Pierluigi Battista, Corriere della Sera 26/1/2013, 26 gennaio 2013
QUANDO LINCOLN USO’ IL METODO SCILIPOTI
È sensato o opportuno accostare un momento fondamentale e glorioso della storia del genere umano con le miserabili vicissitudini della nostra politichetta parlamentare? Qualche volta potrebbe essere persino utile. E il Lincoln di Steven Spielberg è un tale capolavoro da renderlo invulnerabile alle più cervellotiche analogie. Nel film si impone infatti la drammaticità di un dilemma morale: è lecito ricorrere a mezzi eticamente illeciti per perseguire una scelta politica nobile ed elevata, in questo caso nientemeno che l’abolizione della schiavitù, una delle vergogne più ripugnanti della storia umana?
Per il grande presidente americano Abramo Lincoln, mirabilmente interpretato da Daniel Day-Lewis, l’emendamento costituzionale, il numero 13, che sopprime la schiavitù negli Stati Uniti d’America è così importante da richiedere ogni mezzo per vincere una battaglia decisiva. Ogni mezzo. Tutti i mezzi. Anche quelli che noi consideriamo riprovevoli. Il Lincoln di Spielberg è un film che racconta i risvolti meno visibili di una sottile e geniale strategia politica. Geniale. Affascinante. E a tratti sconcertante.
Mancava infatti a Lincoln, peraltro parlamentarmente appoggiato da uno schieramento variegato, rissoso, talvolta inaffidabile, un pugno di voti. Bisognava averli, conquistarli. Se del caso, comprarli. Sì, comprarli. E infatti dalla Casa Bianca partì un drappello di faccendieri, nel film dall’aria simpaticamente spavalda, ma certamente loschi e adusi a ogni nefandezza politica, per avvicinare uno a uno i deputati attraverso i quali il Congresso avrebbe raggiunto un risultato storico. E in cosa consisteva questo «avvicinamento»? In una promessa vantaggiosa, o in un posto ben remunerato, in un permesso, in un favore. E a poco a poco, prima con la figura di Lincoln che restava nell’ombra per non lasciare traccia delle poco commendevoli manovre, poi con il presidente a giocarsela fino all’ultimo minuto, venne raggiunto il numero fatale di votanti per lo storico emendamento. L’abolizione della schiavitù fu ottenuta con voti comprati. Con un metodo che oggi definiremmo, con corriva aderenza alla nostra cronaca politico-parlamentare, «metodo Scilipoti». Il fine giustifica i mezzi? Anche il miglior fine?