Thomas Mackinson, il Fatto Quotidiano 28/01/2013, 28 gennaio 2013
VELENO ELETTRONICO
[Dai prototipi usa e getta alle versioni attuali distribuite da società indipendenti. Ma spuntano le grandi multinazionali, in prima fila la Bat: i giganti del tabacco investono nel loro “nemico”] –
Milano
Uno non sa esattamente cosa vende, l’altro non sa ancora cosa compra. Ma fa incetta di flaconcini per la ricarica che infila in tasca come fossero caramelle. Nessuno gli ha spiegato che contengono una concentrazione di nicotina liquida capace di uccidere un bambino in pochi minuti. Ma ecco che entra un altro cliente, fuma da una vita. Si fa ripetere due volte come ricaricare il tutto, usb o spina tradizionale? Dietro di lui si fa la fila, qualcuno “svapa” buffetti d’impazienza mentre il commesso elenca una per una le 15 essenze disponibili, senza dimenticare amaretto, tiramisù e whisky. Sono scene da una non-tabaccheria di Milano, uno dei mille punti vendita concentrati al Nord del Paese che propongono le ormai famose sigarette elettroniche. Un’esplosione iniziata un anno fa e divenuta più evidente lo scorso autunno, con una decina di brand nazionali freschi di registrazione (Smoke, Smooking, E-Smoke, All Smokers Club e altri) per un business da 250 milioni di euro in vertiginosa espansione. Un mercato che persino la neonata Associazione nazionale Fumo elettronico (AnaFe) stenta a controllare e che ogni giorno conquista nuovi adepti. Secondo un’indagine Doxa i consumatori abituali e dichiaratamente interessati sarebbero già due milioni. Tutti lanciati, senza riserve, su dispositivi col chip che promettono di fumare senza danni alla salute, limitazioni e odori. E il tutto risparmiando. È il poker vincente propinato da siti, affissioni e spot sempre più incalzanti. Insomma, il paradiso del fumatore esiste e ha la porta d’ingresso proprio sotto casa. Ma non tutti la pensano così.
1. FA BENE O FA MALE
Dal punto di vista scientifico - va detto - permangono forti dubbi sul fatto che le sigarette elettroniche siano prive di controindicazioni. Per questo, in tutto il mondo, le autorità sanitarie cercano di capire come regolamentare il settore in attesa di studi epidemiologici più estesi. La Cina, il paese in cui è nata e da cui arriva l’invasione, le ha vietate. Altri paesi le hanno limitate con una legge che le vede a volte come prodotto associato al fumo e altre come dispositivo medico. L’Italia non ha ancora deciso che fare e - in questo vuoto - il fumo elettronico dilaga, anche contraffatto. Solo a fine dicembre l’Iss ha emanato un parere che a molti è sembrata una stroncatura netta, anche per chi optasse per minime concentrazioni di nicotina: “Ci sono elementi che devono ancora essere chiariti riguardo la tossicità”, dichiara Roberta Pacifici, direttore dell’Osservatorio fumo, alcol e droga dell’Iss: “Possiamo dire che è meno tossica di quella tradizionale, ma non si può affermare che sia del tutto innocua e non è dimostrata l’efficacia nell’aiutare i fumatori a smettere”. Certo, siamo ben lontani dalle 4.600 sostanze nocive delle sigarette tradizionali, ma per l’Iss la promessa della disuefazione dalle bionde al momento è fuorviante. “Anzi, rischia di ottenere l’effetto contrario, di riattivare l’abitudine del fumatore che ha già smesso e di iniziarne di nuovi, soprattutto tra i giovani attratti dal gadget e dall’assenza di divieti". E poi resta il pericolo del mercato parallelo, con dispositivi e sostanze fuori controllo spesso privi di certificazioni, oggetto di sequestri in diverse città d’Italia. A Torino, ad esempio, il procuratore Raffaele Guariniello contesta alle ditte distributrici il reato di "importazione di prodotti pericolosi" e l’omissione di avvertenze sui rischi per la salute, del divieto di vendita ai minori di 16 anni fino al classico “tenere lontano dalla portata dei bambini”. Che non è un dettaglio. "Bastano 10 mg di nicotina per uccidere un bimbo, 30-60 per un adulto e un flacone contiene fino a 1 grammo di nicotina quando. Va valutato il facile accesso a dosi letali in un prodotto gradevolmente aromatizzato", insiste la Pacifici. Anche sul vapore passivo non ci sono certezze e in attesa di chiarimenti e norme specifiche, qualcuno ha iniziato a porre i primi divieti. Il sindaco di Lomazzo (Como) ha emesso un’ordinanza cha bandisce il fumo elettronico da uffici pubblici, asili, scuole. Trenitalia, Italo, Tirrenia e Ryanair lo vietano mentre per cinema e ristoranti le organizzazioni di categoria Agis e Fipe hanno chiesto un parere al Ministero. Nessun divieto, per ora, nei 2.300 tra discoteche e locali aderenti alla Silb.
Ma intanto è dalla stessa comunità scientifica che arrivano appelli a non demonizzare il dispositivo elettronico. Tra le voci più autorevoli, quella dell’ex ministro della Salute Girolamo Sirchia, padre della legge che 10 anni fa ha bandito le bionde dai locali pubblici. E non è il solo. “Serve più cautela prima di stroncarla”, sostiene il direttore della Cardiologia dell’Ieo di Milano, Carlo Cipolla, che sta conducendo test su un gruppo di forti fumatori colpiti da tumore costretti a smettere da un giorno all’altro. “I pazienti sono molto interessati alla sigaretta elettronica. È un potenziale aiuto contro l’astinenza”. Stesso appello dall’università di Catania che già un anno fa pubblicizzava uno studio secondo cui il 55% dei pazienti sottoposti a trattamento con e-cig avrebbe definitivamente smesso di fumare.
2. BOOM D’AROMI E BREVETTI
Per capire come andrà a finire bisogna vedere come è iniziata. Il primo brevetto è stato depositato negli Usa nel 1963 da Herbert Gilbert. La sigaretta elettronica che sfonderà 50 anni dopo è però una versione perfezionata del brevetto depositato da un farmacista cinese nel 2003. I primi modelli usa-e-getta si rivelarono un mezzo flop. Nell’imitare le fattezze della sigaretta tradizionale costringono il nebulizzatore in un cilindro ridotto che limita la potenza di emissione del vapore e quindi l’aspirazione. Anche il sapore non piace. Nel 2008 arrivano le versioni nuove che non scimmiottano più la sigaretta ma assumono la forma di una specie di pipa. L’aumentata dimensione consente di potenziare il sistema di vaporizzazione, la durata della batteria, personalizzare gli aromi. I nuovi modelli, evoluti anche nel prezzo (40 euro e più), hanno batterie al litio e il cartomizzatore trasmette una carica elettrica che brucia il liquido collegato con due filamenti impregnati nel serbatoio. L’aspirazione si fa più piena e appagante: centro. I primi ad approfittarne sono produttori e distributori indipendenti e scaltri. Ma già s’intravede l’ombra delle multinazionali del tabacco che stanno facendo incetta di brevetti e aziende di sviluppo. Il business del fumo elettronico, nei loro piani, può compensare ingenti perdite sui tabacchi tradizionali. In Inghilterra cresce del 50% l’anno, con un rallentamento solo dal 2014. Negli States vale 300 milioni di dollari, in previsione sfiorerà il miliardo. Questo spiega il risiko a tutto campo in corso. La Bat nel 2011 ha creato un ramo d’azienda (Nicoventures) per lo sviluppo di e-cig e nel 2012 ha comprato una start-up (CN Creative Limited) specializzata nelle produzione di modelli già sul mercato. Lorillard, marchio Kent, ha comprato la Blugic. Philip Morris prevede di lanciare una versione salutista con il marchio Marlboro nel 2016. La rivale Imperial Tobacco ha acquistato azioni di un’azienda produttrice, Japan Tobacco International ha siglato un accordo commerciale con una società di “nicotine vaporizers”. Come si comporteranno è da vedere, anche se nei pareri dell’Oms si accenna già a un primo cartello sulle quantità di nicotina: “Solo un accordo tra produttori può spiegare le concentrazioni uniformi di 18 mg/ml”.
3. CORSARI E IMPRESE: DOVE VANNO GLI AFFARI
Intanto in Italia il mercato è spianato a distributori organizzati e imprenditori improvvisati. DigisVapo, ad esempio, ha un bel sito-vetrina ma dietro c’è soltanto Danilo Di Giancaterino, 37 anni e due figli, operaio su turni in un’azienda di imbottigliamento di acqua in provincia di Fermo. “Fumavo due pacchetti al giorno, poi ho provato l’e-cig, ho visto che funzionava e ho contattato il produttore cinese. All’inizio vendevo in modo ambulante, ad aprile 2012 ho aperto la partita Iva e ora il business mi è esploso in mano: in pochi mesi ho venduto quello che riuscivo a piazzare in cinque o sei, oggi siamo sui 50 kit al giorno”. Un bell’arrotondare, grazie a un ricarico medio del 30%. “Certo non mollo il posto fisso perché qui non si sa se vogliono fare un monopolio o dare tutto alle farmacie”. Un dilemma che agita i sonni dei circa 1.500 addetti che hanno trovato rifugio nel settore. A Torino , capitale degli “svaporatori”, la sola Smoke conta 55 dipendenti e 200 punti vendita in Italia. Proprio l’incertezza della regolazione futura spinge qualcuno a percorrere strade alternative per non incappare nel cartello “stop”. “Non sappiamo da che parte arriverà la mazzata tra monopoli, multinazionali e farmacie”, spiega Roberto Bovone, 48 anni, ex pubblicitario milanese che ha aperto due rivendite dal nome indicativo “Doctorsmoke”. “Per noi il futuro del comparto è a nicotina zero, il vero business saranno gli aromi prodotti dalle tante aziende italiane specializzate, da commercializzare come prodotti salutisti”. Certo da un inalatore di nicotina a un aerosol la strada è ancora lunga.