Rory Cappelli, la Repubblica 27/01/2013, 27 gennaio 2013
“FATE USCIRE BEVILACQUA DA QUELLA CLINICA PRIVATA” LITE TRA COMPAGNA E SORELLA
[La convivente: lo stanno uccidendo. Primi indagati tra i medici] –
ROMA
— «Allucinante. Questa storia non è altro». Commenta così Anna Bevilacqua la denuncia per lesioni colpose presentata alla procura di Roma da Michela Macaluso, compagna da 20 anni del fratello Alberto Bevilacqua da oltre tre mesi ricoverato in terapia intensiva per uno scompenso cardiaco nella clinica Villa Mafalda della capitale. Una vicenda che di certo non sarebbe tale se la legge italiana riconoscesse gli stessi diritti-doveri alle coppie di fatto, se cioè Michela Macaluso — che vorrebbe lo scrittore curato in una struttura pubblica — potesse scegliere, come potrebbe una moglie, dove ricoverare il suo uomo. «Ma spostarlo lo metterebbe in pericolo» dice ancora Anna Bevilacqua: «Si figuri che io volevo farlo trasferire più vicino a me, ma me l’hanno sconsigliato». «Voglio solo salvare la vita di Alberto », spiega invece Michela Macaluso, un passato da attrice di B-movie con il nome d’arte di Michela Miti e un presente da scrittrice di poesie. Sottolineando anche di non essere «mai stata informata della terapia seguita dalla clinica». E rivelando che lo scrittore ha contratto «un’infezione multi resistente che può portare ad esiti letali» e che per questo ha bisogno del «trasferimento in strutture specializzate». La storia ha inizio l’11 ottobre 2012 quando lo scrittore si sente male: ha uno scompenso cardiaco e il suo cardiologo, Mauro Cacciafesta, gli consiglia un controllo a Villa Mafalda. Ci arriva in taxi insieme alla compagna. Resta in terapia intensiva fino al 15 novembre quando «senza essere in condizione di farlo, convinto da qualcuno » racconta la direzione della clinica, ne esce. «L’ha convinto lei» dice la sorella. «Ma il 24 novembre è costretto a rientrarci». Pochi giorni fa, poi, contrae anche la klebsilla, un batterio che provoca la polmonite: l’ha preso in clinica, accusa la Macaluso. «Non è vero, l’aveva già quando è arrivata» ribattono i sanitari «anche perché è un’infezione che si trasmette per contatto: e qui nessun paziente ce l’ha»: però l’incubazione è tra i due e i dieci giorni. È a questo punto che la convivente si rivolge a un legale: essendo la compagna non può far uscire lo scrittore dalla clinica dove, secondo lei, si sta talmente aggravando da temere per la sua vita. La denuncia arriva in procura, il fascicolo, che conta già i primi indagati tra i medici come atto dovuto, viene aperto dalla pm Elena Neri per lesioni colpose: i Nas venerdì sera fanno una visita alla clinica per visionare la cartella clinica. Si procederà per accertare eventuali responsabilità della clinica che, a detta della Macaluso, non vuole lasciarlo andare: «Non me lo fanno portare via». Lei vorrebbe andare in un ospedale pubblico, «dove è più garantito». Ma anche se ci fosse una condanna, la procura non avrà mai il potere di trasferirlo.
«Perché voglio che resti lì? Me l’ha chiesto lui» spiega Anna Bevilacqua. «Mi ha guardato negli occhi, gli ho chiesto vuoi restare qui?
Sì, sì, mi ha detto lui muovendo anche la testa e facendomi un sorriso». La stessa cosa la riferiscono i medici di Villa Mafalda: «È cosciente e ha chiesto di restare qui, presso la nostra struttura». Ma non è un po’ troppo 3200 euro al giorno per tenere il paziente in terapia intensiva? Ormai il totale dovuto ha superato i 300 mila euro (di cui una parte è già stata saldata). «Non saprei: e comunque abbiamo chiesto l’intervento di un tutore, come si fa in questi casi, per amministrare i suoi beni e saldare il conto della clinica». Un tutore? E la sua compagna di venti anni? «Credo che non vivessero neanche insieme. E poi mio fratello si è sempre rivolto a me quando aveva un problema: per esempio quando ha avuto problemi agli occhi, oppure quella volta che si è sentito male per la pressione. Sì, è vero: in questo caso sono stata avvertita soltanto a dicembre. Chi è la Macaluso?
Mah, che le devo dire. Era una sua attrice, la conobbe sul set di Gialloparma, di più non saprei, sa, io con lui non parlo di donne: e poi ne ha avute talmente tante, forse per conoscere l’animo femminile, per poterne scrivere, per potersi ispirare».