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 2013  gennaio 28 Lunedì calendario

LA VERITA’ DELL’EX CAPO AZIENDA VIGNI: «DERIVATI? ERANO GIA’ LI’» —

Dal 9 maggio 2012 — giorno delle perquisizioni in banca e perfino a casa sua — è come un fantasma: si vede di rado a Castelnuovo Berardenga, il suo paese d’origine nel quale vive con la famiglia in un bel casale affacciato sulle colline senesi, tantomeno rilascia dichiarazioni pubbliche. Anche ieri Antonio Vigni, direttore generale del Montepaschi dal 2006 a fine 2011, è rimasto a casa, con alcuni amici a pranzo. Segue con attenzione sui giornali il racconto dell’inchiesta Antonveneta — nella quale è indagato da quel giorno — e lo scandalo politico che ne è seguito: e nonostante sia fuori dalla banca da un anno, chi ci ha parlato sostiene che è molto preoccupato per le sorti dell’istituto. «Tutti quelli che parlano dovrebbero avere in questo momento in mente il bene del Monte, dei clienti, dei dipendenti», è il suo chiodo fisso. Senza entrare nell’inchiesta, però, «per rispetto della magistratura».
Non poteva essere altrimenti per uno come «il Vigni», come lo chiamano da queste parti, entrato in banca a 19 anni nel 1972 e lì rimasto fino alla fine scalandone tutti i gradini: negli anni Ottanta lavora a stretto contatto con l’allora provveditore Carlo Zini, viene promosso vicedirettore generale nel 2000, continua sotto la gestione di Vincenzo De Bustis fino alla direzione generale il 25 maggio 2006 al posto di Emilio Tonini, che gli lascia in eredità il record di utili (790 milioni) del 2005. È lui al vertice operativo quando Mps con il suo presidente Giuseppe Mussari decide la mega-acquisizione da 9 miliardi in contanti di Antonveneta sulla quale la banca s’è bruciata.
Cattolico, militanza nella Dc da giovane, sostenuto dai sindacati della Fisac-Cgil, Vigni ha deciso di portare la croce dell’inchiesta che sta travolgendo tutto il sistema banca-fondazione-città. Ma ai suoi amici ripete di «aver sempre voluto fare il bene del Monte e di aver fatto tutto sempre in buona fede». È convinto che «sia tutto a posto. Magari rivista col senno del poi qualche operazione... Ma se ci sarà qualche cosa, la spiegheremo alla magistratura».
La procura di Siena sta indagando sulle operazioni in derivati e sulle ristrutturazioni dei vecchi finanziamenti, con l’ipotesi che si siano volute occultare le perdite e che qualcuno possa avere preso delle mazzette per realizzare i contratti. I dubbi sull’area finanza — quella guidata da Gianluca Baldassarri — c’erano già in banca, e per questo Vigni l’aveva «passata al pettine. Ho mandato tutte le ispezioni nel 2010, per noi era parzialmente favorevole, per la Banca d’Italia parzialmente sfavorevole. Baldassarri era considerato una persona brava, che sapeva fare il suo mestiere...», è la tesi riferita dai suoi interlocutori.
Anche la vicenda dei derivati va collocata in un contesto storico, riferisce chi gli ha parlato: «Tutte le operazioni di cui si parla ora» (riferendosi ai vari prodotti «Alexandria» e «Santorini») «erano già tutte lì dalla gestione precedente, noi le abbiamo gestite, le abbiamo ristrutturate. Anche le altre banche hanno cose simili...», è lo sfogo raccolto dai suoi interlocutori. In quel periodo in effetti la banca chiude molte posizioni e rompe anche con le coop rosse di Unipol lasciando la holding Finsoe: Siena sanciva in quel momento il divorzio da Bologna, dopo che le strade si erano già divaricate in seguito all’opa di Unipol su Bnl.
L’uscita dalla banca di Vigni di fine 2011, in anticipo sulla scadenza del mandato triennale di aprile 2012, è stato il segnale di una svolta offerto al mercato che in quel periodo stava punendo Mps in Borsa per il crollo di valore dei 22 miliardi di Btp in pancia a causa della crisi dello spread. Nonostante fosse ben voluto in città e in banca e considerato una persona onesta, è stata criticata da qualcuno la buonuscita di 5,8 milioni (tra retribuzione, bonus e trattamento di fine rapporto), nonché l’immediato incarico di consulente per la Fondazione Mps nella ristrutturazione del proprio debito. Vigni non ci sta: «Io non mi sono arricchito né sono scappato, ho lavorato 40 anni. Sono figlio di contadini. Certo ho una bella casa ma tutto qui, non sono né alle Bahamas né da altre parti». E se si scoprisse che qualcuno ha rubato? «Non ci credo. Forse può esserci qualcuno, ma non lo so...».
Fabrizio Massaro