Richard Newbury, La Stampa 24/1/2013, 24 gennaio 2013
QUELLO CHE A NOI INGLESI NON PIACE DELL’EUROPA
Il Regno Unito ha aderito alla Comunità europea nel 1973, sotto il primo ministro conservatore Edward Heath, fermamente filoeuropeista. Il suo successore, il laburista Harold Wilson, nel 1975 indisse un referendum (il primo e ultimo che il Regno Unito abbia mai avuto) a voto libero sull’adesione del Paese, anche se l’ala sinistra del suo partito e i sindacati allora erano i principali oppositori dell’adesione alla Cee con i suoi prezzi maggiorati dei prodotti alimentari e la minaccia ai posti di lavoro. Io e il 66% degli elettori votammo per restare, e la sensazione generale era che la Germania avesse vinto la guerra. Lo scherzo sulle motivazioni dei vari Paesi per l’adesione era che: la Germania voleva riunirsi al genere umano, i francesi volevano un nuovo impero francese della burocrazia, gli italiani volevano essere governati da non italiani mentre gli inglesi chiedevano: «Se si tratta di un mercato comune, si fanno i soldi?». Il denaro è certamente ancora oggi la motivazione britannica.
Ma al centro di tutto il futuro euroscetticismo c’è la mancata menzione nella campagna referendaria di quelle fatali parole imperialiste nel trattato di Roma: «Unione sempre più stretta». Noi avevamo votato a favore di un contratto firmato, non di un nebuloso «processo». Cameron ora è pronto a fare «l’eretica affermazione», che «l’integrazione sempre più stretta... non è l’obiettivo per la Gran Bretagna» e noi saremmo molto più a nostro agio se il trattato lo dicesse specificamente, lasciando liberi quelli che vogliono andare oltre, più velocemente, di farlo senza essere trattenuti da altri. «Niente tasse senza rappresentanza» era già un’antica rivendicazione anglosassone quando fu ripresa dai coloni inglesi americani. Agli inglesi sembra che il Parlamento europeo non riesca a svolgere le sue basilari funzioni legislative di pertinenza e tuttavia oltre il 70% delle leggi che interessano gli elettori britannici e le imprese non emanano da Westminster, dove viene discussa ogni riga di ogni legge, ma dal Parlamento europeo. Questo all’elettore britannico appare come un governo non sottoposto a revisione contabile. Il popolo britannico vuole una riforma completa del modo di amministrare e rendere conto di Bruxelles – e così i tedeschi.
Quello che piace agli inglesi è il mercato unico - «uno spazio senza frontiere nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci e delle persone, dei servizi e dei capitali» tanto caro a Margaret Thatcher, che lo propose. Una cosa per cui Cameron negozierà è l’estensione del mercato unico ai servizi e allo shopping on-line – che sono il 10%, in crescita, dei negozi britannici. Tuttavia, come per il resto dell’Europa, la libera circolazione delle persone senza alcun controllo alle frontiere è, per l’87%, la più grande lagnanza nei Paesi membri, con un milione di (eccellenti) lavoratori provenienti dal Baltico negli ultimi dieci anni e presto circa 50.000 l’anno, stimati, dal Mar Nero.
A Maastricht nel 1991 il primo ministro conservatore John Major assicurò una popolare «opzione di esclusione» che permetteva più ore di lavoro, ma un gruppo significativo di parlamentari Tory paventò l’inizio di un super-Stato europeo guidato da una Germania ora riunita, che aveva costretto la sterlina fuori dal sistema monetario europeo. E giusto alle spalle di Norman Lamont, Cancelliere quando la Gran Bretagna lasciò lo Sme nel 1991, c’era il suo segretario politico, il ventiquattrenne David Cameron!
Non ci sarebbero più state decisioni economiche per motivi politici - e la generazione di Cameron e Gordon Brown e Ed Balls fu d’accordo e ne tenne fuori la Gran Bretagna. Tony Blair la volle dentro per motivi politici, ma nel 2002 sia la Banca d’Inghilterra che il Tesoro previdero il disastro attuale dell’euro. La maggior parte dei cittadini britannici fu d’accordo.
Il referendum si terrà nel 2017 in modo da dare il tempo di vedere se la zona euro avrà in effetti preso il sopravvento sull’Unione europea e le sue istituzioni. In questo caso il Regno Unito, che ha un deficit commerciale con l’Ue, ma un surplus in veloce incremento con il resto del mondo, dovrà prendere in considerazione la sua posizione. Probabilmente deciderà di andare a cena à la carte con l’Unione europea, mostrando una graziosa caviglia al Nafta.
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[TRADUZIONE DI CARLA RESCHIA]