Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 25/01/2013, 25 gennaio 2013
DONNE CONTRO LA ‘NDRANGHETA. A SUD LA PRIMAVERA DEL CORAGGIO
«All’alba di quel Corpus Domini qualcuna portò il Vetril. Qualcun’altra le spugnette dei piatti afferrate in fretta e al buio dal lavello di casa. Molte, straccetti e strofinacci, intinti nelle bacinelle d’acqua e sapone. E si misero in fila così, Rosalba e Caterina, Rosanna, Maria Rita e Chiara, le donne di Monasterace, davanti alla farmacia bruciata alle porte del paese, sulla statale 106, in mezzo al fumo e alla cenere che ancora avvolgevano ciò che il fuoco aveva risparmiato.
«Qua puliamo noi», le dissero.
«Ma io come vi ripago?», chiese Maria Carmela Lanzetta.
«Voi ci avete già ripagato, sindaco»».
Comincia così il viaggio di Goffredo Buccini nella terra della ’ndrangheta. La farmacia è quella di Maria Carmela Lanzetta, sindaco di Monasterace. A bruciarla sono stati quattro «picciotti», che senza nemmeno il timore delle telecamere di sorveglianza hanno versato la benzina dalla finestra sul retro prima di buttare dentro un fiammifero. Erano le 6 del mattino del 26 giugno 2011. Giorno della festa dell’Infiorata. Poche ore dopo il marciapiede di fronte alla farmacia era un tappeto di fiori. E le donne del paese erano al lavoro «per salvare il salvabile» e consentire al sindaco di riaprire al più presto. Nove mesi dopo, la ’ndrangheta si rifaceva viva, stavolta a colpi di fucile, sparati contro la serranda della stessa farmacia e contro l’auto di Maria Carmela. Che però non si è arresa, ha ritirato le dimissioni, ha ripreso a governare uno dei paesi più difficili e remoti d’Italia, combattuta dai clan ma sostenuta dalla sua gente. In particolare dalle altre donne.
C’è una terra, che Buccini chiama L’Italia quaggiù (da cui il titolo del libro, appena pubblicato da Laterza, pp. 128, 15), di cui al resto del Paese non importa nulla; perché la considera irrimediabilmente perduta. Una terra che al cronista ricorda Aruba o Valona, i Caraibi poveri o l’Albania. Dove ci sono interi quartieri senza una casa finita o almeno squadrata. Dove si costruiscono due garage abusivi attorno alla torre medievale e un gabinetto sulla facciata del convento del X secolo, e non ci sono i soldi per eseguire le delibere di abbattimento. Dove le operaie della serra non ricevono lo stipendio da mesi. Dove mancano strade, scuole, ospedali. Dove i boss continuano a comandare dal carcere, e inviano ai sindaci — è successo anche a Maria Carmela Lanzetta — lettere allusive e minatorie. Ma dove un’intera generazione di giovani si è ribellata alle mafie. E dove le donne, dopo secoli in cui la violenza e il maschilismo marciavano di pari passo, hanno trovato il coraggio di dire no, e prendere in mano il proprio destino.
Il libro è la cronaca di un viaggio nella primavera delle donne calabresi, dentro la ribellione delle «pentite» di ’ndrangheta e il coraggio di molte madri e figlie, spose e sorelle di rifiutare le regole arcaiche d’un universo omertoso e misogino. La vicenda di Maria Carmela Lanzetta s’intreccia con quella di altre donne come lei: Elisabetta Tripodi, sindaco di Rosarno, sotto scorta e minacciata dai clan egemoni del paese; Katy Capitò, giudice per le indagini preliminari di Locri; Giuseppina Pesce, che ora vive con una nuova identità; sua cugina Maria Concetta Cacciola, che invece ha pagato con la vita la scelta di passare dalla parte dello Stato; Lea Garofalo, sciolta nell’acido per aver denunciato il suo compagno ’ndranghetista, e ricordata nella narrazione dalla sorella Marisa.
Non deve sorprendere che sia un uomo a raccogliere le loro storie. Dopo aver raccontato sul «Corriere» Tangentopoli — fu lui a dare la notizia dell’avviso di garanzia a Berlusconi — e l’America, Buccini da anni testimonia gli scandali ma anche i segni di riscatto del Sud. L’Italia quaggiù nasce da un’osservazione: in pochi anni in Calabria si moltiplicano i casi di mogli, sorelle, figlie di famiglie mafiose che decidono di spezzare il cerchio per amore dei figli, per impedire cioè che ai figli venga riservato lo stesso destino di morte e di galera toccato alle precedenti generazioni. La storia di Lea Garofalo — sequestrata, torturata e uccisa dal padre di sua figlia, Denise, che diventa la principale teste d’accusa in un processo chiuso con cinque ergastoli —, ha scosso le coscienze. Accanto a Lea si profilano altre donne. E siccome sono le donne a trasmettere i valori e i disvalori ai figli, se salta questo anello cruciale della catena tutto il sistema mafioso può saltare.
Non è solo questione di storie personali. La rinascita riguarda anche la politica. È cominciata una nuova stagione in Comuni dove un tempo le leggi erano grida manzoniane e l’unico codice vigente era quello imposto dalle famiglie mafiose. Da Monasterace a Rosarno, da Isola Capo Rizzuto a Decollatura, in piccoli paesi calabresi un tempo persi per lo Stato si respira ora un’aria nuova, si definiscono e si rispettano regole elementari eppure rivoluzionarie come l’obbligo di pagare i tributi, si fa avanti una generazione di giovani amministratrici che hanno lasciato i paesi d’origine da ragazze, hanno studiato altrove, si sono conquistate un posto nelle professioni e hanno deciso di tornare, aiutate da mariti e compagni.
L’incontro determinante del libro è quello con Maria Carmela Lanzetta: personaggio straordinario, insieme naive e determinatissimo, una via di mezzo tra l’onorevole Angelina e Chance Giardiniere. La generazione successiva può essere quella che sconfiggerà davvero le mafie. Perché — come scrive Buccini nell’ultima pagina — «un giorno, tra qualche anno, in una strada qualsiasi della Calabria, Denise, figlia di un boss, e Federica, figlia di un sindaco, potrebbero incontrarsi, parlarsi, e perfino capirsi. Se verrà quel giorno, la ’ndrangheta sarà finita».
Aldo Cazzullo