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 2013  gennaio 26 Sabato calendario

ILVA, LA SCUOLA DEI VELENI

L’Agenzia pugliese per la prevenzione ambientale sta per comunicare i nuovi dati sulle emissioni inquinanti dentro e fuori dall’Ilva. In particolare, nelle aiuole della scuola elementare Deledda, quattrocento alunni, i monitoraggi sulle diossine compiuti in due punti sullo strato superficiale del suolo (per cui il limite previsto dalle bonifiche è di 10 nanogrammi per kg) rilevano in
uno 10,2 e nell’altro 18 ng/kg.
In quell’istituto i monitoraggi sulle diossine compiuti in due punti sullo strato superficiale del suolo (per cui il limite previsto dalle bonifiche è di 10 nanogrammi per kg) rilevano in uno 10,2 e nell’altro 18 ng/kg. Superamenti riguardano anche le concentrazioni di idrocarburi policiclici aromatici, come il benzo (a) pirene, il cui “aroma” è percettibile a naso nudo nella scuola.
I nuovi controlli erano stati richiesti dal sindaco, che ha disposto il transennamento delle aiuole. La legge prevede una valutazione del rischio successiva alla constatazione del superamento del limite, ma la procedura burocratica suona inappropriata a un ambiente quotidiano infantile, e ci si chiede come lasciare ancora una scuola elementare in un punto così esposto. (La Deledda era già oggetto di allarme dopo che si è scoperto che nel suo sottosuolo corrono tubature dell’Ilva di cui il Comune non possedeva la mappa). Benché le diossine si assorbano al 90 per cento per via alimentare, e solo in dosi molto elevate per inalazione o contatto (il caso di Seveso, ripercorso nella sua vicenda agghiacciante da Paolo Rabitti,
Diossina, Feltrinelli), l’inquinamento di un giardinetto, dove i bambini giocano e mettono le mani in bocca, evoca il fantasma della cloracne. Da tempo un’ordinanza comunale vieta di far giocare i bambini
nei giardini pubblici dei Tamburi. In ottobre un parere dell’Istituto superiore di sanità aveva escluso il rischio, mostrandosi incline alla minimizzazione. All’altro capo, si capisce che genitori di bambini e abitanti dei Tamburi (e del resto della città) leggano i dati secondo i loro affetti e la loro esperienza. Il registro dei tumori è eloquente: ma non troverete un tarantino che non vi elenchi il numero di morti fra i suoi famigliari e conoscenti.
Il responsabile dell’Arpa, Assennato, diffidente degli allarmismi quanto delle minimizzazioni, spiega che i nuovi dati, senza motivare un allarme sanitario immediato, confermano la gravità del rischio ambientale. La sorgente inquinante è concentrata nelle emissioni diffuse dell’impianto di agglomerazione: le diossine imbrigliate nel famigerato camino E312 (212 metri) sono piuttosto spostate dai fumi alle polveri, e portate in giro a piacere dei venti, di cui Taranto abbonda. Sul “campionamento in continuo” (non sporadico e non inficiato dal preavviso delle ispezioni) l’Ilva è inadempiente da quattro anni. La riduzione dal pennacchio ai filtri sarebbe un buon segno solo se ci fosse un efficace smaltimento delle polveri.
Le emissioni rilevate a distanza (ma la Deledda è a cento metri dal perimetro Ilva e a cinquecento dalla cokeria) sono tanto più forti per i lavoratori che le ricevono direttamente. La nuova analisi, come già quelle dei periti giudiziari, mostra che la contaminazione è recente, e non residua da depositi vecchi. La Puglia si era dotata in anticipo di una legge sulla diossina: ma tra la legge e la sua attuazione stanno i controlli del processo produttivo. La restituzione all’azienda dei poteri affidati ai custodi giudiziari fa temere un serio passo indietro. A Giorgio Assennato piacerebbe che si stesse ai fatti, ma a è lui stesso a concludere: «Poi ai Tamburi ti trovi di
fronte una mamma angosciata con il bambino di due anni in braccio, che non ha i soldi per portarlo a vivere altrove».
I nuovi dati incendieranno i prossimi giorni, nei quali si gioca la partita della chiusura o della sopravvivenza, e soprattutto di quale sopravvivenza e quale chiusura. Ha fatto discutere una frase del ministro Clini sulla inesistenza di un “piano B” al di là della legge sull’Ilva. Clini — che se le cerca — intendeva dire che il pronunciamento della Corte costituzionale è troppo lontano perché l’Ilva con le merci sequestrate ci arrivi. Ma anche questa interpretazione fa cadere le braccia. In verità non esiste se non un piano B, e la sua condizione è che a guidare il destino dell’Ilva non siano i Riva.