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 2013  gennaio 25 Venerdì calendario

LO STATUTO CHE ESENTAVA IL CDA


Come quasi sempre accade, dopo uno scandalo si scoprono le magagne nella corporate governance. In questi giorni Mps è scosso dalla vicenda delle operazioni in derivati sottoscritte dai passati manager di Rocca Salimbeni con la banca giapponese Nomura e che – stando alle prime stime - potrebbero costare all’istituto perdite fino a 500 milioni. Chi ha autorizzato quelle transazioni che, secondo il nuovo Ad Fabrizio Viola, non sono state correttamente contabilizzate e neppure correttamente documentate? Hanno ricevuto il via libera al più alto livello di Mps, ha subito detto Nomura evidentemente preoccupata che gli accordi iniziali possano essere ridiscussi. Nient’affatto, ha replicato l’istituto senese in una nota ufficiale: mai sono state portate in Cda perché rientravano «nei poteri delle strutture preposte alla gestione operativa». Ma come è possibile che affari così importanti siano rimasti estranei allo scrutino del board? È possibile, anzi era la regola nell’Mps ante Viola e Alessandro Profumo. A leggere la relazione di corporate governance per il 2011, l’ultima dell’era di Giuseppe Mussari, si scopre che, tra i poteri in capo al board, non c’era quello di approvare le principali operazioni societarie. È un’atipicità che distingueva la banca senese dagli altri grandi istituti della penisola le cui regole interne prevedono espressamente il via libera del board sui principali affari. Ed, in alcuni casi, precisano anche i controvalori superati i quali le operazioni vanno obbligatoriamente portate in consiglio. Non per il board del Montepaschi che è stato disegnato, nella sostanza, come un organo di indirizzo e controllo. Non solo. In quello strano Cda, a dispetto della centralità che i codici di corporate governance attribuiscono all’organo, nessuno aveva deleghe esecutive. Mancava un Ceo - una lacuna che è stata colmata proprio con l’arrivo di Viola - ed al presidente non erano attribuiti incarichi di gestione.
Le leve della società, insomma, erano tutte all’esterno del board, nel team manageriale guidato dal direttore generale Antonio Vigni che, peraltro, partecipava come invitato al Cda. Nella citata relazione di governance ampio spazio è stato dedicato al test di autovalutazione del consiglio che, allo scopo, ha anche sentito il bisogno di ingaggiare un “facilitatore” (la società di consulenza Aon Hewitt). Ebbene l’autogiudizio sul Cda, guarda caso, è risultato positivo. Nondimeno il flusso informativo verso il consiglio è stato ritenuto «migliorabile in termini di tempistica e contenuti». Come dargli torto, dopo quanto è accaduto!