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 2013  gennaio 24 Giovedì calendario

I SUOI FANS LO AMANO: FABRIZIO È IL TRONISTA CHE È DENTRO DI LORO

[Roberto D’Agostino]

«La celebrità di oggi è un fenomeno sociale veramente buio, insondabile». Inizia così con una frase depressa la conversazione su Fabrizio Corona con Roberto D’Agostino, sociologo dell’edonismo, filosofo pop, inventore dell’incubatore di costume e malcostume Dagospia.

Fabrizio Corona in fuga dalla polizia e seguito sui social network da frotte di fans. Perché?

«Mi viene da dire: fenomenologia di un cerebroleso. Uno tra quelli che la fama ha completamento intossicato. Ci vorrebbe una San Patrignano per questi tossici. E Corona fa un po’ parte di questo mondo qua».

Ma ci vorrebbe anche un luogo di cura per i fans?

«Tu per capire una società devi analizzare chi si sceglie come celebrità. Dalla Milano da bere siamo passati alla Milano da sniffo, macchinoni, cocaina».

Edonismo coroniano?

«Edonismo da reality, in cui tutti sono protagonisti, Io sono il tronista di me stesso. Un mondo che va dal Billionaire a Malindi. Perché quando una società vive sulle immagini sviluppa un indifferenza al mondo reale. Ecco perchè la gente non vede Corona come un malvivente, o come qualcuno che vive comunque oltre le regole: è solo immagine. È tutto fiction. Anche la galera è fiction, non la conseguenza di qualcosa che uno ha fatto».

Divo e vittima.

«Corona è un personaggio fantastico in questo contesto perché vendeva le vite degli altri. La cosa che bisogna dire è che il divismo come era inteso all’epoca non esiste più. Una volta c’erano Mastroianni, la Loren, Marlon Brando, avevano glamour. Poi con la televisione è arrivato quello che io chiamo il bidet delle vanità è un po’ volgare ma è così - e Corona e i suoi simili sono diventati modelli».

Modelli negativi, a differenza dei divi di una volta.

«La celebrità come la intendiamo adesso, anzi da decenni, è come il chewingum, la tiri di qui, la tiri di là e poi la sputi. Abbiamo i divi di gomma. E Lele Mora con il suo assistente Corona hanno dato vita a tutto questo, se ne sono inventate di tutti i colori. Una specie di fabbrica del divo. Corona è un personaggio perché vive come fosse in un film. Il tema fondamentale, che rappresenta Corona e tutti quelli che passeggiano per via del Corso a Roma è: “Io sono la mia fiction”. Io sognavo la Melato, oggi i fan di Corona sognano se stessi».

Fenomeno italiano?

«Non è che in America sia diverso da qua. Anche li i divi sono quattro. Anche in America una come Monica Lewinski diventa una star sui giornali, esattamente come avviene da noi. Poi in Italia abbiamo il di più della banalizzazione. Corona è riuscito a produrre carne da rotocalco per tutti. E d’altra parte si è montato la testa senza leggere le istruzioni, si è cotonato il cervello e ha superato il limite. È uscito fuori. Come sono usciti fuori gli italiani. E sa perché lo perdonando?»

Perché?

«Gli italiani hanno sempre sempre avuto un’ammirazione per chi fa sesso, per i cattivi ragazzi. E Corona ha avuto mille donne, essere stato con Belen è una tacca al merito».

E i ricatti vengono dimenticati?

«Io ho ricevuto lettere su Corona dove la gente dice che Corona voleva solo salvare la famiglia di Trezeguet, che in fondo non ha fatto niente di male. Alla fine c’è un altro moralismo che viene fuori. E comunque alla fine questo mercato delle foto non è che nasce con Corona. Su... Bisogna dare atto...»

Dunque Corona per i suoi fan è un perseguitato.

«Quando non esiste mai un reale, non esiste neanche un reato. Una immagine viene cacciata da un’altra immagine. Una volta arrestato Corona stop. Inizia un’altra fiction: “Le mie prigioni due”. E l’italiano, che è sadomaso, gode, soffre, ammazza, vuole vedere dove va a finire questa storia».