Marco Panara, Affari&Finanza, la Repubblica 28/01/2013, 28 gennaio 2013
BANCA-IMPRESA IL CIRCOLO VIZIOSO CAUSA ED EFFETTO DELLA STAGNAZIONE
[Gli istituti avrebbero tutto l’interesse a prestare denaro perché i costi sono bassi e la remunerazione alta, ma la domanda delle aziende non riparte. Così si autoalimenta il meccanismo recessivo] –
Davos L ’anno scorso dominava la paura dell’esplosione dell’euro. Quest’anno tutti si complimentano con Mario Draghi per aver salvato l’euro, l’Eurozona e forse il mondo da una deflagrazione dagli effetti imprevedibili. La paura che serpeggia non è quella eccitante del dramma ma quella meno sexy e apparentemente più tranquillizzante del letargo. La sensazione è che allontanatici dall’abisso ci siamo addormentati, che l’economia europea - ma non solo - si avvii verso una stagnazione che se dovesse durare a lungo potrebbe sfociare in una pericolosa instabilità sociale. I segnali di questo letargo arrivano da dove non li aspetti. Per esempio dal fatto che da un po’ di tempo non arriva sul mercato un prodotto innovativo capace di creare un ciclo nuovo di domanda e investimenti. Oppure dalle previsioni e dalle scelte di manager e imprenditori. PwC ne ha sondati 1.300 in 68 paesi inclusi i Bric - e solo poco più di un terzo si aspetta un aumento del fatturato nel 2013. Nel 2011 gli ottimisti erano il 50%. E se non si prevede di crescere che si fa? La cura che Marchionne ha adottato nei tre anni passati alla Fiat: si bloccano gli investimenti. E poi si taglia. Lo farà il 70% dei Ceo intervistati da PwC, che indica come principale attività per i prossimi dodici mesi la riduzione dei costi. Angela Merkel si è posta il problema: «La crescita globale è debole e la situazione dell’Europa contribuisce a questa debolezza. Deve aumentare la capacità di credito delle banche». Anche l’Fmi
di Christine Lagarde ha posto il problema del credito, ma ha acceso un faro sull’adeguatezza degli accantonamenti nei bilanci delle banche a fronte delle sofferenze (sovrastimando le sofferenze italiane rispetto a quelle degli altri paesi). Il dato è che il credito è fermo e in alcuni paesi come l’Italia diminuisce: questo è causa ed effetto allo stesso tempo della mancata crescita. Effetto perché se l’economia non cresce, se i Ceo non si aspettano aumenti del fatturato, nessuno investe e quindi la domanda di credito è bassa. Causa perché se il credito non gira, anche chi vorrebbe consumare o investire non lo fa, riducendo così la dinamica della domanda. In Italia, dove dal 2008 alla fine del 2013 la caduta del Pil arriverà all’8% e quella della produzione supererà il 25%, le cause più rilevanti del crollo del credito sono una strutturale e una economica, con quest’ultima che agisce sia sul fronte della bassa domanda che sulla risposta insoddisfacente alla domanda che arriva. La causa strutturale sta nel cambiamento del modello di business bancario nel nostro paese. Le banche italiane hanno un tradizionale eccesso di impieghi rispetto alla raccolta diretta, con i primi che sono arrivati a rappresentare il 130% della seconda. Quel 30% di differenza è stato coperto negli anni buoni con il credito internazionale e in questi ultimi cattivissimi anni dai finanziamenti della Bce. A questo punto le banche hanno capito che il rapporto tra raccolta diretta e impieghi deve trovare un equilibrio stabile e quindi cercano nei limiti del possibile di aumentare la raccolta ma soprattutto di ridurre gli impieghi. La causa economica è più complessa. In teoria le banche avrebbero tutto l’interesse a prestare denaro - è il loro lavoro e la loro fonte di reddito - ma nella realtà in questa fase prestare denaro per loro non è conveniente perché la remunerazione (ovvero la famosa forbice tra i tassi passivi e quelli attivi) è bassa mentre il costo del rischio (le sofferenze) altissimo. Questa che stiamo vivendo è una recessione lunga e sono decine di migliaia le imprese e molte le famiglie che non riescono a pagare gli interessi e a ripagare i debiti contratti. Le sofferenze delle banche sono altissime e continueranno a crescere nel 2013. La Banca d’Italia sta esercitando una pressione discreta ma insistente perché a fronte delle sofferenze in crescita vengano accantonati fondi adeguati, che andranno a mangiare margini già molto bassi, talvolta annullando gli utili e in qualche caso erodendo anche il capitale. Dimensione del capitale e utili sono i parametri che segnano lo spazio di manovra di una banca, la sua possibilità di erogare il credito, e la pressione che l’aumento delle sofferenze pone su di essi non è una buona notizia per l’aumento del credito all’economia. La carenza di credito non aiuta ovviamente la crescita, ma sta avendo degli effetti collaterali che potrebbero però aumentare la crescita potenziale in futuro. Il primo effetto è un processo che potremmo definire l’inizio della fine del monopolio bancario nell’erogazione del credito. Dovendo ridurre gli impieghi ma non volendo ammazzare le imprese, la prima cosa che le banche hanno cominciato a fare con i loro clienti di maggiori dimensioni è stato spingerle verso un rapporto diretto con il mercato con l’emissione di obbligazioni. Invece di rinnovare credito bancario le imprese medio grandi hanno emesso bonde con quello che hanno incassato hanno restituito i soldi alle banche. È un processo virtuoso perché l’esposizione diretta al mercato impone alle imprese una trasparenza maggiore e parametri e scadenze più rigide rispetto al rapporto con la banca: se il debitore non paga alla banca una rata si tratta la ristrutturazione del debito, se non paga una obbligazione alla scadenza va in default. Con i minibondprevisti dal governo Monti, la platea delle aziende che possono sostituire il credito bancario con l’accesso diretto al mercato ha cominciato ad allargarsi. Secondo Mediobanca potrebbe arrivare a 50 miliardi. Il secondo effetto è la selezione. Non potendo prestare soldi a tutti (in passato lo hanno fatto fin troppo) le banche sono costrette a scegliere, con l’effetto talvolta di condannare a morte chi viene escluso. È una selezione che butta fuori dal mercato le imprese più deboli ma consente alle più solide, quelle più internazionalizzate, meglio organizzate e gestite, di crescere rapidamente con acquisizioni a prezzi sino a ieri impensabili. E’ un processo crudele ma che potrebbe determinare un rafforzamento del sistema attraverso un aumento della dimensione delle imprese sopravvissute. Oltre a selezionare tra le più forti e le più deboli, le banche hanno cominciato a selezionare all’interno delle catene di controllo. Non potendo più prestare soldi a tutti gli anelli della catena, le banche stanno sempre più concentrando la loro esposizione sulle società operative, quelle che producono la ricchezza e hanno i flussi di cassa diretti. Per converso sono sempre meno disposte a finanziare le società di controllo, determinando così una serie di conseguenze: la più rilevante è che gli assetti proprietari cominciano a cambiare. Lo si è visto clamorosamente in Fonsai, si sta vedendo nella catena di controllo della Pirelli, si vedrà in altri casi in futuro. Un terzo tipo di selezione è in atto dove ci sono debiti da ristrutturare. In questi casi le banche chiedono all’imprenditore di aumentare il capitale dell’azienda come condizione all’erogazione di nuovo credito. Se l’imprenditore non dimostra concretamente, mettendoci dei soldi, di credere nel futuro della sua azienda, la banca si tira indietro. L’insieme degli effetti collaterali della riduzione del credito bancario, un più diffuso accesso diretto delle imprese al mercato da un lato e la selezione dei debitori dall’altro, potrebbe farci risvegliare dal letargo con una struttura economica certamente ridotta ma forse più forte, più dinamica e più capitalizzata. Ma il percorso è lungo, accidentato e denso di rischi. Il rischio principale è che il banchiere non faccia bene il suo mestiere non finanziando soggetti che lo meriterebbero. Un rischio concreto non solo perché errare è umano, ma soprattutto perché molte banche hanno automatizzato i processi creditizi perdendo professionalità e conoscenza diretta delle aziende e dei settori. La buona notizia è che le banche hanno liquidità abbondante e a buon mercato: se la discesa del Pil si fermerà ed entro i prossimi due trimestri si comincerà a vedere una lucina, le banche dovranno ricominciare a prestare soldi. In qualche modo i loro bilanci dovranno pur farli.