Fabio Gambaro, la Repubblica 27/01/2013, 27 gennaio 2013
CARRÈRE. MA NON VOLEVO SI TRASFORMASSE IN MITO
«È stato teppista in Ucraina, idolo dell’underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso nell’immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados.
Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna». È in questi termini che il francese Emmanuel Carrère parla di Eduard Limonov, l’imprevedibile e controverso scrittore russo a cui ha dedicato una biografia di grande successo: Limonov (Adelphi).
Autore di culto molto apprezzato, Carrère adora mescolare realtà e finzione, proponendo libri ibridi in cui non esita a mettersi in gioco in prima persona. Lo ha fatto anche nel caso di Limonov. «L’ho conosciuto all’inizio degli anni Ottanta a Parigi — ci racconta — dove si era stabilito poco dopo la pubblicazione del suo primo romanzo».
«All’epoca ci eravamo anche un po’ frequentati», racconta il cinquantacinquenne scrittore francese. «Era un artista emarginato e stravagante, le cui provocazioni apparivano lontane dalla serietà un po’ grigia dei dissidenti sovietici dell’epoca. Ci sembrava una specie di Jack London russo».
In seguito lo ha perso di vista?
«Sì, ma ogni tanto giungevano notizie che lo rendevano meno simpatico. Ad esempio, nei Balcani ha combattuto al fianco dei serbi. Più tardi in Russia ha creato il partito nazionalbolscevico che assomigliava a una specie di milizia fascista. Nel 2006 però, a Mosca, mi sono reso conto che Limonov era molto stimato dall’opposizione democratica russa. A me sembrava una specie di fascio-comunista, ma i democratici del suo paese lo consideravano quasi un eroe. Sorpreso e incuriosito, ho deciso allora di fare un reportage su di lui, scoprendo un personaggio assolutamente romanzesco, la cui storia mi dice molto della Russia contemporanea e del caos ideologico in cui viviamo. Oltretutto, ricostruire la biografia di Limonov mi ha permesso di scrivere qualcosa che non avevo mai scritto, vale a dire un romanzo d’avventura un po’ alla Dumas».
Alla fine ha capito chi è veramente Eduard Limonov?
«È uno che coltiva l’ambiguità, un personaggio sfuggente. Mentre scrivevo il libro, spesso non sapevo cosa pensare di lui. Da un lato mi sembrava un personaggio affascinante e picaresco, dotato di grande vitalità, energia e coraggio. Dall’altro mi sentivo a disagio per certe scelte e dichiarazioni ingiustificabili. Temevo di valorizzare troppo un individuo discutibile. Alla fine ho cercato di mostrare le sue diverse facce, senza rinchiuderlo in uno schema precostituito».
Un eroe maledetto?
«Forse. In ogni caso un ribelle che non si è mai schierato dalla parte del potere. Nel 2004, dopo due anni e mezzo di prigione, avrebbe potuto diventare uno scrittore adulato e ben pagato. Invece è rimasto povero ed emarginato. Nonostante in lui ci sia una dimensione indiscutibilmente fascista, è sempre stato dalla parte delle minoranze e dei più deboli. È un po’ un Robin Hood, il che lo rende simpatico. In definitiva, è un uomo rimasto fedele al sogno di tutti i bambini di vivere una vita avventurosa».
Perché ha scritto la biografia mettendosi in scena apertamente?
«Non ho la pretesa di dire la verità assoluta su Limonov, ma solo la storia come l’ho vista io. Il mio è al contempo biografia e romanzo, di cui, per onestà nei confronti del lettore, rivendico la soggettività. Non è una biografia all’americana con centinaia d’interviste. Per ricostruire la sua vita, mi sono basato soprattutto sui suoi libri, fidandomi di lui e della sua memoria. Perché sono convinto che nei libri non abbia mentito, il che naturalmente è perfettamente discutibile».
Come ha reagito il diretto interessato?
«Ha deciso di non fare commenti né rettifiche. Non nasconde però di essere contento, dato che il libro gli ha permesso una specie di resurrezione. In Francia, molti dei suoi libri che erano ormai esauriti sono tornati in libreria. Ciò mi fa molto piacere, perché è innanzitutto uno scrittore di valore, autore di libri importanti. Soprattutto i romanzi autobiografici, meno i suoi libri politico-filosofici».
Cosa crede che pensi Limonov di lei?
«Con me è sempre stato gentile e disponibile, ma al contempo distante. Non ha mai cercato di affascinarmi o di sembrare migliore o diverso da quello che è. Io e lui non apparteniamo allo stesso mondo. Per lui sono un intellettuale borghese e socialdemocratico, il che, dal suo punto di vista, è il peggio che ci possa essere. Eppure mi ha dimostrato una certa riconoscenza e simpatia. L’ultima volta che ci siamo visti a Mosca mi ha detto: “Ti auguro di finire male”. Che per lui è probabilmente un augurio molto amichevole».