Claudio Tito, la Repubblica 25/1/2013, 25 gennaio 2013
IL GRANDE PATTO CHE IL CAVALIERE OFFRE AL PD
C’È UN piano in tre mosse nell’agenda di Silvio Berlusconi. Un disegno per rimettersi in gioco nella prossima legislatura, riconquistare un ruolo e puntare dritto su una sorta di “salvacondotto giudiziario”.
Un progetto con tre step: scommettere sul pareggio al Senato, provare ad aprire il dialogo con il centrosinistra e tentare di concordare il nuovo presidente della Repubblica. Obiettivo: un “Grande Patto” che gestisca i prossimi cinque anni. «Ma - va ripetendo il Cavaliere - dobbiamo trovare un interlocutore nel Pd». Quell’interlocutore in realtà ancora non c’è. La proposta, però, è ormai sul tavolo al primo piano di Palazzo Grazioli.
LA PROPOSTA ha un titolo: «Individuare il perno di un nuovo bipolarismo, attraverso il primato della politica e non dei tecnici». Manca un mese al voto. La campagna elettorale deve ancora entrare nel vivo, eppure in molti hanno iniziato a muoversi e a ragionare come se le elezioni ci fossero già state. Come se il quadro politico in qualche modo fosse ormai definito nelle sue linee fondamentali: la vittoria del Partito Democratico, la sconfitta del Pdl. E il primo a prendere atto di questa situazione è proprio l’ex premier. Che, dopo aver archiviato la tormentata trattativa sulle sue liste, sta provando a studiare in anticipo le mosse per il dopo 24 febbraio. Perché, al di là dei proclami propagandistici, anche Berlusconi ha messo nel conto di ritrovarsi in minoranza nella
prossima legislatura. Accetta quindi di essere opposizione ma non di rimanere fuori dal “grande gioco”. Nel suo personale negoziato è pronto a riconoscere la vittoria del centrosinistra - nel 2006 non lo fece - ma in cambio pretende il «riconoscimento» del capo dell’opposizione. La sua tutela e il suo coinvolgimento nel “risiko” per le alte cariche istituzionali - a partire dal Colle - e nei dossier più scottanti dell’“Agenda Italia”. E soprattutto in un percorso che conduca alla «salvezza» delle sue aziende e ad una via d’uscita dalle inchieste giudiziarie.
Il Cavaliere, allora, ha avviato il suo “communication plan” nel modo più riservato possibile. I contatti sono partiti. I suoi ambasciatori sono stati messi in azione. Tutto ruota sulla successione a Giorgio Napolitano. «Il nuovo presidente della Repubblica - è il messaggio che l’ex premier sta facendo recapitare - può essere il primo garante di un nuovo assetto. Può essere il fattore che consente il ritorno della politica e l’addio ai tecnici, il tassello che può completare il puzzle di questa infinita transizione». E per questo il suo obiettivo è riaprire un canale di dialogo. «Con chi? Con chi si può parlare da quella parte se non con Massimo D’Alema?», si chiede da giorni.
In realtà, l’ex ministro degli Esteri non ha fatto alcun tipo di
concessione alle richieste berlusconiane di dialogo. Anzi, il suo impegno è concentrato sulla vittoria di Bersani e semmai sulla costruzione di una nuova carriera fuori dal Parlamento. Sta di fatto, però, che le mosse del Cavaliere stanno determinando un nuovo equilibrio tra gli schieramenti. Con il rischio che due assi trasversali ma contrapposti si confrontino dopo le elezioni: Bersani-Monti versus Berlusconi-D’Alema. E già, perché il segretario del Pd non può che essere interessato solo alla costruzione di un governo solido e di una maggioranza compatta. Con il capo del centrodestra non ha mai avuto un feeling particolare. La sua segreteria si è profilata sulla contrapposizione al Pdl e sulla caduta del governo Berlusconi. Soprattutto sa che se il suo esecutivo dovesse nascere sotto le insegne di un “salvataggio” del Cavaliere, la legislatura potrebbe essere fortemente penalizzata. L’attuale presidente del
Consiglio, invece, da tempo ha deciso di chiudere i rapporti con Via del Plebiscito. «Io con Berlusconi - ha ripetuto in questi giorni - non tratterò mai, nemmeno dopo il voto». Anzi, nello scadenzario del Professore figura persino un nuovo affondo sul capitolo giustizia che certo non potrà piacere al centrodestra. Posizioni, appunto, che di fatto inducono l’inquilino di Palazzo Grazioli a
tentare un’altra via. «D’Alema - è il suo ragionamento - potrebbe essere invece tentato di dare un nuovo bipolarismo». Non è un caso che ieri, mentre infuriava la polemica sul caso Monte dei Paschi di Siena, Berlusconi abbia smentito la linea del suo partito difendendo a spada tratta l’istituto senese.
Ovviamente tutto dipenderà dal tipo di equilibrio che si creerà in Parlamento. In particolare al Senato. L’idea di scommettere sul giacimento dalemiano dentro il centrosinistra fa perno sulla «speranza » di ritrovarsi Palazzo Madama senza una maggioranza netta. Con il centrosinistra alla ricerca di un sostegno esterno alla sua coalizione. E con i voti del Pdl decisivi per la nomina del nuovo capo dello Stato (sul piatto della bilancia ci sono anche i numerosi rappresentanti regionali che sono chiamati a votare per il Colle). «È chiaro - racconta un ministro in carica - che questo disegno si smonterà
se Bersani e Monti, senza interferenze, troveranno un’intesa complessiva ». Altrimenti lo schema alternativo prenderà corpo quando la “corsa” per il Quirinale entrerà nel vivo. «Vedrete - pronostica uno tra i più fidati “messi” del Popolo delle libertà - che a un certo punto partirà una lepre nella gara per il Colle. Diranno che sarebbe opportuno eleggere una donna. Una proposta che il Pd non potrà
rifiutare». Il nome che viene sussurrato è quello di Anna Finocchiaro: democratica, donna e vicina a D’Alema. Il primo passaggio sarebbe l’elezione alla presidenza del Senato. «Magari, andrebbe benissimo» confidava nei giorni scorsi l’attuale inquilino di Palazzo Madama, il pidiellino Renato Schifani. Una soluzione che nei progetti del centrodestra dovrebbe ricalcare la road map seguita nel 1992 nel patto istituzionale Dc-Pds: Oscar Luigi Scalfaro venne prima eletto presidente della Camera, poi divenne presidente della Repubblica ma il suo posto a Montecitorio non venne preso da un altro democristiano, bensì da Giorgio Napolitano. In questo caso, se l’accordo venisse ratificato, spetterebbe a Berlusconi presiedere l’aula di Palazzo Madama.
Ma questo è solo il primo schema. Una “falsa lepre”, in realtà. Perché le candidature «preferite», su cui Berlusconi ha già effettuato i primi sondaggi sono altre. Nel
2006 aveva formulato una “rosa” con quattro petali: Amato, Dini, Marini e, ironia della sorte, Monti. Sul foglio A4 che il capo del Pdl sta facendo circolare in questi giorni nello stato maggiore del suo partito, sono rimasti due di quei nomi: Giuliano Amato e Franco Marini. Le indicazioni «migliori», a suo giudizio, per stringere il “Grande patto”, chiudere con una sorta di pacificazione nazionale il ventennio berlusconiano e «sistematizzare » con la «politica» tutti i dossier più sensibili. Dalla caselle istituzionali al controllo della Rai, dalle nomine nelle grandi aziende pubbliche alla giustizia. E già, perché il suo obiettivo finale è sempre lo stesso: blindare le sue imprese e uscire immune dalle inchieste. Come l’amnistia di Togliatti del ’46, il leader del centrodestra pensa ad una sorta di “salvacondotto”. Che reclamerebbe una cornice istituzionale specifica: per questo gli “ambasciatori” del Cavaliere stanno ipotizzando per lui la presidenza del Senato o la nomina di senatore a vita. Cariche che potrebbero essere inserite in una sorta di “scudo per le alte cariche”.
Ma i desideri di Berlusconi si dovranno misurare con la realtà dei risultati elettorali e con le scelte di chi vincerà nelle urne. E prima ancora con la possibilità che sia lo stesso D’Alema a rovesciare il tavolo.