette che verranno persi in Usa e Europa, si possono infatti recuperare in Asia e nei Paesi EEMEA, ovvero in Europa dell’Est, Medio Oriente e Africa. Nel report si fa un paragone con il prezzo di un Big Mac che in Indonesia è l’equivalente di quasi due pacchetti di Marlboro e di tre nelle Filippine. Al contrario, tre Big Mac valgono quanto un pacchetto in Australia. Non solo. Nei paesi emergenti la percentuale di donne fumatrici è ancora molto bassa rispetto ai fumatori uomini. E dal punto di vista del mercato, il gap da colmare rappresenta un ottimo potenziale di crescita degli affari. Non è un caso, dunque, se i budget di comunicazione dei colossi del tabacco si stanno riversando sui mercati come quello africano dove si può fumare ovunque e dove la Coralma, controllata locale del colosso inglese Imperial Tobacco, ha dovuto moltiplicare gli stabilimenti in sette stati per soddisfare la domanda crescente di nicotina.
A muovere le pedine, anzi le sigarette, da una parte all’altra del mondo sono i signori del tabacco: Philip Morris International, British American Tobacco, Altri Group, Imperial Tobacco e Japan Tobacco. Parliamo di un business globale da oltre 530 miliardi, il 95% del quale rappresentato dalle “bionde” (5,5 miliardi quelle prodotte ogni anno nel mondo). Il mercato principale è quello cinese, nel quale le aziende sono di proprietà dello Stato con quasi 350 milioni di fumatori che consumano 2,2 miliardi di sigarette l’anno (il 40% del totale). Escludendo la Cina, le società internazionali del settore quotate in Borsa rappresentano il 46% del mercato globale. Quanto all’Italia, il prezzo delle sigarette è cresciuto di oltre il 40% dal 2004 a oggi, e nel 2011 la filiera del tabacco ha portato nelle casse del fisco 14,1 miliardi, di cui circa 2,8 provenienti da British American Tobacco Italia.
Come evidenzia il report del Credit Suisse, però, la partita del “risiko” dei fumatori si sta complicando e le truppe vanno riposizionate. In Occidente le multinazionali, devono fare i conti con il calo costante delle vendite di sigarette tradizionali negli ultimi dieci anni. Secondo i Centri per il Controllo delle Malattie e la Prevenzione statunitensi, il consumo dei prodotti del tabacco è diminuito del 27% dal 2000 al 2011, mentre le tasse sono aumentate e i divieti di fumo nei bar e nei ristoranti hanno preso piede. In Europa, un nuovo giro di vite è arrivato a dicembre con revisione della direttiva sul tabacco proposta dalla Commissione Ue. I punti più discussi della direttiva sono: la quasi completa standardizzazione dei pacchetti tramite avvertenze con immagini shock al 75% e la messa al bando di intere categorie di prodotti come le slim e le sigarette da 10, segmenti che in Italia rappresentano il 10% del mercato.
Nel Vecchio Continente anche il business pubblicitario delle sigarette ha avuto, per legge, uno stop netto all’inizio degli anni ‘90. Divieto assoluto di fare spot sulle “bionde", divieto di mostrare i marchi. Poi è arrivata la concorrenza delle sigarette elettroniche: le vendite sono raddoppiate negli ultimi due anni, fino a 300 milioni di dollari nel 2012 e a un passo dal raggiungere il miliardo di dollari di vendite annuali nei prossimi anni, in base alle stime di Goldman Sachs. Cifre che sono noccioline a confronto con i 100 miliardi di dollari dell’industria del tabacco. Per adesso. “Le sigarette elettroniche stanno all’industria del tabacco come gli energy drink stavano alle bevande gassate”, ha fatto notare il New York Times. Ecco perché le big del tabacco hanno deciso di passare dalla difesa all’attacco, ovvero entrare nel business delle e-cigarettes. Considerato che l’80% dei fumatori del mondo vive in nazioni dove il reddito è medio-basso, per le multinazionali del tabacco l’alternativa 2.0 può infatti contribuire a compensare il calo dei consumi nei mercati occidentali, dove sono soprattutto le persone economicamente benestanti a rinunciare al fumo. Ma sono tentate da quello elettroniche.