Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 27/01/2013, 27 gennaio 2013
LA TANGENTE PASSATA PER GLI STATI UNITI E I 150 MILA EURO SPARITI —
Fatture false pagate su conti esteri e capitali fatti rientrare in Italia in contanti. Passa attraverso una triangolazione con gli Stati Uniti la tangente da 600 mila euro che sarebbe stata pagata per la fornitura di 45 filobus della Breda Menarini al Comune di Roma. Soldi che secondo Edoardo D’Incà Levis, il mediatore incaricato di accantonare la provvista «in nero» poi diventato testimone chiave dell’inchiesta, sarebbero finiti «alla segreteria di Alemanno». Sono gli atti processuali depositati dopo il suo arresto a ricostruire il percorso del denaro. Rivelando un particolare che non appare affatto superfluo e sul quale sono stati disposti nuovi accertamenti: dal conto finale sono spariti almeno 150 mila euro. D’Incà Levis aveva infatti messo da parte 600 mila euro, ma poi gli fu detto che servivano altri fondi «per la politica» e la cifra effettivamente fatturata è pari a 850 mila euro, dai quali bisogna togliere la sua «provvigione» di 100 mila euro. Chi ha preso la differenza? La domanda sarà girata a Riccardo Mancini, fedelissimo del sindaco di Roma che giovedì scorso si è dimesso da amministratore delegato di Ente Eur e viene indicato come uno dei destinatari della «mazzetta». E a Roberto Ceraudo, l’amministratore delegato di Breda finito in carcere la scorsa settimana proprio perché accusato di aver fatto da «collettore» per la tangente. In una cassetta di sicurezza a lui intestata aperta presso il Banco di Napoli sono state trovate banconote fascettate che potrebbero far parte del «tesoretto» nascosto. E proprio su questo il pubblico ministero Paolo Ielo, titolare dell’indagine, ha già ordinato ulteriori verifiche.
Consulenze
negli Stati Uniti
Siamo nel luglio 2008. Nelle stanze del Campidoglio si parla evidentemente dell’acquisto dei filobus, ma non c’è nulla di ufficiale. Eppure i manager sono già allertati. Due relazioni della Guardia di Finanza allegate agli atti documentano come «gli accordi contrattuali relativi al rapporto di consulenza sono stati formalizzati in Italia addirittura prima dell’emanazione del bando da parte di "Roma Metropolitane"». Gli investigatori hanno rintracciato alcune mail spedite da Ceraudo a D’Incà Levis «nelle quali si parla esplicitamente di un’attività definita "Lobby Rome"».
I due decidono di far ricorso ad un sistema semplice e consolidato: utilizzare una società estera «per procacciare fatture per operazioni inesistenti finalizzate alla costituzione della provvista da utilizzare per attività illecite connesse all’appalto». Viene scelta la «Systematic Enterprise LLC». In un «addendum» ai contratti già siglati, sottoscritto il 16 settembre 2008, viene fissata anche la percentuale, pari al 2,69 per cento». Per l’accusa le date sono fondamentali. L’appalto viene infatti assegnato al consorzio di imprese di cui entrerà a far parte Breda, soltanto due mesi dopo, esattamente il 20 novembre 2008, eppure tutto è già stato predisposto.
Le cinque fatture
contraffatte
Nell’ordinanza di arresto di D’Incà Levis è ricostruito il percorso dei soldi. Il 5 marzo 2009 la «Systematic Enterprise LLC» emette la prima fattura da 264.153 euro a Breda che però non la contabilizza. Lo stesso procedimento viene utilizzato il 3 luglio dello stesso anno per un importo di 226.967 euro e il 24 settembre successivo per un cifra pari a 358.600 euro. Tutti i soldi vengono bonificati su un conto aperto presso una filiale Barclays Bank di Londra. Il «nero» è dunque accantonato, ma evidentemente ancora non basta. Nel novembre e nel dicembre 2011 vengono infatti emesse altre due fatture per un totale di 356.497 che però non risultano ancora pagate. È che potrebbero rappresentare il veicolo per accantonare un’ulteriore «mazzetta» da utilizzare in futuro.
Di certo c’è che i primi 750 mila euro sono già stati distribuiti, come ha raccontato nel suo verbale di interrogatorio dell’8 gennaio scorso proprio il mediatore. Da Londra li ha spostati su un conto in Svizzera «e poi li ho consegnati in tre tranche a Ceraudo. Le prime due volte ho dato disposizioni alla banca di consegnare i soldi a una persona che mi aveva indicato un amico che ha provveduto a farli arrivare a Ceraudo. La terza parte l’ho bonificata su un conto BSI SA Lugano che mi aveva indicato lo stesso Ceraudo». E proprio Ceraudo «nel corso di una conversazione avvenuta via Skype, fece riferimento alla "segreteria di Alemanno" come destinataria delle risorse finanziarie».
Le banconote
nel forziere
La richiesta di rogatoria per controllare la movimentazione dei conti esteri è già partita ma, come anticipa il suo legale Alessandro Diddi, «il signor D’Incà Levis — che si trova attualmente in libertà — ha già fornito documentazione inconfutabile e altra ne consegnerà nei prossimi giorni proprio per mettere a tacere tutte le illazioni riguardanti possibili strumentalizzazioni politiche». Una risposta diretta ad Alemanno che aveva parlato di «falsità a fini elettorali». E in attesa delle nuove carte, la Finanza è al lavoro per scoprire l’origine dei contanti trovati nella cassetta di sicurezza di Ceraudo.
I soldi sono stati trovati durante una perquisizione effettuata il primo ottobre scorso. Si tratta di 397 banconote del valore di 500 euro ciascuna per un totale di 198.500 euro avvolte in una busta bianca cautelata con elastici. Sono in corso specifici approfondimenti volti a ricostruire la tracciabilità delle banconote, essendo già emerso che le stesse — da un preliminare esame dei numeri di matricola — risultano essere in parte consecutive e tutte provenienti dall’estero essendo state immesse sul mercato dalle banche centrali di Austria e Germania». E tanto basta per verificare se possano essere il provento di altri affari illeciti.
Fiorenza Sarzanini