Andrea Kerbaker, Il Sole 24 Ore 27/1/2013, 27 gennaio 2013
SFIDA ALL’ULTIMO GETTONE
Ricordo perfettamente il giorno in cui mi sono imbattuto nel mio primo "Gettone". Era l’ottobre del 1981, avevo 21 anni e mi trovavo a Milano in via Unione, proprio dietro piazza del Duomo, in una libreria del circuito Remainders, dove, dopo anni di magazzino, i libri che nessuno aveva voluto finivano in malinconica offerta a prezzi bassissimi. D’un tratto, il mio sguardo viene attirato da un volumetto con una copertina di un nitore assoluto: autore, titolo, struzzo di Einaudi, su uno sfondo di un giallo abbagliante e totalmente anacronistico. Sconosciuto lo scrittore, tale Sergio Civinini; mai sentito il titolo, Stagione di mezzo. Ma quella pulizia grafica ha un suo fascino. «Non dirmi che si tratta di un Gettone», penso mentre lo prendo in mano. Lo è: il numero 39 della collana; me lo porto a casa per 500 lire.
Ero piuttosto felice. Di quella collezione einaudiana, infatti, sentivo parlare da molto tempo, soprattutto all’università, dove seguivo i corsi di letteratura contemporanea tenuti da Sergio Antonielli. Lui ci aveva raccontato di quella collana dove Elio Vittorini aveva tenuto a battesimo una serie di talenti: Fenoglio e Sciascia, Testori, Ottieni o Rigoni Stern... nomi che in quei primi anni Ottanta rappresentavano la punta della narrativa nazionale, e che Vittorini aveva messo in fila seguendo unicamente il suo gusto, riservandosi il diritto di includere ed escludere a piacimento (lì, soprattutto, tra mille polemiche, non aveva voluto pubblicare Il gattopardo, maggiore successo editoriale dell’Italia di quegli anni).
Così, quel giorno di ottobre dell’81, la caccia ai Gettoni era iniziata. Da subito mi furono presenti le difficoltà di rintracciarli: si trattava di 58 libri, usciti tra il 1952 e il 1958, quasi tutti in una sola edizione, molto spesso in poche centinaia di copie. Ma, come sempre nel collezionismo, la fortuna ci ha messo una mano. Presto ecco arrivare un nutrito gruppo di Gettoni presso il mercatino di Andrea Giunta in Piazzale Dateo, un’affascinate costruzione di cassette di frutta dove si accatastavano libri di ogni tipo. I titoli della collana giungevano a spizzichi e bocconi, ed erano in gran parte tra i più ricercati. Ecco, per esempio, l’esordio narrativo di Leonardo Sciascia, con i tre racconti degli Zii di Sicilia; oppure L’entusiasta del giovane Giovanni Pirelli, quello che aveva rinunciato all’azienda per fare lo scrittore; o L’entrata in guerra, con i racconti di un Calvino poco più che trentenne. Costavano 4.000 lire, 2 euro di oggi; un prezzo davvero basso, sul quale mi veniva fatto uno sconto ulteriore in considerazione della giovane età. Oggi il Calvino vale sui 200 euro e il primo Sciascia anche il doppio. Ma per me, allora come adesso, il valore era quello di possedere quei libri così importanti, arricchiti dai risvolti di Vittorini: concentrati di intelligenza, acume e spessore critico, veri e propri saggi in poche righe. Leggendoli, scoprivo i filoni della collana, dalle tranches de vie giovanilistiche ai resoconti bellici, come il Deserto della Libia di Mario Tobino o il celeberrimo Sergente nella neve di Rigoni Stern.
Con l’aiuto di qualche trouvaille sulle bancarelle milanesi, in qualche anno sono giunto ad avere più o meno una ventina di titoli, che conservavo gelosamente in uno scaffaletto, sognando il giorno in cui avrei completato la raccolta. A questo scopo, avevo allertato tutti i bancarellai, che mi avevano in simpatia per l’età. Ma non ero l’unico in caccia: c’erano almeno altri due concorrenti, tra cui - temibilissimo - lo stesso Giulio Einaudi, al quale curiosamente mancavano alcuni esemplari, forse persi in qualche trasloco.
Comunque a quel punto era chiaro che il reperimento fortunoso non poteva più bastare: ho iniziato a estendere la ricerca a qualche catalogo, di quelli abbordabili per un ragazzo di una ventina d’anni. Una libreria romana e una bolognese avevano offerte novecentesche molto buone, dove a volte ne comparivano. Certo, i prezzi erano diversi da quelli delle bancarelle: si andava sulle 30 o 40mila lire. Ma avevo iniziato a lavorare, e molti degli autori se lo meritavano davvero: per esempio Fausto e Anna, ponderosa opera del primo Cassola, non ancora bollato quale «Liala del ’63», come avrebbero fatto più tardi i crudeli esponenti dell’avanguardia; o i memorabili Ventitre giorni della città di Alba di Fenoglio, un autore che amavo fin dai tempi del liceo.
Non c’erano solo italiani. Saltuariamente, la collana aveva presentato anche qualche straniero: autori in genere poco noti come Robert Antelme o Pierre Gascar. A differenza dei nostri, questi scrittori avevano avuto scarsa fortuna e si trovavano facilmente, con una sola eccezione: la mitica Biblioteca di Babele, prima traduzione italiana di Jorge Luis Borges. Quella a prezzi abbordabili non si vedeva mai ... a meno che non entrasse in campo lo stellone del collezionista. Nel mio caso, l’ho intravista una sera a casa del mio amico Marco Vigevani. Era la copia che gli aveva passato suo papà, lo scrittore Alberto. Quando gli ho palesato tutto il mio desiderio, me l’ha regalata, con la generosità che lo ha sempre contraddistinto.
Il tempo passava ... al principio degli anni Novanta lo scaffaletto aveva ancora una decina di buchi; il più raro era Il visconte dimezzato di Calvino, trovato poi nel ’93 a Bologna per 80.000 lire (40 euro di oggi, quando la sua quotazione oscilla tra i 300 e i 500). Fino a che non ne è mancato soltanto uno: La malora, di Beppe Fenoglio. Non si trovava da nessuna parte. Quando, finalmente, è comparso in un catalogo, non credevo ai miei occhi. Era l’aprile del 1994: per completare la collezione ci avevo messo dodici anni e sei mesi. E ancora, quando mi arriva un catalogo, mi manca quella sensazione di dover correre a sfogliarlo per controllare se non c’è proprio quel Gettone che mi manca...