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 2013  gennaio 28 Lunedì calendario

LA FORZA E LE RAGIONI DELL’ASTENSIONISMO

Grava sugli astensionisti una squalificante nomea, come fossero dei disertori. La scelta dell’astensionismo è invece seria e dignitosa. È un modo di dire: «Non ci sto». Dicono: ma così favorisci gli altri. E quali sarebbero, «gli altri»?
Perché un elettore dovrebbe sprecare il suo tempo per scegliere nel Lazio tra Zingaretti e Storace se nessuno dei due si impegna ad abrogare la legge regionale, votata con spirito bipartisan, con cui i partiti si sono autoassegnati ingenti risorse pubbliche da scialare in ostriche (Pdl) e regali enologicamente impeccabili (Pd)? È qualunquismo? È antipolitica? Oppure un modo semplice, civile, fermo, consapevole, di dire: «Non in mio nome, continuate pure così, ma non voglio essere contaminato dai vostri deplorevoli comportamenti»?
Dicono: votare è un dovere. No, è un diritto. È vero: la Costituzione parla di «dovere civico». Ma è una parte della nostra carta che tradisce la paura del passato della dittatura appena finita. E un residuo mentale autoritario, perché costringere a votare è un controsenso, è la spia di una mentalità illiberale. La Costituzione americana, questa sì «la più bella del mondo», garantisce il diritto a perseguire la felicità, non è che imponga ai suoi cittadini il dovere della felicità. Votare è una facoltà, è un modo per esercitare un diritto di scelta. Ma c’è anche il diritto di scegliere di non scegliere chi non merita di essere scelto.
Dicono anche: ma non votare condanna all’ininfluenza, mentre con il voto puoi influire sulle cose. Petizione di principio molto astratta: le elezioni non sono una gara olimpica in cui l’importante è partecipare. E poi chi l’ha detto che un astensione massiccia, corale non abbia influenza. In Sicilia, nei mesi scorsi, non ha votato il 53 per cento dell’elettorato. Certo, un governo la Regione ce l’avrà sempre, ma i partiti sono ancora sotto choc per questa assoluta mancanza di fiducia (e forse di disprezzo) che l’elettorato siciliano ha voluto riservare loro. Sicuri che, in linea puramente ipotetica, se l’astensionismo superasse la metà degli aventi diritti al voto, la cosa non avrebbe conseguenze? Dicono: ma perché non scegliere con l’abbondanza di liste che c’è? Strano ragionamento: è come dire che è impossibile scegliere in una pasticceria che esponesse in vetrina una quantità sterminata di dolcetti mignon, senza tener conto degli ingredienti scadenti o guasti.
Beninteso: questo non è un elogio dell’astensionismo, ma una difesa dell’astensionista raggiunto ingiustamente da una campagna di discredito, spesso fatta propria da chi, immeritevole di consenso, invoca i sacri principi del civismo democratico per disincentivare chi, liberamente e consapevolmente, non vuole recarsi alle urne perché nessuno gli ispira fiducia e speranza. Nelle democrazie più mature delle nostre, non andare a votare è una scelta non colpita da un ingiustificato interdetto morale. Votare è un diritto. Anche non votare.