Mattia Feltri, La Stampa 24/1/2013, 24 gennaio 2013
IL DECLINO DEGLI EX AN “UNA PULIZIA ETNICA L’ESCLUSIONE DALLE LISTE”
Come li fece così li disfa. Venti anni esatti (numero ormai esoterico per la destra italiana), dall’inaugurazione di un ipermercato a Casalecchio di Reno, quando l’imprenditore Silvio Berlusconi svelò la sua preferenza per il missino Gianfranco Fini a sindaco di Roma, fino alla compilazione delle liste elettorali del 2013: tanto è durata l’età dell’oro per i destri. Soltanto che due decenni fa cercavano di «riemergere dalle fogne», dov’erano ricacciati senza diritto di residenza politica, e il braccio teso (non in quel senso) del Cav fu l’appiglio decisivo; oggi semplicemente non esistono più, non hanno partito, vivono una diaspora al momento irrimediabile: pochi superstiti nel Pdl - dove la «guerra ai fasci», come si diceva in Transatlantico, è cominciata da mesi -, qualche fuggiasco in Fratelli d’Italia, movimento che i sondaggisti accreditano non oltre il due per cento, altri più tradizionalisti da tempo rifugiati nella Destra di Francesco Storace, i finiani di Futuro e Libertà aggrappati al centrismo e alle prese con la drammatica soglia dell’uno per cento (sempre secondo i recenti studi demoscopici), qua e là eremiti tipo Alfredo Mantovano, che trovò asilo da Mario Monti ma non la candidatura.
Prendere ora in mano gli organigrammi di Alleanza nazionale fa venire i brividi. Il partito nacque nel gennaio del 1994 proprio per completare e sacralizzare il passaggio dal postfascismo a un conservatorismo moderno ed europeo, e il percorso doveva concludersi con la fusione nel Popolo della Libertà, per quanto celebrata secondo riti notarili. Ancora nel 2008, quando il Pdl non era nato ma si affrontarono elezioni trionfali con le liste unitarie, tutti i dignitari ex missini erano lì, in posizioni ad altezza di lignaggio, a riconquistare la seggiola in Parlamento e il seggiolone nel governo; e la promozione di un ex estimatore di Benito Mussolini alla presidenza della Camera, cioè alla terza carica dello Stato, rappresentava davvero la fine del Novecento, o almeno di certi suoi fantasmi: ancora un gradino e lì c’era la presidenza del Consiglio. Niente suggeriva che il tracollo, lo sgretolamento, il disastro assoluto stavano per compiersi.
Dei fondatori di An, perlomeno dei più noti, il partito di Berlusconi oggi si tiene soltanto Altero Matteoli e Maurizio Gasparri (più Gianni Alemanno, che però è candidato senza paracadute, come si dice: si giocherà con modeste chance la conferma a sindaco di Roma, e se non ce la fa aspetta il prossimo giro). Torneranno al titolo di onorevole o di senatore persone di non primissimo piano come Amedeo Laboccetta e Alessandra Mussolini, o come il vero motore della destra romana, Andrea Augello; altri portano nomi non popolarissimi: Pietro Laffranco, Alberto Giorgetti (peraltro a rischio elezione), Vincenzo Piso, Barbara Saltamartini, Basilio Catanoso, Francesco Aracri. Domenico Gramazio (noto come “er Pinguino”, storico soprastante dei destri nella capitale) rientrerà a Palazzo Madama soltanto per clamorosissimo miracolo.
Piangono miseria e denunciano il rinnegamento i sottocolonnelli degli anni pettoruti: Andrea Ronchi, Adolfo Urso, Pasquale Viespoli, Mario Landolfi.
«È stata una pulizia etnica, A e N sono le nostre lettere scarlatte, siamo stati fatti fuori dai nazisti», ha detto Landolfi in una crescente esplosione simil-wagneriana. Non viene ospitato in lista nemmeno Marcello De Angelis, direttore del Secolo d’Italia, e l’elenco degli inabili al lavoro prosegue con Maurizio Saia, Giuseppe Menardi, Pippo Scalia, Alfredo Matica, Silvano Moffa.
Il rimanente della nobiltà missina e aennina ha traslocato da tempo. Anche qui l’elenco fa paura: nella Destra, oltre a Storace, Teodoro Buontempo. Con Fini rimangono i vari Italo Bocchino, Roberto Menia, Mario Baldassarri, Carmelo Briguglio, Fabio Granata, Flavia Perina, Nino Strano, Enzo Raisi (ma quanti di loro ce la faranno? Se va male quattro, se va bene sei, nessuno al Senato). Lo stesso vale per Fratelli d’Italia, il porto di Ignazio La Russa e Giorgia Meloni. L’avreste mai supposto che la destra sarebbe uscita da questo ventennio peggio di come uscì da quell’altro?