Nello Scavo, Avvenire 24/1/2013, 24 gennaio 2013
COSA NOSTRA ARRUOLA PIRATI INFORMATICI
In Sicilia niente è come appare. Neanche le slot machine. Le statistiche raccontano di un’isola di parsimoniosi: nel primo semestre dell’anno scorso la media di giocate pro capite s’è fermata a 145 euro, contro i 279 del dato nazionale. Troppo pochi. La verità? Cosa nostra ha arruolato esperti informatici per accecare i sistemi dei Monopoli di Stato, facendo credere che il flusso di gioco nei centri scommesse legali sia regolare, in realtà dirottando verso le casse dei clan un centinaio di milioni. Senza lasciare traccia.
Difficile credere alla sobrietà degli scommettitori isolani. Piuttosto è il sospetto, secondo gli operatori della filiera, di come una parte del business sia ancora sommerso e legato alle scommesse clandestine. La conferma di come la mafia siciliana stia tentando di egemonizzare un comparto prima trascurato dalle altre organizzazioni criminali.
La fase di sperimentazione è avvenuta a Caltanissetta, dove il «mandamento» mafioso ha messo a punto un metodo per inghiottire le giocate provenienti dal sistema legale.
Un’indagine ha scoperto qual è il meccanismo escogitato dai padrini, messo in prova prima in una sola provincia e poi esteso a tutta la regione. Con il benestare del reggente di Cosa nostra nissena, il boss Salvatore Di Marca, è stato imposto il controllo su gran parte delle macchinette della zona. Basta far intervenire un tecnico esperto sulle schede elettroniche e il denaro prende un’altra direzione. Per non perdere la fiducia dei giocatori le cosche ben si guardano dal truccare le giocate, cosa che farebbe girare i tacchi alla clientela. Invece viene sottratto allo Stato quanto dovuto in tasse se le macchine comunicassero regolarmente il flusso di gioco al centralone dei Monopoli.
«Follow the money» , suggeriscono i manuali di investigazione americani. In mancanza di indizi, da dove cominciare a «seguire il denaro»? Forse dalle statistiche. Un’analisi dei Monopoli di Stato e dell’Istat chiarisce che nei primi sei mesi del 2012 in tutta l’isola sono stati raccolti complessivamente 595 milioni di euro, con introiti erariali per 70 milioni. Una cifra che ammonta a poco più della metà del dato italiano. Stime elaborate su dati del Ministero dell’Interno fanno decollare il giro d’affari dei biscazzieri fino a 522 milioni di euro. Con la Sicilia che detiene la maglia nera dei ricavi illeciti: 102 milioni. Lo studio sul fatturato delle mafie recentemente diffuso da Transcrime, il centro interuniversitario che ha svolto la ricerca su incarico del Viminale, conferma come nelle regioni a maggior presenza criminale siano altrettanto elevati i ricavi del gioco illecito. E se non sorprende vedere stime per 75 milioni in Campania e 64 in Puglia, colpisce osservare come in Piemonte il volume del mercato si attesti tra i 44 e i 71 milioni di euro.
I promotori del “gioco legale” sostengono che l’accesso libero alle scommesse lecite avrebbe debellato il mercato clandestino. I fatti raccontano un’altra storia. L’ultima bisca l’hanno chiusa il 16 gennaio nel Livornese. In piena notte i carabinieri hanno fatto irruzione in un bar di Cecina. I militari sono andati a colpo sicuro. Le loro talpe erano le mogli di alcuni accaniti giocatori d’azzardo. Li hanno trovati nella bisca, gestita da un misterioso cittadino del kazakistan, con in mano le carte da poker e novemila euro sul piatto.
Il gioco d’azzardo è infatti un settore d’investimento da esportazione. Cosa nostra, camorra e ’ndrangheta puntano cospicue risorse sul mercato estero. Per stare al “sistema” partenopeo, in Olanda - informa il rapporto di Transcrime - hanno investito i clan La Torre, Polverino, Gionta, Gallo, Sarno, Di Lauro, l’Alleanza di Secondigliano e gli Scissionisti. In Canada, invece, sono le famiglie calabresi a fare dollari sui tavoli verdi, «soprattutto a Toronto e nell’area di Woodbridge». Emblematico, poi, un caso che ha riguardato lo scorso anno il clan Prudentrino, gruppo criminale della sacra corona unita pugliese, attivo in Albania. Nel Paese balcanico il gruppo aveva già avviato alcune società per il gioco d’azzardo, come la ’BsA’, la ’BP’ e la ’Ci’. E il capostipite, se non fosse stato arrestato nel gennaio 2011, avrebbe trasformato il suo villaggio turistico di Tirana in un casinò.
Se anche all’estero le mafie dovessero incontrare norme stringenti, si può sempre fare affidamento sui sistemi testati dentro i confini nazionali. In passato si usava scollegare dalla rete gli apparecchi, in modo da impedire al sistema centralizzato di conoscere l’esatto ammontare delle giocate. Cosa nostra ha escogitato un sistema più subdolo. Per non destare sospetto, vengono modificati i parametri informatici, in modo che ogni slot-machine trasmetta ai Monopoli un numero di giocate notevolmente inferiore a quelle reali. E tanto per esser certi che chi di dovere chiuda un occhio, i clan remunerano funzionari pubblici compiacenti. A Caltanissetta sono indagati un commissario di polizia, un’assistente della penitenziaria, due marescialli della Finanza e un vigile. Altri militari delle Fiamme gialle e alcuni dipendenti civili del ministero dell’Interno sono stati raggiunti da informazione di garanzia per corruzione, concorso in peculato e frode informatica.
Un modo per far scattare l’allarme ci sarebbe: le segnalazioni per operazioni bancarie sospette, che dovrebbero partire dagli istituti di credito. Cosa nostra ha pensato anche a questo. Tra gli indagati figurano svariati funzionari di banca. L’accusa: «Omettevano sistematicamente le segnalazioni».