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 2013  gennaio 28 Lunedì calendario

L’ULTIMATUM DI IBARRA “CHIUDERÒ INFOSTRADA COSÌ BRUCIA CASSA E SERVE SOLO A TELECOM”

[L’ad di wind: “Il sistema regolatorio impedisce la competizione sul fisso. E non si dica che le alte tariffe che paghiamo all’ex monopolista servono agli investimenti nella fibra. Sul mobile da marzo faremo revenue sharing con google”] –
Roma
«S iamo il primo concorrente di Telecom Italia sul fisso: abbiamo il 45% del mercato che non fa capo all’ex monopolista. Sul mobile stiamo andando molto bene e infatti continuiamo a crescere nonostante la crisi. Come clienti e come quota, tanto che puntiamo alla leadership del segmento residenziale entro la fine del 2013. Questo vuol dire semplicemente che sappiamo lavorare. Ma vuol anche dire che se sulla telefonia fissa le cose non vanno, se stiamo bruciando cassa invece di fare margini, ancorchè bassi, c’è qualcosa nel mercato che non va. C’è una regolazione che favorisce troppo Telecom. E se le cose stanno così allora non ci resta alternativa: dovremo lasciare e chiudere Infostrada». Maximo Ibarra è l’ad di Wind. Ha preso le redini del gruppo lo scorso maggio dopo averne guidato la divisione consumer. Siede anche nel board di Vimpelcom, il gruppo russo-norvegese che è il quinto operatore mobile al mondo con i suoi 212 milioni di utenti e che controlla la telco italiana. E vuole arrivare subito al punto. Perché non c’è alternativa alla chiusura di Infostrada? «Il problema è che in Italia la regolamentazione dei rapporti tra Telecom Italia e i suoi concorrenti sulla rete fissa va in un certo modo. Abbiamo un costo di unbundling, l’affitto che paghiamo a Telecom per l’ultimo miglio, che è attualmente di 9,28 euro al mese, tra i più alti in ambito Ue. Questo valore crea a noi e a tutti gli altri operatori alternativi forti
difficoltà di cassa. Infatti, il nostro margine di gestione operativa non ha mai superato il 15-16% (mentre per l’incumbent va oltre il 43%). Se da questa voce togliamo gli investimenti che stiamo realizzando sulla rete per accrescere la nostra copertura, già oggi del 62% della popolazione italiana, andiamo in negativo: la rete fissa per noi brucia cassa. E questo dopo aver pagato una bolletta a Telecom Italia che oggi è di 500 milioni netti di euro l’anno, tanto che siamo il loro miglior cliente». Eppure i numeri che presentate sembrano positivi, anche sul fisso. «Abbiamo 2,5 milioni di clienti Ull, cioè in unbundling, in crescita del 5,5%, e i 2,2 milioni di clienti Adsl in crescita del 6,9%. Ma le condizioni di mercato, con gli ultimi aumenti autorizzati da AgCom lo scorso anno stanno diventando proibitive. Già di fatto stiamo uscendo dal segmento di offerta indiretta, dove rivendiamo traffico voce e dati, ossia dove non gestiamo l’intera linea del cliente ma compriamo capacità all’ingrosso da Telecom. E abbiamo razionalizzato le nostre strutture commerciali, concentrandoci sui punti vendita e sul Web eliminando i canali più costosi. Sono convinto che la nostra parte l’abbiamo fatta, spetta ora ad altri correggere lo squilibrio competitivo, altrimenti il rischio è l’uscita di un player importante come il nostro dal mercato. E senza Infostrada, che insieme a Wind ha investito 900 milioni di euro soltanto nell’ultimo anno, gli effetti sarebbero negativi per i consumatori e per il Paese ». Che cosa chiedete dunque all’Authority? «Basterebbe abbassare almeno di un euro il costo mensile dell’affitto di una linea da Telecom Italia. Sa cosa significa per l’incumbent se la tariffa scendesse da 9,28 a 8,28 euro? Settanta milioni di minori incassi. Per Infostrada, che pesa metà del mercato italiano non-Telecom, sarebbe uno “sconto” di 35 milioni l’anno. Bene, questa cifra ci permetterebbe di non bruciare più cassa in Infostrada. Per Telecom Italia un intervento del genere avrebbe un impatto poco significativo. Quello che mi preme chiarire è che l’aumento delle tariffe unbundling non serve a dare all’incumbent più risorse da investire sulle reti in fibra. Con 70 milioni di euro non si cabla neanche la metà di una grande città come Roma e Milano. Abbiamo rappresentato prove ed evidenze molto solide a sostegno di un decremento del costo del canone sia a livello nazionale che in ambito europeo. Ho fiducia che il nuovo consiglio dell’Agcom sblocchi rapidamente questa situazione con decisioni di segno diverso rispetto a quanto abbiamo visto fino ad oggi». Non c’è anche che Vimpelcom è essenzialmente un gruppo di telefonia mobile e ha poco interesse alle reti fisse? «No, ma i nostri azionisti fanno il loro mestiere e vogliono avere la certezza di non investire risorse a vuoto. Un conto è il rischio di impresa, un conto è sapere che un settore non ha gli economics per andare avanti». Però ora l’Europa raccomanda di non svalutare troppo il valore del rame per permettere agli incumbent, gli ex monopolisti dei mercati nazionali, di investire sulle nuove reti in fibra. L’idea di fondo è che negli Usa il mercato si è concentrato in pochi grandi operatori che investono sulla fibra. Insomma, l’Ue non vi sta dando torto? «No. E posso spiegare perché. La commissaria Ue all’Agenda Digitale Europea Neelie Kroes ha parlato di una forchetta di tariffa “raccomandata” tra i 10 e gli 8 euro al mese, mentre la media europea è oggi di 8,17 euro ed ha anche sottolineato che bisogna tenere conto delle singole specificità nazionali. Anche se la tariffa scendesse di un euro resteremmo sopra la media Ue ma potremmo tornare ad avere un competizione sostenibile». E della concentrazione del mercato che ne pensa? Ci sono troppi operatori in Europa nella rete fissa? Accadrà come nel mobile dove il numero di operatori si sta riducendo? «No, non penso sia davvero così. C’è spazio in Europa e in Italia per una vera e sana competizione. Considerando anche che negli altri grandi paesi europei le reti in rame hanno la concorrenza delle tv via cavo, mentre in Italia no. Tornare al monopolio della rete fissa sarebbe una follia». Ma non c’è un problema di massa critica delle telco europee a fronte delle Internet company? «Altro tema da sfatare. No: non c’è un problema simile. Google, Amazon, Facebook non sono un rischio per le telecom mobili: sono un’opportunità. E non è una speranza: è una realtà. Vimpelcom, a cui fa capo Wind, ha appena siglato un accordo proprio con Google per la revenue sharing dei contenuti comprati dai nostri clienti attraverso il market place di Android, Google Play. Vuol dire che quando un utente comprerà app e giochi, video, musica o e-book attraverso le nostre reti mobili, potrà pagarlo sul suo conto telefonico o scalarlo dal credito della sua prepagata e una parte del ricavo, tra il 15 e il 25%, verrà girata a noi. In Italia partiremo entro marzo». Quindi sta scoppiando la pace tra voi telco e i cosiddetti Ott, ossia chi offre servizi via Internet “over the top”? «Ma non c’è alcuna guerra. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. Noi dei loro servizi che generano traffico, loro delle nostre reti. La strada della collaborazione è ormai stata aperta e il nostro accordo con Google ne è la prova». Questo vale però per le reti mobili. E sulla fissa? «Le reti andranno sempre più ad integrarsi. Per questo abbiamo deciso di unificare la gestione delle attività di sviluppo e manutenzione della rete tra fisso e mobile. Cosa che ci ha permesso tra l’altro di mantenere in azienda 1.700 persone, rinunciando all’esternalizzazione ». Ma non state proponendo di sviluppare la nuova rete Lte assieme agli altri operatori mobili? «Lì è diverso. L’ipotesi è di mettere assieme i costi comuni. I siti, le autorizzazioni, l’alimentazione elettrica fino agli apparati di rete: potremmo arrivare ad avere una sola antenna invece di quattro. Questo ci permetterebbe di spendere meno e di concentrare le risorse così risparmiate sullo sviluppo in tempi più rapidi della copertura di rete e sui nuovi servizi». In pratica sarebbe una specie di Metroweb della banda larga mobile? «Si potrebbe dire così». E non potrebbe essere proprio la stessa società della rete fissa con Cassa Depositi e Prestiti, se si farà, a realizzare anche questa parte di reti mobili? «Tecnicamente sì, ma la trattativa è già abbastanza complicata anche senza il mobile.». Siete favorevoli a che l’accordo Telecom-Cdp si realizzi? «Per noi il discrimine è nella trasparenza e nella parità di accesso. Tutto il resto è secondario. Siamo pronti a partecipare, anche conferendo i nostri asset in fibra, se si andrà in questa direzione. O anche a essere semplici affittuari di una società Telecom-Cdp. Dipende da cosa ci chiederanno e ci offriranno. Ma la parità di accesso e una chiara e trasparente governance sono per noi condizioni irrinunciabili».