Denise Pardo, l’Espresso 25/1/2013, 25 gennaio 2013
Colloquio Con Martin Sorrell Slogan semplici e una "visione" per motivare i cittadini. Come ha fatto Obama
Colloquio Con Martin Sorrell Slogan semplici e una "visione" per motivare i cittadini. Come ha fatto Obama. Parla il guru mondiale della pubblicità Dopo Barack Obama, David Cameron e altri padroni del globo come i candidati presidenti - vittoriosi - in Brasile, Messico e Colombia con i quali intrattiene rapporti anche personali, ora è la volta di Mario Monti. Sir Martin Sorrell è un dio della comunicazione. Fondatore e capo del colosso Wpp (il gruppo più grande al mondo di agenzie di pubblicità e comunicazione) consulente della campagna elettorale del premier (notizia confermata dallo staff di Scelta civica mentre lui sull’argomento glissa), sir Martin, 67 anni, formazione blasonata Cambridge-Harvard, saldamente inserito nei board chiave planetari, ha un rapporto speciale con l’Italia (se non altro la seconda moglie è italiana, Cristiana Falcone, consigliere, tra i variegati incarichi, del presidente del World Economic Forum che si riunisce a Davos). Nel suo soggiorno romano Sorrell incontra in esclusiva "l’Espresso", racconta le sue impressioni sulla politica e sulla comunicazione in Italia, sui leader, sui media e su una campagna elettorale lampo imprevedibile e concitata come non si era davvero mai vista prima d’ora. Come appare l’Italia e la politica italiana dal suo osservatorio mondiale? «Prima dei due Mario, Monti e Draghi, il brand Italia - noi misuriamo anche il valore dei brand degli Stati - non era in buona condizione di salute. Poi si è stabilizzato e rinforzato diventando molto autorevole di fronte alla ribalta internazionale. Invece la politica italiana appare confusa e complicata rispetto, per esempio, a quella di una Gran Bretagna dove per decenni non è mai esistita una coalizione. Fino a quando nel 2010 David Cameron ha formato un governo di coalizione con Nick Clegg, il capo dei liberal-democratici. Ma in questo soggiorno italiano, più di tutto, mi ha colpito un fatto: dare quasi per scontata - se ne parla come se fosse la cosa più normale del mondo - la possibilità che dopo il voto di febbraio ci possano essere a breve altre elezioni». È in atto una campagna elettorale durissima ad alto tasso d’incognite. Cosa pensa dei competitori in campo? «Non li conosco ma ho incontrato due di loro, non le dirò quali. E sarebbe orribile se uno straniero si mettesse a giudicare i politici di un altro Paese». Parliamo di slogan, allora. "L’Italia giusta" è il prescelto da Bersani. Cosa ne pensa? «Riflette la situazione del momento. La gente è preoccupata per gli stipendi, per le tasse che deve pagare, per le spese che deve affrontare. L’austerità ha bisogno di giustizia. In ogni caso gli slogan migliori sono quelli più semplici. Ricorda quello di Margaret Thacher?». No. Qual era? «A quel tempo lavoravo per l’agenzia Saatchi&Saatchi, erano le elezioni del 1979. Lo slogan di mrs Thacher era "It is time for a change", è tempo per un cambiamento. Anche Barack Obama per la sua prima campagna scelse "Change", il cambiamento. Non è necessario inventarsi qualcosa di cervellotico e d’intellettuale per creare il messaggio che arrivi dritto al punto. Nel contesto italiano la scelta di Bersani è molto appropriata. Naturalmente poi bisognerebbe studiare come si muovono i flussi per capire il suo reale appeal». C’è Silvio Berlusconi e la sua campagna di puro show... «Berlusconi ha un incredibile talento comunicativo, la capacità d’intuire come far arrivare l’emozione. Conosce la politica, conosce il marketing perché è un media-man e sa come vendere "ham and cheese" prosciutto e formaggio. Negli ultimi giorni, ho sentito dire su di lui cose molto più positive rispetto a due, tre settimane fa. È pericoloso sottostimare la sua efficacia perché arriva nel profondo della psiche italiana». E lo slogan di Mario Monti, il professore che diventa politico, che oltre al consigliere di Obama David Axelrod ha scelto anche una delle sue agenzie e che l’avrebbe contattata per un consulto? «Il premier è un tecnocrate che guida un governo tecnocratico. La sua è una condizione difficile. È un primo ministro non eletto che deve trasformarsi in un uomo politico. Sta passando attraverso un processo di assestamento. Ha messo a posto il vascello. Ha ribilanciato l’economia ma, nonostante questo, molta gente sostiene che avrebbe potuto fare di più, che alcune riforme potevano essere persino più forti, anche se tutto questo sarebbe stato politicamente irraggiungibile o inaccettabile. E a proposito della mia consulenza, Monti è troppo intelligente per consultarsi con uno come me che non sa nulla dell’Italia e della sua politica». (E giù una risata fragorosa e maliziosa). Messaggio pervenuto. Passiamo a Beppe Grillo, il comico che diventa politico... «È in periodi come questi che nascono partiti populisti. Il Movimento 5 stelle è dato circa al 15 per cento, mi pare, anche se sta perdendo lentamente consenso. Ecco: Grillo è l’esempio di come il Web possa essere potente. Senza trascurare il fatto, per nulla secondario, che si tratta di un media low cost. C’è chi dice che abbia un gran limite, quello di essere freddo, privo di calore. Invece io penso che possa essere molto personalizzato». In che modo? «Ricordo che il giorno dell’elezione di Obama uno dei sostenitori registrato in Rete ha ricevuto il seguente avviso: "Sappiamo che hai votato. Ma sappiamo che tua sorella in Ohio non ha votato. Potresti dire a tua sorella di andare a votare?". Estremamente tecnologico, vero? Anche spaventosamente individualistico, quasi al confine della violazione della privacy. Sono convinto che la tecnologia funzioni al meglio quando è usata sapientemente, quasi tagliata su misura». Quale è il ruolo della tv e del Web nelle campagne elettorali contemporanee? «Si parla molto della perdita d’importanza e di potere della televisione. Gli analisti dicono che la tv stia diminuendo d’importanza. Non sono d’accordo specialmente in un Paese come l’Italia dove il suo consumo è altissimo. Nonostante l’espansione del Web, la forza del piccolo schermo ha mostrato ancora una volta la sua potenza in modo clamoroso sia nelle elezioni britanniche che in quelle Usa. Penso alla performance televisiva di Nick Clegg che a detta di tutti è stata determinante per la sua affermazione. Ricordiamoci come è stato negativo, invece, il primo confronto con Mitt Romney per Obama al quale era stato detto di non farsi trascinare in una discussione. Fu uno sbaglio e i sondaggi lo dimostrarono. Naturalmente in tv si va sempre a proprio rischio e pericolo ma il presidente Usa è eccezionalmente dotato per il mezzo televisivo - in privato pare non sia altrettanto bravo. Pensi che negli studi tv usa un mega gobbo e nessuno lo immaginerebbe. È un dono il suo. Anche se in questo campo il migliore di tutti rimane Bill Clinton». Quando i followers di Monti sono arrivati oltre quota 100 mila, ora sono poco più di 180 mila, il premier ha commentato: «Wow». Non fa un po’ sorridere l’uso di un linguaggio così giovanile da parte sua? «Sempre meglio di quello che ha combinato il primo ministro Cameron. In una mail ha scritto "lol" volendo significare "lots of love" molti abbracci affettuosi, mentre invece è convenzionalmente inteso come acronimo di "laugh out loud", un sacco di risate. Il problema di Twitter è che quando si tweetta c’è la tendenza a chiudersi all’interno del mondo dei followers senza sviluppare contenuti significativi». Che vuol dire? «Che il rapporto diventa un ping pong, un botta e risposta e basta. Si è portati a seguire il follower e a scrivere quello che si pensa che il follower voglia. E così finisce che la comunicazione diventi solo "Wow". I 180 mila e passa sono una buona base. Ma se fossi il premier Monti ne vorrei molti di più...». In Italia il sindaco di Firenze Matteo Renzi si è battuto come un leone per il rinnovamento e la "rottamazione" dei vecchi politici. La maggioranza della classe politica ha un’età piuttosto avanzata. Può essere un reale problema? «Non conta la gioventù: pensi a comunicatori passati alla storia come Ronald Reagan o la Thatcher. È importante, invece, che i politici riescano a coinvolgere emozionalmente. Capiscano teste e cuori incidendo su ciò che motiva e che sogna la maggior parte della gente. C’è una domanda da porre su questo: i politici dicono la verità? In una campagna che dura tre, quattro settimane e sotto una grandissima pressione, i candidati affermano qualsiasi cosa per essere eletti e senza dubbio tendono a esagerare». Siamo un Paese affidabile per investimenti esteri? «Non in questo momento. Lo sarà tra due, tre anni. Credo si sia toccato il fondo del barile. E ora i grandi investitori vedono l’Europa occidentale come una promettente opportunità sottovalutata». Cosa consiglierebbe a un leader di partito italiano? «Di riuscire a far credere iiln un futuro migliore. Avvertire, se è il caso, che si pagheranno più tasse e che forse si avranno meno servizi. Ma essendo capaci di comunicare soprattutto una "vision". Per questo Obama è così forte: si può non essere d’accordo con lui, ma lui ha una visione. Nel vostro Paese ci sono molte persone disilluse. C’è un’enorme ineguaglianza. Ma in cosa si crede? Dove sta l’Italia? Cosa vuole l’Italia? Cosa sarà l’Italia nei prossimi cinque-dieci anni? La questione non si pone su nuovi o su vecchi volti del potere. Da Abraham Lincoln a Barack Obama, la vittoria è racchiusa nella visione, nella prospettiva. Il grande progetto: questo fa vincere. Questo mi sembra che ancora manchi». *** Il gruppo fondato nel 1985 dal londinese Martin Sorrell ha numeri imponenti. Nel mondo conta 158 mila dipendenti, 2.500 uffici, ed è presente in 107 Paesi. Negli anni ha inglobato agenzie tra le più importanti come le mitiche Ogilvy & Mather, Advertising, J.Walter Thompson, Burson-Marsteller, Young&Rubicam, solo per citare qualcuna. 340 dei suoi clienti fanno parte della classifica di "Fortune" dei primi 500 gruppi economici mondiali. Wpp è leader mondiale nel settore e nel terzo trimestre del 2012 ha fatturato 3 miliardi. Sorrell è un estimatore del nostro Paese e un convinto europeista. Insieme ad altri 20 esponenti del gotha dell’imprenditoria inglese ha firmato una lettera al premier David Cameron per protestare vivamente contro la ventilata ipotesi di uscire dall’Ue, molto appoggiata dal partito conservatore e dall’Uk Independence Party. Anche Wpp Italia guidata dal country manager milanese Massimo Costa ha una presenza capillare e comprende e rappresenta 65 agenzie impiegando 2.500 persone di cui il 70 per cento sono donne e giovani sotto i trent’anni.