Gianluca Paolucci, La Stampa 27/1/2013, 27 gennaio 2013
PROSSIMA FERMATA, IL NUOVO MONDO
Era la mattina dell’8 gennaio 1902, e il treno per White Plains stava percorrendo come sempre il Park Avenue Tunnel, carico di pendolari. La galleria era satura del fumo prodotto dalle locomotive a vapore e il conducente non si accorse che davanti a lui il locale per Danbury si era fermato. Nell’impatto morirono 15 passeggeri, ma nacque l’idea per la trasformazione urbanistica più ambiziosa di New York.
Quella tragedia convinse il capo ingegnere della Central Railroad, William Wilgus, che era venuto il momento di chiudere un’epoca. Basta vapore; bisognava costruire un sistema ferroviario elettrico che consentisse di far arrivare in sicurezza i vagoni nel cuore di Manhattan, passando dentro tunnel che sarebbero terminati in una stazione bella e funzionale come un salotto. Un’opera d’arte, piena di negozi, ristoranti e servizi; una città nella città, capace di sostenersi con i profitti che poteva generare diventando una destinazione.
Una miniera d’oro Il proprietario delle New York Central & Hudson River Railroad, Cornelius Vanderbilt, detto «il Commodoro», si appassionò all’idea: «Abbiamo la missione di fare il bene dell’umanità, ma anche il nostro. Trasformeremo la stazione in una miniera d’oro». Così cominciarono i lavori del Grand Central Terminal, che la notte del 1° febbraio compirà cent’anni.
Raramente una stazione, o un edificio, ha cambiato così tanto una città, facendo della 42esima strada il centro del commercio e degli uffici a Manhattan. Per costruirla ci vollero 10 anni, 18.600 tonnellate di acciaio, marmi importati anche dalle cave bresciane di Botticino, e un investimento equivalente a 2 miliardi di dollari di oggi. La progettarono gli architetti di due studi, con l’intento di farne il terminal ferroviario più grande del mondo. Cosa che è ancora oggi: 45 piattaforme e 63 binari sistemati su due piani, 20 ettari di terreno occupati, 33 miglia di strada ferrata, e circa 2,5 milioni di metri cubi di terra scavati, scaricati a Ellis Island.
Il salone centrale, esempio unico della Beaux Art, è lungo 84 metri, largo 37 e alto 38. Sulla volta Paul Helleu affrescò un cielo d’ottobre, con 2.500 stelle, di cui 59 illuminate. Ma quando il lavoro era finito, un astronomo amatoriale di New Rochelle che prendeva il treno si accorse che erano al contrario. Vanderbilt non si scompose, rispondendo che ci si era basati si un manoscritto medievale che descriveva come Dio vedeva la volta stellata.
Il primo treno che lasciò la stazione fu il Boston Express No. 2, che partì alle 12 e 1 minuto della notte fra il 1° e il 2 febbraio 1913. Era l’epoca d’oro del trasporto ferroviario, e nelle sale per il cambio dei vestiti le signore potevano anche affittare una cameriera, per 25 centesimi. Si mangiava in ristoranti di ogni tipo, come l’Oyster Bar, dove ancora oggi servono aragoste e la «New England clam chowder», strepitosa crema alle vongole che consumò anche Ishmael prima di imbarcarsi per dare la caccia a Moby Dick. Sotto la volta coperta dalle pregiate piastrelle Gustavino c’è uno dei più grandi smerci di ostriche di tutta l’America: 2 milioni all’anno. E niente scalini, per raggiungere i treni: per la prima volta un terminal era collegato solo da corridoi inclinati, per far muovere velocemente i passeggeri.
Le stanze dei segreti Secondo l’idea di William Wilgus, Grand Central doveva essere molto più di una stazione, e infatti era piena di curiosità. Dalla piattaforma segreta 61 partiva un trenino, che la collegava direttamente all’hotel Waldorf Astoria. Serviva soprattutto al presidente Roosevelt, che quando arrivava da Washington poteva nascondere più facilmente alla gente di spostarsi sulla carrozzella.
Trenta metri sotto il piano più basso, invece, c’è la vietatissima stanza M-42, che contiene i trasformatori per fornire l’elettricità all’intera stazione. Per bloccarli bastava tirarci un secchio di sabbia, e infatti durante la Seconda guerra mondiale i nazisti mandarono due spie per sabotarli, per fermare i treni che portavano i soldati all’imbarco. L’Fbi le scoprì e le arrestò. Dentro al terminal, Vanderbilt aveva fatto costruire anche un appartamento nello stile di un palazzo fiorentino del XIII secolo, che oggi è stato trasformato in bar e si può visitare per l’aperitivo.
Nel 1947 65 milioni di americani, cioè il 40% della popolazione dell’epoca, erano passati da Grand Central, e le sorprese riservate a loro continuavano a moltiplicarsi. L’enorme galleria d’arte aperta da John Singer Sargent al sesto piano del terminal si era allargata, per diventare anche una scuola di pittura e scultura. La tv Cbs aveva costruito dentro alla stazione il suo studio principale, da cui trasmetteva la mitica «See It Now» di Edward Murrow, quello che denunciò il maccartismo e che fupoi il carattere principale del film «Good Night and Good Luck» di George Clooney.
Era un simbolo dell’orgoglio nazionale, Grand Central, al punto che nel 1957 dentro al salone venne esposto il missile Redstone appena costruito dalla Chrysler, rispondendo così alle provocazioni sovietiche: per alzarlo si dovette fare un buco nel soffitto, che è stato lasciato intatto a memoria storica. C’erano persino due campi da tennis, nel Terminal, e uno è stato riaperto nel 2010, per chi può permettersi di spendere fino a 210 dollari per un’ora di palleggi.
Negli Anni 60 l’avvento dei trasporti aerei e la diffusione delle auto aveva messo in crisi il settore ferroviario, al punto che la rivale Penn Station di New York era stata demolita. Si moltiplicavano le proposte per abbattere anche Grand Central e costruirci sopra qualche grattacielo più profittevole. Un progetto firmato da Marcel Breuer era arrivato a un passo dall’approvazione, nel 1968, e per fermarlo si scatenò una campagna guidata da Jacqueline Kennedy Onassis: «Se i nostri figli non sono ispirati dal passato della città - disse la vedova del Presidente - dove troveranno la forza per combattere per il suo futuro?».
Ne seguì una causa costata otto milioni di dollari, che finì davanti alla Corte Suprema. Nel 1978 i giudici emisero una sentenza senza precedenti, stabilendo che Grand Central era un «landmark», un monumento storico, e quindi non poteva essere abbattuto.
Sesto luogo turistico al mondo Così il sogno di Vanderbilt è arrivato fino a noi, al centesimo compleanno. Oggi quella stazione è diventata un salotto, dove passano ogni giorno 700 mila persone, sesto luogo turistico più visitato al mondo. Alcuni prendono i treni che ormai fanno solo le tratte locali verso nord, passando sotto al vecchio orologio centrale che perde un secondo ogni 20 miliardi di anni perché è regolato sulle «lancette» del misura-tempo atomico del Naval Observatory di Bethesda.
Altri si fermano da Cipriani per un Bellini, comprano il pane al mercato e le cupcake da Magnolia Bakery, o prenotano l’iPhone all’Apple Store. Oltre 150 milioni di dollari spesi ogni anno, che in termini di incassi per metro quadrato fanno di Grand Central lo shopping center di maggior successo negli Usa.
Tra i duemila oggetti che ogni mese arrivano all’ufficio «Lost and Found», è stata trovata anche una piccola urna per le ceneri. La signora che l’aveva perduta, rintracciata, ha spiegato che l’aveva fatto apposta: suo marito, l’estinto, le aveva raccontato così tante volte di essere arrivato tardi a casa perché aveva perso tempo alla stazione, che lei aveva deciso di lasciarcelo per l’eternità.