Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 27 Domenica calendario

MPS, I RISCHI OSCURATI NEI BILANCI [

Alexandria affogata nelle cartolarizzazioni, Santorini nelle note, assente Nota Italia] –
Non deve essere stato facile districarsi nel groviglio dei derivati di Mps se il nuovo management ci ha messo dieci mesi prima di scoprire le operazioni strutturate che ora rischiano di scavare nei conti un buco pari a quasi tutto l’utile previsto dal piano solo nel 2015. Non deve essere stato facile se, a oltre tre mesi dalla rilevazione di Alexandria – poi sono seguite Santorini e Nota Italia –, ancora la banca non si sbilancia nel dare una cifra precisa. Con 500 milioni in più di "Monti bond" Mps dovrebbe essere in grado di assorbire i danni, ma l’esito della ricognizione sarà portato al consiglio solo tra un paio di settimane.
Ma se raccapezzarsi dall’interno è difficile, dall’esterno è addirittura impossibile. Nei bilanci Santorini compare, defilata, per la prima volta nel 2002 tra le «note ai movimenti su partecipazioni», dove in corpo minimo si legge che la quota del 4,99% in Sanpaolo–Imi è stata ceduta per 785,4 milioni, con una minusvalenza rispetto al valore di libro di 425,3 milioni «imputata contabilmente a un componente negativo di reddito di natura straordinaria e contemporaneamente neutralizzata con l’utilizzo della riserva di rivalutazione ex legge 342/2000». A chi è stata ceduta? Prestando un po’ di attenzione dal linguaggio formale si capisce che in parte si è trattato di una partita di giro: «A fronte di detta cessione la nostra banca ha partecipato, con una quota del 49% e un investimento di euro mgl.328.690, alla costituzione della Santorini Investment Ltd, società controllata dalla Deutsche Bank AG». Scorrendo l’elenco delle partecipazioni si apprende che Santorini è domiciliata a Edimburgo. Qualche anno e Siena la saluta. Il rendiconto del 2009 informa infatti che la società, nel frattempo passata al 100% sotto le insegne di Mps, è stata liquidata con una perdita di 17,2 milioni in lascito. Nel 2008 alla controllata era attribuito un patrimonio netto di 303 milioni e un valore di carico di 241,5 milioni, con la differenza di 61,57 milioni (cioè una minusvalenza potenziale) contabilizzata nella riserva negativa da valutazione degli asset disponibili per la vendita. Dalla perdita finale di 17,2 milioni si evince infine che Mps è riuscita a recuperare 224 milioni, quando prima di essere trasferita nel veicolo la quota in Sanpaolo-Imi era in carico alla banca per 1,2 miliardi. Certo, se la memoria è corta, la liquidazione in perdita di Santorini non appare un grande affare, ma neppure una tragedia.
Alexandria è ancora più anonima. Spunta infatti nel bilancio 2005 all’interno di un lunghissimo elenco di cartolarizzazioni di attività diverse dai mutui facenti capo a "terzi", sotto il nome di Alexandria Capital-Karnak con un’esposizione senior (cioè, teoricamente, della miglior qualità) di 25 milioni, e con un’esposizione mezzanina per 22,7 milioni sotto il nome di Alexandria Capital Dendera. Poi Alexandria si inabissa e sparisce dai conti degli anni successivi. Di Nota Italia non c’è mai traccia.
Ora – siamo al 23 gennaio 2013 – un comunicato del Montepaschi dà conto di quanto emerso finora. «Con riferimento ad Alexandria e Santorini, operazioni per le quali appare presumibile un collegamento con perdite derivanti da investimenti pregressi – si legge –, si precisa che le stesse rappresentano investimenti effettuati da parte della banca in BTp a lunga durata, finanziati attraverso operazioni di pronti contro termine, le cui cedole sono state oggetto di asset swap al fine di gestire il rischio assunto». Nota Italia, precisa sempre lo stesso comunicato, è invece «un investimento effettuato nel 2006 in un prodotto di credito strutturato al quale era associata la vendita da parte della banca di protezione sul rischio sovrano della Repubblica italiana».
Ma nulla di tutto ciò è stato spiegato per tempo, mettendo in guardia dai rischi. Non dai bilanci e neppure dal prospetto dell’aumento di capitale dell’estate 2011, che non conteneva alcuna allerta specifica, nonostante si trattasse di un’operazione, molto diluitiva, dell’importo di oltre 2 miliardi. Non si può dire del resto che la scarsa disclosure sia una prerogativa senese.