Carlo Bertini, La Stampa 24/1/2013, 24 gennaio 2013
SE NON BASTASSERO I SEGGI DI MONTI IL PD CHIEDERÀ DI RIVOTARE AL SENATO
Solo a parlarne la reazione degli interlocutori ai piani alti è di quelle tipicamente scaramantiche, gli aggettivi si sprecano, chi la chiama ipotesi «sciagurata», chi «catastrofica», ma almeno in teoria potrebbe avvenire pure questo: che chiuse le urne, pur avendo una forte maggioranza alla Camera, il centrosinistra non abbia i numeri al Senato per governare neanche con i voti dei centristi. Sul punto i pareri degli esperti divergono, c’è chi sostiene che sondaggi alla mano è uno scenario impossibile, chi invece lo mette in conto: nel caso si perdessero le principali regioni a rischio e la lista Monti andasse molto meno bene del previsto, i voti dei centristi potrebbero rivelarsi insufficienti. O utili magari a far superare solo di poco la soglia di 157 voti necessari: rendendo impraticabile quella larga maggioranza necessaria a ricostruire il paese che Bersani vuole assicurarsi. E che nella plancia di comando del Pd abbiano tenuto in conto tutte, ma proprio tutte le opzioni, compresa quella più «sciagurata», lo dimostra il fatto che il candidato premier saprebbe già come regolarsi: con quella che gli uomini di Bersani chiamano «una decisione politica già presa». Ogni qualvolta che gli si pone un quesito del genere, il leader Pd risponde che «non esiste assolutamente» alcuna possibilità di larghe intese con Berlusconi sotto alcuna forma. E da questa linea della fermezza si può dedurre che sarebbe impensabile che il Pd possa accettare un eventuale appoggio esterno, o imbarcarsi in trattative per cedere Palazzo Chigi a Monti o la presidenza della Camera al Pdl; o tantomeno accordi sul Quirinale in cambio di più larghe intese. Insomma, Bersani ha già deciso che nel caso «più catastrofico» il Pd chiederebbe di sciogliere solo uno dei due rami del Parlamento e di tornare a votare per il Senato. Un’opzione che in due casi si realizzò, nel 1953 e 1958, quando la Costituzione ancora non prevedeva la stessa durata per le due Camere. Tanto che nel ’63 si approvò una riforma che portò a cinque anni la lunghezza della legislatura a Palazzo Madama. Ma sarebbe una soluzione di ardua praticabilità, se non altro per le resistenze che incontrerebbe negli altri attori della partita; senza contare il ruolo centrale del Capo dello Stato, al quale spetterebbe l’ultima parola. Insomma, sarebbe un guazzabuglio.
A tirar fuori per primo qualche giorno la possibilità di uno sbocco del genere in Senato, il politologo Roberto D’Alimonte. «Se Monti scende sotto l’8% in diverse regioni - spiega il professore - cambierebbe tutto lo scenario. Ma al momento, da quello che vediamo in molti sondaggi, compreso Ipsos, la coalizione di Monti è intorno al 14-15% su base nazionale: e sarei molto sorpreso se scendesse all’8% in alcune regioni. Dunque sulla base delle tendenze che vediamo ora, è molto improbabile che si verifichi».
Bersani le sta tentando tutte per assicurarsi una maggioranza assoluta, ha pure fatto presentare al piemontese Portas la sua lista col simbolo «I Moderati» al Senato in Lombardia e Sicilia, per rosicchiare qualche punto, dato che nelle regioni a rischio i giochi sono ancora aperti. E il leader Pd accentua gli attacchi nei confronti di Monti per competere con lui, pur sapendo che potrà aver bisogno dei suoi numeri. E in ogni caso è solo a Monti e non ad altri, neanche a Ingroia, che potrà rivolgersi dopo il voto, «perché il paese ha bisogno di un governo stabile e non di un governo che dura un anno e poi si rompe», dicono i suoi uomini. «Se lo mettano in testa tutti e non ci vengano a proporre una ipotesi del genere in nessun caso». E su questo punto, i massimi dirigenti del Pd sono concordi: trincerandosi dietro l’anonimato, confermano che nel caso più «malaugurato» si chiederebbe di rivotare al Senato: «Perché se il popolo dice con chiarezza chi vince alla Camera e per via del meccanismo contorto questa maggioranza non si esprime a Palazzo Madama, sarebbe legittimo fare una richiesta del genere», spiega uno dei pezzi grossi. «Ma anche se Berlusconi vincesse le 4 regioni a rischio noi e i centristi ce la faremmo da soli a governare. Certo tutto è possibile, ma in quel caso sarebbe un cortocircuito».