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 2013  gennaio 28 Lunedì calendario

QUELL’ATTRAZIONE PER IL DUCE "BUONO"

Il fascismo light. Il fascismo da tragedia a farsa. Come quando Berlusconi ha detto, nel 2006: «Mussolini aveva le camicie nere, io ho le veline». O quando, contro Oscar Luigi Scalfaro che lo aveva paragonato a Mussolini, il Cavaliere replicò: «Sì, Mussolini sono io». La banalizzazione del fascismo, da parte di Berlusconi, è congenita con la sua discesa in campo, che non a caso cominciò a fine ’93 quando nel famoso discorso all’ipermercato brianzolo sdoganò la tradizione storica proveniente dal fascismo annunciando: «Se votassi a Roma, tra Rutelli e Fini, sceglierei quest’ultimo come sindaco».
PEGGIO I PM DELLE CAMICIE NERE
Da allora fino ad oggi, in tante dichiarazioni e battute (una delle migliori, poco famosa, è del 26 gennaio 2004: «Il fascismo è stato meno odioso dell’odierna burocrazia dei magistrati che usano la violenza in nome della giustizia»), nell’accezione berlusconiana il fascismo non è quello degli inizi (la fase dello squadrismo) nè quello della fine (dopo il ’40, con la violenza della guerra e l’orrore di Salò). Sono invece gli anni del consenso al regime da parte di quell’Italia benpensante che il Cavaliere pare ritenere somigliante al suo elettorato - che adesso sta tentando di riconquistare con ogni mezzo e attingendo a tutto il suo repertorio - composto di ceti medi vogliosi d’innovazione ma anche di stabilizzazione.
IL CONFINO COME VACANZA
La riscrittura del fascismo in versione light rientra insomma in quella strategia che ha portato Berlusconi a pronunciare nel 2003 uno dei suoi motti più celebri: «Mussolini non ha mai ucciso nessuno. Mandava gli avversari in vacanza al confino». Proverbiale, due anni prima, il 7 ottobre 2000, sul set di Porta a Porta, il duetto con Bertinotti. Il quale è solitamente dalla parte del torto, ma quella volta non lo fu. Bertinotti: «I fratelli Cervi furono uccisi dai fascisti». Berlusconi: «Andrò a trovare papà Cervi». Bertinotti: «Presidente, papà Cervi è morto e i fratelli Cervi furono uccisi nel ’45». Vabbè, sottigliezze agli occhi del Cavaliere il quale ha partecipato per la prima volta alle celebrazioni del 25 aprile soltanto nel 2009, a Onna, paesino distrutto dal terremoto d’Abruzzo, e in quell’occasione - dopo aver sempre considerato la festa della Liberazione una «ricorrenza di parte» - la ribattezzò «festa della libertà». Mettendosi intorno al collo, da neo-partigiano, il fazzoletto rosso della brigata Maiella.
IO COME BENITO
Passa poco più di un anno, e al vertice dell’Ocse a Parigi, il 27 maggio 2010, il premier annunciò: «Come Mussolini, non ho alcun potere. Il potere ce l’hanno solo i gerarchi». Battuta diretta contro il ministro Tremonti, presente in sala, che si alza dal suo posto e se ne va. L’impotenza politica del Duce il Cavaliere l’ha scoperta compulsando i diari mussoliniani, editi da Dell’Utri. Mentre le azioni del governo dell’Ulivo, nel ’96, gli avevano suggerito questo paragone: «Il Duce è stato un grande protagonista. Prodi è soltanto una comparsa».
MAMMA ROSA E LE SS
Del fascismo il Cavaliere parla, per esempio, condannando gli occupanti nazisti e sorvolando sul resto, nella sua autobiografia: «Una storia italiana». Anche lì, è asettico nel tono (tutto concentrato su Mamma Rosa che a dispetto di «un mitra delle Ss puntato sul petto» salvò una signora ebrea dal lager) e evasivo nel giudizio sul regime. Quanto alla reductio di Silvio ad Benitum (entrambi a loro modo outsider, convinti di essere artisti, con mamme che si chiamo Rosa tutte e due, tribunizi e vittimisti), esiste un libro molto istruttivo di Alessandro Campi: «L’ombra lunga di Napoleone. Da Mussolini a Berlusconi». Il quale nel suo sterminato repertorio di barzellette può vantare la presenza di una dozzina di «storielle» sugli ebrei. Come quella recitata nell’ultima campagna elettorale, nel 2008, incontrando l’associazione «Amici ebrei in Libia». Un ebreo - racconta Berlusconi - va dal suo rabbino e gli dice: «Devo confessarti che durante la guerra ho nascosto una persona», «Bravo», è la risposta del rabbino. «Sì», lo interrompe l’ebreo, «ma gli ho fatto pagare mille dollari al giorno». «Così tanto? Vabbè, comunque ti assolvo». «Grazie, ma secondo te», aggiunge l’ebreo, «gli devo dire che la guerra è finita?».
Poi Berlusconi è scoppiato a ridere. Gli altri, no.