Vittorio Malagutti, l’Espresso 25/1/2013, 25 gennaio 2013
Il compito di Greco Annuncia rivoluzioni. E promette di dire no alle operazioni di sistema. Per concentrarsi sulle polizze
Il compito di Greco Annuncia rivoluzioni. E promette di dire no alle operazioni di sistema. Per concentrarsi sulle polizze. Facile a dirsi, ma in bilancio pesano le scelte fatte dai suoi predecessori per compiacere Mediobanca– Mica facile fare l’alieno a Trieste. Mica facile prendere il comando delle Generali, la più importante corazzata finanziaria italiana, crocevia di potere e miliardi come nient’altro in Italia, con l’obiettivo dichiarato di tagliare i ponti con il passato. Mica facile chiudere una volta per tutte con decenni di giochetti di corridoio (o da salotto), con gli investimenti dettati da logiche di potere (o di scambio) e non da convenienza economica, con la gestione nell’interesse di pochi grandi azionisti e non dell’intera platea dei soci. Questo, in breve, è il programma di lavoro di Mario Greco, il manager che dal primo agosto scorso si è insediato sulla poltrona di amministratore delegato delle Generali al posto di Giovanni Perissinotto. Una faticaccia, a dir poco. Anche perché nel frattempo bisognerebbe pure rimettere in sesto il bilancio. Visto che il gruppo di Trieste, da un pezzo ormai, guadagna meno di concorrenti europei come la tedesca Allianz o la francese Axa. Greco, 53 anni, radici napoletane, una brillante carriera da capoazienda scandita da un paio di rotture traumatiche (alla Ras e poi ad Eurizon del gruppo Intesa), sa bene che rischia grosso. Chi, come lui, comincia un lavoro circondato da tali e tante attese finisce fatalmente per correre di continuo su un crinale sottilissimo. Basta il minimo inciampo, una cosuccia da niente rispetto ai macigni accumulati dai suoi predecessori, per trovarsi di colpo sul banco degli imputati. Un primo segnale, molto chiaro, è arrivato pochi giorni fa. L’atteso Investor Day del 14 gennaio a Londra, il grande incontro con gli analisti internazionali, non si può dire che sia stato il successone che a Trieste si aspettavano. Almeno 5 miliardi di utili operativi entro il 2015 e tagli di costi per 600 milioni. «Tutto qui?», si sono chiesti, pur tra molti apprezzamenti, i rappresentanti di alcuni dei più grandi investitori mondiali dopo aver ascoltato la presentazione di Greco e dei suoi principali collaboratori. Risultato: nella settimana successiva alla presentazione londinese, il titolo Generali, reduce da una rimonta prodigiosa nei cinque mesi precedenti, ha perso più del doppio rispetto all’indice dei titoli assicurativi (3,7 per cento contro 1,7 per cento). Nessuno, ovviamente, pretende di giudicare il lavoro del nuovo numero uno sulla base di questo semplice episodio, ma la reazione degli investitori suona come un avvertimento: dopo due terremoti al vertice nel giro di due anni (prima l’uscita di Cesare Geronzi poi quella di Perissinotto), Generali deve lavorare ancora molto per riconquistare la fiducia dei mercati. «Disciplina, semplicità, focus», queste le parole d’ordine che Greco ha dato alle sue truppe. Parole, appunto. Nel concreto significa che le Generali devono rimettersi a fare il loro mestiere, cioè vendere polizze. Banale, ma solo in apparenza, perché da tempo immemorabile la gestione del gruppo di Trieste risponde a logiche diverse da quella di fare più quattrini possibile con le assicurazioni. La compagnia del leone ha viaggiato al traino del suo maggiore azionista, Mediobanca, assecondandone i disegni di potere anche a danno del proprio tornaconto. Che cosa c’entrano le polizze con i giornali della Rcs Mediagroup (editore, tra l’altro, del "Corriere della sera") di cui Trieste possiede quasi il 4 per cento, oltre a far parte del patto di sindacato guidato da Mediobanca che governa l’azienda? E che dire di Telecom Italia, in cui Generali è entrata attraverso la holding Telco? Greco adesso promette rivoluzioni. Dice che le scelte d’investimento verranno valutate sulla base della convenienza economica. Il solo fatto che questo annuncio venga accolto come una svolta la dice lunga sull’immagine che ha fin qui proiettato di sé la più grande compagnia di assicurazioni italiana, la terza d’Europa. Solo che le parole, come spesso accade, devono poi fare i conti con la realtà. E alla prima occasione concreta di far valere la dottrina appena proclamata urbi et orbi, ha risolto la situazione con un compromesso. Il patto di sindacato della Pirelli, a cui Generali partecipa con il 4,9 per cento, è stato rinnovato, anche se solo per un anno. Alla fine Greco ha detto sì agli altri grandi azionisti, dal leader Marco Tronchetti Provera all’immancabile Mediobanca. «Vendere le nostre azioni, visti i prezzi correnti di Borsa, sarebbe stato poco conveniente», ha argomentato lo stesso Greco con gli altri manager di prima linea della compagnia. E allora, tra un anno si vedrà. Il caso Pirelli è solo l’inizio. Tempo poche settimane e la "dottrina Greco" verrà di nuovo messa alla prova. La Rcs chiederà ai soci di aprire il portafoglio per finanziare un aumento di capitale di almeno 400 milioni. Ne va del futuro del grande editore, oppresso da debiti e perdite. Come si regolerà il capo delle Generali? Coglierà al volo l’occasione per sfilarsi da una partita che non è la sua, oppure, un’altra volta, le ragioni della politica, intesa come politica delle alleanze, avranno la meglio su quelle della buona gestione? Va detto che ultimamente anche Mediobanca ha inviato segnali di cambiamento. Il salotto buono non c’è più e gli eredi di Enrico Cuccia dicono di voler diventare una banca d’affari come tutte le altre. Scelta razionale, anche guardando al bilancio. Il portafoglio partecipazioni di Mediobanca, quello che una volta serviva da stanza di compensazione del capitalismo nazionale, di recente ha prodotto perdite pesanti. Meglio cambiare strada, allora. Su questo stesso sentiero si è incamminato anche Greco. Non per niente tra i suoi massimi sponsor, oltre all’amico Lorenzo Pellicioli, il numero uno del gruppo De Agostini importante azionista di Generali, c’è anche Alberto Nagel, l’amministratore delegato di Mediobanca. In attesa del nuovo che avanza (a piccoli passi, almeno fin qui), Greco è però costretto a dedicarsi anima e corpo a quella che appare come la vera sfida, quella decisiva, del suo mandato di amministratore delegato. Dopo anni di letargo le Generali vanno rimesse in moto. Punteremo sul ramo danni piuttosto che sul vita per aumentare la redditività, ha detto Greco annunciando qualcosa di più di un semplice aggiustamento di rotta. Trieste da sempre cavalca i prodotti previdenziali e pensionistici, attingendo all’enorme bacino del risparmio italiano. Il business delle polizze vita è un’attività in un certo senso meno complicata, che fidelizza di più il cliente e richiede l’accantonamento di minori riserve a bilancio. Solo che la recessione ha ristretto, e di molto, il potenziale di sviluppo di questo mercato. Con meno soldi in tasca la gente sempre più spesso non si può permettere di investire. Di qui la scelta di sviluppare con maggior impegno il ramo danni, in cui, a parere di Greco, c’è ancora grande margine di crescita per Generali. E i nuovi capitali, quelli indispensabili per sviluppare le nuove attività nel rispetto dei parametri patrimoniali issati dalle regole internazionali? Esclusa per il momento la possibilità di chiedere soldi agli azionisti, la compagnia di Trieste ha una sola strada per diminuire il distacco che la separa dai maggiori concorrenti europei: vendere il vendibile per fare il pieno di risorse fresche. A fine ottobre è andata in porto la cessione della controllata israeliana Migdal, ma nella lista delle attività da cedere restano la banca svizzera Bsi e la società di riassicurazione statunitense. Al momento non sembra che abbondino le offerte d’acquisito. E nel caso dell’istituto svizzero, rilevato ai tempi (e ai prezzi) della bolla finanziaria, non sarà facile chiudere l’operazione senza perderci. L’eventuale minusvalenza non sarebbe un toccasana per un conto economico già poco brillante e che nel 2012 dovrà scontare nuove passività per effetto della prevedibile pulizia di bilancio varata dalla nuova gestione. «Stiamo valutando gli asset in portafoglio», ha spiegato Greco. Un portafoglio che vale qualcosa come 380 miliardi di euro, di cui 53 miliardi di titoli di Stato italiani. Il nuovo amministratore delegato ha messo nel mirino alcune scelte d’investimento quantomeno discutibili varate durante la gestione Perissinotto. I titoli di Stato greci comprati fuori tempo massimo, quando invece il resto del mercato abbandonava al suo destino Atene. Oppure i massicci acquisti di titoli bancari proprio alla vigilia della crisi finanziaria. Massima attenzione anche sul portafoglio dei cosiddetti strumenti alternativi (hedge fund e fondi di private equity) che vale da solo oltre 6 miliardi. Sono già emersi anche sui giornali i controversi finanziamenti alle strutture legate al gruppo Palladio di Roberto Meneguzzo, il finanziere veneto in buoni rapporti con Perissinotto nonché protagonista di un tentativo di scalata a Fonsai in opposizione ai piani di Mediobanca. Ma restano da chiarire anche modi e tempi di altri investimenti per centinaia di milioni di euro in fondi speculativi. Tutto regolare, almeno sulla carta. Si tratta di capire se quei prodotti sono stati scelti perché erano i migliori sul mercato, oppure in base a un’altro criterio. Quello di fare un favore a qualche amico.