Pietro Del Re, il Venerdì 25/1/2013, 25 gennaio 2013
MACAO LA BABELE ASIATICA DOVE LA CINA FA COLPO GROSSO
MACAO. Ma è più pacchiano il finto palazzo Ducale grandeur nature o sono più ridicoli gli inservienti cinesi costretti a travestirsi da gondolieri? Questo quesito non sembra impensierire gli eserciti di turisti che affollano il Venetian Hotel di Macao, 5 stelle, 3000 stanze e 60mila metri quadri di sale da gioco assediate da decine di ristoranti, bar, negozi, gioiellerie. Il cugino asiatico dell’omonimo albergo-casinò di Las Vegas è pieno dal 1 gennaio al 31 dicembre, come lo sono il Conrad, lo Sheraton, l’Holiday Inn e il Grand Hyatt che gli svettano di fronte e, un po’ più in là, gli altri mega-hotel di Macao, tutti con le loro slot machine, i loro tavoli di baccarat, roulette e black jack. «Nell’ex colonia portoghese vivono 500 mila persone, ma c’è un solo ospedale e trentasei casinò. Un secondo ospedale dovrebbe essere ultimato nel 2019, assieme ad altri sei casinò», spiega il documentarista Simon Yung che sul boom dell’ex colonia portoghese, diventata negli ultimi anni la nuova capitale mondiale dell’azzardo, sta realizzando un video per una tv di Hong Kong.
Alla reception del Venetian l’efficienza del check-in è assicurata da dodici ragazze in uniforme che parlano tutte mandarino, cantonese, inglese e portoghese. Il prezzo delle stanze, spiegano, può variare dai duecento ai duemila euro, in base alla grandezza del letto, ma anche alla loro prossimità ai tavoli verdi. Più vicine sono, più costano. Un corridoio affrescato con putti tiepoleschi e settecentesche contadine giunoniche conduce verso la ciclopica sala giochi. Eccola, dunque, la Babele asiatica del gioco. Basta un’occhiata per restare storditi: una folla di cinque mila persone che punta, urla, sputa, esulta o bestemmia. Buona parte di esse fuma. Accanitamente. E al puzzo di sigaretta si mischia quello delle zuppe ai gamberetti o degli spiedini di ali di pollo che i giocatori si concedono tra una giocata e l’altra. Al loro vociare s’aggiunge l’assordante rumore elettronico delle slot machine, il frastuono che proviene da un bar dove s’esibisce un gruppo rock, i violini delle Quattro stagioni di Vivaldi che diffondono gli altoparlanti dell’hotel, gli strepiti di un nutrito gruppo di studentesse americane in visita.
Per riguardo dello straniero, il croupier del primo tavolo dove decidiamo, senza troppe illusioni, di tentare la sorte, si esprime anche in inglese. Dopo la roulette, dove le nostre poche fiches da 50 dollari di Hong Kong (5 euro) sfiguravano di fronte a quelle da mille dollari di giocatori più ricchi o coraggiosi, optiamo per il black jack. Qui, la donna che distribuisce le carte parla solo cinese. Carta o sto: c’intendiamo a gesti, ma in cinque minuti perdiamo i pochi dollari sopravvissuti alla roulette.
Come racconta Simon Yung, l’esponenziale crescita economica di Macao si può misurare con i grattacieli che ne frastagliano lo stacco al cielo, ma anche con il prezzo del mattone, raddoppiato nel 2012, o con le fortune puntate sui tavoli verdi «che hanno eguagliato lo scorso anno la somma di tutti i contanti ritirati con le carte di credito negli Stati Uniti, che s’avvicina a seicento miliardi di dollari». Città semi-autonoma per un’altra quarantina d’anni, questa è la sola località cinese in cui è consentito giocare d’azzardo: una superficie di 29 chilometri quadrati, dove questa industria produce entrate pari a 33 miliardi di dollari.
Nel 2011, i suoi casinò hanno attirato 28 milioni di turisti, la maggior parte dei quali giocatori cinesi, sebbene le autorità di Pechino abbiano recentemente deciso di limitare gli ingressi dei loro connazionali, i quali per potere entrare a Macao devono richiedere un permesso speciale. Ora, nonostante le nuove restrizioni, le acque limacciose del delta del fiume delle Perle che collegano l’ex colonia a Hong Kong e ad altri porti del sud della Cina sono solcate da miriadi di traghetti e aliscafi. Mentre al suo aeroporto atterrano voli da Shanghai, Canton o Chongqing, ma anche da Tokyo, Nuova Delhi, Giacarta o Islamabad. Per le strade della città il traffico è sempre intasato dagli oltre duemila pullman che servono a smistare i giocatori in arrivo o in partenza.
Anche se la leggenda racconta che qui il gioco d’azzardo era già florido 15 secoli prima di Cristo, fino a vent’anni fa Macao produceva soltanto giocattoli, fuochi d’artificio e fiori finti. Oggi, però, la sua crescita ha raggiunto cifre da primato, perfino per gli standard cinesi, toccando il 19 per cento l’anno. Il turismo di massa e l’improvvisa, sostanziosa ricchezza dei cinesi l’hanno resa un luogo dove il cittadino medio guadagna di più di quello europeo, dove si costruisce giorno e notte, dove i casinò guadagnano più soldi che a Las Vegas. I magnati statunitensi del settore sono perciò accorsi a investire, infischiandosene di dover spartire la grassa torta del gioco con le triadi della mafia cinese che nei casinò hanno trovato il modo più veloce e redditizio per lavare i propri soldi. Negli ultimi anni, le sale da gioco di Macao forniscono agli imprenditori Stephen Wynn e Sheldon Adelson, proprietari di mezza Las Vegas, due terzi del loro fatturato globale.
La città vive anche grazie a tutto ciò che s’accompagna al gioco d’azzardo e al turismo. Uno degli indotti maggiori è ovviamente quello della prostituzione, che al Venetian Hotel è quasi inesistente fino alle due del mattino, dopodiché attorno ai tavoli verdi si materializzano dal nulla sciami di giovanissime ragazze cinesi. «Ma queste sono mignotte da due soldi, che servono solo a consolare chi ha perduto alla roulette» dice Yung. «Quelle più ricercate e quindi più pagate sono quelle che fai venire in camera. Su Internet ci sono dei siti cinesi dove hai davvero l’imbarazzo della scelta perché offrono ragazze di tutte le razze e che provengono da ogni parte del pianeta».
Tutte le grandi marche di orologi hanno uno o più negozi a Macao, così come gli stilisti occidentali più famosi. Lo stesso vale per i grandi chef europei che hanno aperto una succursale del loro ristorante, per le marche di profumi, gioielli, penne stilografiche, scarpe e via elencando. C’è perfino un’agenzia matrimoniale che organizza banchetti al Venetian durante i quali al posto dei confetti gli invitati vengono omaggiati con una cinquantina di fiches. Nel prezzo è compresa anche la foto degli sposi sul falso Ponte dei Sospiri. E, peggio ancora, un giro in gondola nel laghetto artificiale dell’hotel.
Pietro Del Re