Francesco Manacorda, La Stampa 24/1/2013, 24 gennaio 2013
D’ALEMA: MA IL PRESIDENTE DEL MONTE LO ABBIAMO CAMBIATO PROPRIO NOI
Noi, e per noi intendo il Pd di Siena nella persona dell’ex sindaco Franco Ceccuzzi, Mussari lo abbiamo cambiato un anno fa, assieme a tutto il consiglio d’amministrazione del Monte dei Paschi. Sono i banchieri che lo hanno tenuto come loro presidente alla guida dell’Abi ed è dunque a loro che eventualmente bisogna rivolgersi. Questi sono i fatti documentati, tutto il resto sono commenti».
Riconosciuto lo stile di Massimo D’Alema? L’ex presidente del Consiglio che già ai tempi della scalata a Telecom attirò le ire di Guido Rossi su Palazzo Chigi, «unica merchant bank dove non si parla inglese» reagisce gelido alle polemiche elettorali che turbinano attorno al Pd e ai suoi rapporti con la banca senese che proprio sotto la gestione Mussari - si scopre ora - ha attuato oscure manovre sui derivati per posticipare perdite in bilancio. Eppure, presidente D’Alema, non ritiene che ci sia una sorta di responsabilità oggettiva del Pd su quel che riguarda le vicende del Monte? Risata secca e scandita, silenzio. Poi: «Ceccuzzi si è giocato la poltrona proprio per il cambio al vertice del Monte dei Paschi. E sono stati insediati nuovi manager», ossia il presidente Alessandro Profumo e l’amministratore delegato Fabrizio Viola, cioè quelli che stanno scoperchiando il pentolone della gestione precedente.
Polemiche elettorali quelle che insistono sui legami tra il partito e il Monte? Di sicuro. Il segretario Pierluigi Bersani prova a smorzarle con il suo stile: «Nessuna responsabilità del Pd, per l’amor di Dio... il Pd fa il Pd e le banche fanno le banche». Eppure per i Democratici questa di Siena è davvero una storia scivolosa e preoccupante, visto che non è un mistero per nessuno il rapporto strettissimo tra i vertici della banca, la politica locale - in pratica un monocolore Pd - e lo stesso partito a livello nazionale. Mussari, per dire, che prima di farsi sei anni da presidente della banca ne aveva passati altri cinque da presidente della Fondazione che aveva il controllo ferreo del Monte dei Paschi, ha versato nel decennio 2002-2012 la bellezza di 683.500 euro di finanziamenti - tutti regolarmente dichiarati al Partito democratico di Siena.
Imbarazzo palpabile, dunque, se perfino un uomo solitamente aperto al dialogo come Franco Bassanini, che in passato ha giocato un ruolo non secondario nelle vicende del Monte, fa sapere che oggi preferisce il silenzio perché prima vuole capire dove va finire questa storia. Conviene chiedere allora a Massimo Mucchetti, neofita della politica, che il Pd candida capolista al Senato in Lombardia, ma gran dipanatore di trame finanziarie prima all’Espresso e poi al Corriere della Sera. «Il Monte è sempre Stato pubblico, dal Granducato di Toscana al Tesoro. Il vero problema c’è stato quando il controllo è diventato locale, perché si è innescato un circuito pericoloso: i sindacati della banca decidevano di fatto i vertici di Provincia e Comune di Siena, quei rappresentanti politici nominavano poi gli esponenti della Fondazione Mps che a sua volta decideva chi guidava la banca. Un cortocircuito che ostacola la separazione dei ruoli». ».
E la responsabilità oggettiva del Pd, esiste o meno? «Non la vedo. Se ci sono responsabilità queste sono dei singoli soggetti: i vertici della banca, i soci che hanno votato alcune operazioni in assemblea, al limite Bankitalia che se lo avesse ritenuto opportuno avrebbe avuto la possibilità di bloccare l’operazione Antonveneta da cui sono seguiti tutti i problemi patrimoniali della banca. E più che un tema di Pd nazionale vedo un tema legato alla città di Siena»: Intende al Pd della città di Siena, forse? «Sì, ma non solo. Alfredo Monaci, uno dei consiglieri del Monte in epoca Mussari, oggi è nella Lista Monti in Toscana. Quello senese è un sistema trasversale». Dove Mucchetti non ci sta è sulla chiamata in correità di Bersani: « A che titolo dovrebbe andare a riferire in Parlamento? Allora Berlusconi dovrebbe fare altrettanto e riferire sul fallimento del Credito cooperativo fiorentino di Denis Verdini». Non è una linea troppo diversa da quella di Vannino Chiti, ex potentissimo presidente della Toscana e adesso vicepresidente del Senato che ieri, chiamato in causa replica: «Ci rispondano una volta per tutte su quanto è costato ai cittadini italiani salvare dal fallimento la famosa banca della Lega di bossiana memoria». Basterà un mal bancario comune a trasformare Mps in un mezzo gaudio?