Eleonora Barbieri, il Giornale 27/1/2013, 27 gennaio 2013
L’UOMO CHE HA FATTO AFFARI VENDENDO LA BONTÀ AI RICCHI
Tutto è cominciato con Bono e Bill Gates. Era l’inizio del 2001 e Trevor Neilson lavorava per la Fondazione di Bill e Melinda: il cantante degli U2 cercava tre milioni di dollari per il debito delle nazioni povere. Alla Fondazione i capi di Neilson erano scettici, così lui fece da solo: organizzò un incontro fra il grande capo di Microsoft e la star al Waldorf Astoria a New York. Poco tempo dopo, la Gates Foundation fece la prima di molte donazioni alla fondazione di Bono.
Trevor Neilson allora non era quasi nessuno: un ragazzo promettente che aveva lavorato alla Casa Bianca per Bill Clinton e poi si era dato alla filantropia. Era terrorizzato di avere agito di testa sua.Oggi è l’uomo che fa girare la bontà dei ricchi e famosi: con il suo Global Philanthropy Group consiglia le cause da sostenere, la strategia da seguire, gli eventi a cui partecipare. Porta i suoi clienti a Washington, alle Nazioni unite. Li mette a sedere in conferenza stampa perché con la loro faccia possono raccogliere molto più di tante parole, per gli orfani del Darfur, per i senzatetto di Los Angeles, per i ragazzini di strada, per Haiti, per l’agricoltura sostenibile, per il microcredito all’imprenditoria femminile, per l’indipendenza dal petrolio, per i terremotati, per i profughi, per la lotta all’Aids, per l’acqua, le scuole, il cibo, i vestiti. Tutto finisce nel calderone della bontà: basta scegliere la causa giusta, e questa è la specialità di Neilson e del suo gruppo. Dall’altra parte servono soltanto due cose: il volto, e i soldi. Se sei Kobe Bryant, Angelina Jolie, Demi Moore, Shakira, Avril Lavigne, Jim Carrey, Ben Stiller, Eva Longoria ti basta mostrarti: serio, impegnato, convinto. Devi essere pronto sull’argomento, certo, ma poi il resto è facile: non c’è nemmeno bisogno di donare troppo. Ci sono cause che si alimentano della fama di chi le promuove: è questa la filosofia di Neilson, che lo distingue dalla vecchia scuola, quella della filantropia milionaria. Ma secondo Neilson questa è anche la via più facile per restare nel ramo: cioè per continuare a sostenere buone cause, anche in futuro.
Fra i clienti del Global Philanthropy Group ci sono la Fondazione di Howard Buffett (figlio di Warren), quella di Bill Clinton, quella di Bill e Melinda Gates. C’era Angelina Jolie, che è stata una delle prime dive a seguirlo, prima che Neilson diventasse il «consulente filantropico » di decine di star. Lui racconta di averla incontrata in un bar durante il World Economic Forum a Davos nel 2005 e poi ha lavorato con lei ( per esempio «vendendo » le sue foto con il nuovo figlio adottivo in cambio di servizi sui problemi umanitari in Cambogia) e anche con Brad Pitt per la raccolta di fondi dopo l’uragano Katrina. Poi l’amore con la coppia Jolie-Pitt è finito, ma le celebrità hanno continuato a telefonare al Global Philanthropy Group, che dal 2008 si è trasferito a Santa Monica. La sede è a due passi dal Pacifico e a pochi chilometri da Hollywood. È in California che Neilson e la moglie Maggie ( amministratore delegato del gruppo) hanno trovato l’ambiente più adatto al loro scopo: fare fruttare la generosità. La bontà per ripulire l’immagine di una star finita nei guai, ma anche per rilanciare una carriera, o per chi ci crede davvero, o per chi si sente in colpa per i milioni che ha. Neilson e soci consigliano: un test di cento domande, per capire dove batta la passione filantropica del vip. Poi si parte. «Una volta il cinismo era figo, ora vogliamo fare in modo che sia figo essere buoni» ha detto lui al New York Times . Del resto lui, per fare sentire buoni i suoi clienti, si fa pagare fino a duecentomila dollari l’anno. Non è una lista in cui si possa entrare facilmente, quella di Neilson: anche nella bontà ci sono le graduatorie, e nelle graduatorie ci sono i dollari. A milioni, ma profumano di buono.