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 2013  gennaio 27 Domenica calendario

«A ROMA PER AVERE UN APPALTO DEVI PAGARE»

«C’è stata una fuga di notizie. Non doveva uscire nulla. Poi i giornalisti hanno fatto il resto, strumentalizzando la vicenda politicamente. E proprio quando le elezioni sono vicine». Edoardo D’Inca Levis, sessant’anni a marzo, ha vissuto fino alla metà degli anni Ottanta a Pordenone, città dove risiedono ancora il padre Elvio e il fratello Vittorio. È lui il grande accusatore del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, alla cui segreteria sarebbe stata destinata la maxi tangente da 749.460 euro per favorire l’appalto di una fornitura di 45 filobus. Non ha alcun problema a raccontare telefonicamente la sua versione dei fatti.
«Sono a Praga, libero e non "prigioniero" come dicono alcuni», dopo essere stato raggiunto da un mandato di cattura internazionale che lo ha spinto a presentarsi di sua volontà nella Capitale per farsi interrogare dai giudici e trascorrere due giorni in prigione.
Lei è stato dipinto come un oscuro personaggio.
«Non sono un faccendiere. Non mi sono arricchito con la joint venture tra Skoda e Breda Menarinibus che per me ha significato tre anni di lavoro e solo 120mila euro di guadagno».
Ma la storia della tangente per l’appalto dei filobus la conferma?
«Per vincere una gara d’appalto bisogna pagare, diciamolo chiaramente. Il sistema è quello che è. È un sistema malato. Devi decidere se lavorare e quindi sottostare a un ricatto o essere costretto a mandare tutti a casa... Il risultato è che nel 2012 la Breda Menarinibus ha prodotto due autobus, 350 operai sono in cassa integrazione; l’unica azienda che produce autobus rimasta in Italia è in una situazione tragica ed io per cercare di aiutarla mi sono messo in un mare di guai».
Povero samaritano a parte, come è nata questa storia?
«Nel 2008 sono stato il promotore di una joint venture tra la ceca Skoda e la Breda Menarinibus per la realizzazione di un nuovo progetto di Filobus trimodale. Nel 2009 questo mezzo fu progettato specificatamente per la gara internazionale della Municipalizzata di Roma».
E quando sentì parlare per la prima volta di mazzette?
«Durante la fase finale della trattativa, l’allora ad della Breda Menarinibus Roberto Ceraudo mi disse che per avere i favori dell’impresa che aveva vinto l’appalto chiavi in mano e che avrebbe poi acquistato i filobus, era necessario predisporre una mazzetta. Il lavoro di progettazione del nuovo mezzo era durato quasi un anno, la Breda Menarinibus era in una fase critica per mancanza di ordini, per poter proseguire l’attività l’ordine per la commessa di Roma era fondamentale. Anche in Repubblica Ceca il lavoro scarseggiava, per cui accettai di aiutarlo. Trattenuta la parte convenuta con la Breda Menarinibus per il mio lavoro, ritornai l’intero importo a Ceraudo».
Ha mai incontrato personalmente politici o amministratori della Municipalizzata romana?
«No, mai».
Ma la mazzetta alla segreteria di Alemanno?
«Durante una telefonata con Ceraudo, alcuni mesi dopo l’inizio della creazione della joint venture, mi fece capire che il denaro non sarebbe andato al privato, ma ad altri. Alla segreteria di Alemanno».
Susanna Salvador