Luigi Zingales, l’Espresso 25/1/2013, 25 gennaio 2013
Con la recessione via i rami secchi– GLI ECONOMISTI LE CHIAMANO "cleansing recessions": le recessioni che fanno pulizia
Con la recessione via i rami secchi– GLI ECONOMISTI LE CHIAMANO "cleansing recessions": le recessioni che fanno pulizia. Questa espressione non vuole ignorare i costi economici e sociali delle recessioni, ma mettere in luce che a fronte degli enormi costi vengono anche dei benefici. Si tagliano i rami secchi, si rimpiazzano i manager incapaci, le imprese diventano più efficienti, mettendo le basi per una ripresa. Per quanto penoso, questo processo è parte della selezione naturale effettuata dal mercato, che migliora la qualità degli imprenditori e delle imprese. L’Italia sta attraversando una doppia recessione. Dopo la pesante crisi del 2008 e 2009, nel 2012 il Prodotto interno lordo è sceso del 2,3 per cento e le previsioni sono che il 2013 veda un altro segno meno. A fronte degli enormi costi sociali, ci sono dei benefici? Per fortuna, sì. La recessione e il rischio di fallimento hanno costretto alcuni dei peggiori rappresentanti del nostro capitalismo a lasciare il controllo delle loro imprese. Basti pensare ai Ligresti. C’è molta pulizia da fare nel gruppo FonSai, speriamo che Unipol, che ne ha preso il controllo, sia in grado di farla. Ma ad andare in crisi non sono solo alcuni esponenti del nostro capitalismo di relazioni, è il sistema stesso. Questo sistema si basa su di una rete di partecipazioni incrociate in cui i manager si sostengono l’uno con l’altro. Mediobanca - la tradizione voleva - non doveva interferire troppo su chi governava a Generali perché Generali era nel patto di sindacato che controllava Mediobanca, sia direttamente sia tramite la partecipazione in Pirelli che, a sua volta, era nel patto di sindacato di Mediobanca. Io ti gratto la schiena a te – dicono gli inglesi - e tu gratti la schiena a me: un’associazione di mutuo soccorso per la protezione dei manager, anche quando la performance di questi manager era insoddisfacente. La doppia recessione sta lentamente infrangendo questo sistema. Sotto la pressione dei conti, Mediobanca si è mossa. Prima c’è stata la cacciata di Geronzi da Generali, seguita da quella di Perissinotto. Il manager triestino, nato e cresciuto all’ombra del Leone, è stato sostituito da Mario Greco, un manager di esperienza internazionale. Lo stesso è successo a Rcs dove un molto domestico Antonello Perricone, amico di gioventù di Montezemolo, è stato sostituito dal giovane Pietro Scott Jovane, anche lui con un’esperienza internazionale alle spalle. E proprio i nuovi manager, nominati per migliorare la performance, stanno minando alla base il nostro capitalismo di relazioni. «Non è il nostro mestiere speculare sul mercato o essere un azionista strategico», ha annunciato Mario Greco all’Investor Day di Generali la settimana scorsa. Il ruolo di Generali è quello di assicurare i suoi clienti, non il posto di lavoro agli altri manager italioti. Una rivoluzione copernicana che, se portata fino in fondo, potrebbe spezzare le catene del capitalismo relazionale italiano e portare finalmente un po’ di meritocrazia al vertice. Sempre che, con i primi segnali di ripresa, non si torni alle vecchie abitudini.