Stefano Caselli, il Fatto Quotidiano 28/01/2013, 28 gennaio 2013
“LA SALUTE NON C’ENTRA, È UN PRODOTTO COMMERCIALE”
La massa - e per massa intendo noi tutti - è tendenzialmente analfabeta. Quando pretende informazione, in genere, riceve in cambio propaganda. E non ci si capisce mai nulla”. Quello della qualità dell’informazione scientifica è un tema caro a Valerio Gennaro, epidemiologo all’Ospedale San Martino di Genova. Si tratti di Ilva, di aspettativa di vita sana o di fumo di sigaretta (o affini), il problema è sempre quello: non ne sappiamo abbastanza. E in pochi sembrano preoccuparsi.
Professor Gennaro, lo avrà notato anche lei...
In giro sempre più sigarette elettroniche. La gente ha finalmente capito che fumare fa male?
Tutti sanno che il fumo di tabacco è dannoso e causa una miriade di malattie. Il fumatore - chi più chi meno - cerca in un modo o nell’altro di smettere. Ora il mercato propone qualcosa di probabilmente meno letale, perché l’assenza di combustione ricuce indubbiamente la quantità di composti inalati. Il che può anche essere positivo, ma bisognerebbe avere prove certe e al momento non ci sono. Questa storia ricorda un po’ quella delle sigarette light, che qualcuno credeva davvero fossero meno dannose, salvo poi fumarne magari il doppio...
Dunque non c’è alcuna evidenza scientifica che la sigaretta elettronica sia meno dannosa di quella tradizionale?
Ripeto, l’assenza di combustione, impedendo l’inalazione di fumi ad alta temperatura, non può che essere un fatto positivo. Ma il discorso finisce qui. Non è ben chiaro cosa sia quel vapore, non si sa bene cosa ti finisca nei polmoni. E poi la pila? E il livello di nicotina a scalare? Certo, può essere uno strumento utile, ma non ne sappiamo ancora abbastanza.
Com’è possibile che un prodotto del genere venga commercializzato se permangono questi dubbi?
Perché è un prodotto commerciale. Come lo è un energy drink o uno snack carico di grassi saturi. La sigaretta elettronica cavalca un problema, quello della dannosità del fumo, e offre un’alternativa. ma è fatta per essere venduta, non per risolvere il problema. È tragico che dietro questa nuova moda – che tutti percepiscono come “salutista” - non ci sia una logica di sanità pubblica e di qualità della vita, ma esclusivamente una logica di mercato. È una specie di chiodo scaccia chiodo, ma il chiodo rimane. Eccome se rimane.
Però, in genere, chi passa alla sigaretta elettronica lo fa per una questione di salute...
Certo, ma siamo sicuri che il prodotto non attirerà nuovi fumatori che non hanno mai acceso una sigaretta in vita loro? In questo momento il prodotto viene presentato in modo super suadente, un po’ come accade per certi analgesici.
Quindi è potenzialmente un pericolo?
Pericoloso o no, questa è la norma. Alla gente non viene data la giusta informazione nemmeno quando si impongono vaccinazioni di massa e pretendiamo che un prodotto commerciale sia un eccezione? L’istituto Mario negri di Milano ha accertato che anche tra i farmaci esistono prodotti che non solo non danno prova di avere benefici, ma addirittura – a volte – sono dannosi per la salute. Se il mondo dei farmaci è una giungla del genere, figuriamoci quello del mercato. La massa è analfabeta, e anche se pretende informazione riceve purtroppo propaganda. Ma il vero punto è un altro...
Quale?
Nessuno si domanda mai perché la gente fuma. Perché tante persone – e si badi che lo dico da ex fumatore – decidono coscientemente di farsi del male. Per dare una risposta la medicina non basta, ci sono problematiche sociali molto robuste dietro. Altrimenti non si spiega perché il fenomeno, nonostante tutto, torni lentamente a crescere tra i giovani e tra le donne. L’unica differenza è che oggi, magari, ci si vergogna a fumare, perché rispetto al passato il fumo è spesso considerato socialmente riprovevole. Ma basta farlo di nascosto e finisce lì. Quello del fumo non è un problema individuale, è una questione collettiva. Non si può affrontare singolarmente un nodo di governo sanitario. E poi la partita rischia di essere persa in partenza. Le risorse, anche comunicative, che abbiamo noi ricercatori sanitari pubblici non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelle delle multinazionali del tabacco. Si spendono cifre incredibili per evitare che la gente smetta con facilità.