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 2013  gennaio 24 Giovedì calendario

ECCO LA GENERAZIONE DELLE BIMBE CENTENARIE


Ma quando ci fermeremo? Nel 1951 una bambina appena nata aveva il 13% delle possibilità di raggiungere i 100 anni. Oggi quattro bimbe su dieci toccheranno il secolo di età. Le neonate del 2060 taglieranno il traguardo in sei casi su dieci. A un vero e proprio elisir non siamo mai arrivati, eppure l’andamento dell’aspettativa di vita, con la sua curva costantemente orientata verso l’alto, rappresenta uno dei successi più tangibili di medicina e welfare state.
Nel 2002 su
Science
Jim Oeppen dell’università di Cambridge scriveva perplesso: «Da anni diciamo che la vita non potrà allungarsi più di così. E puntualmente veniamo smentiti». Che l’uomo
non avrebbe superato i 68 anni era la convinzione degli scienziati nel 1928. Di revisione in revisione, l’Onu affermò nel 1980 che il tetto della longevità andava fissato a 80 anni. Vent’anni più tardi l’asticella è stata spostata a 85. Da 160 anni a questa parte l’età umana continua ad avanzare al ritmo di 3 mesi all’anno.
Quanto durerà? È la domanda che oggi, di nuovo, si pone sul
British Medical Journal
John Appleby, capo della squadra di economisti del King’s Fund di Londra. Memore delle previsioni sbagliate del passato, Appleby accetta l’ipotesi che la vita umana continuerà ad allungarsi. Ricorda che l’età della pensione andrà necessariamente spostata in avanti. Ma sostiene che più la vita si estende, meno figli le donne tendono a mettere al mondo. Dal punto di vista dello sfruttamento delle risorse, conclude, «non c’è bisogno di inquietarsi troppo».
Il cuore del problema, secondo l’economista britannico, è piuttosto quanto valga la pena vivere
più a lungo, se gli ultimi anni di un’esistenza sono spesso martoriati dalle malattie e dalla perdita progressiva dell’indipendenza. «Dal 1990 a oggi in Gran Bretagna — scrive Appleby
— l’aspettativa di vita alla nascita è aumentata del 4,6%. Ma l’aspettativa di vita in assenza di malattie e impedimenti è cresciuta solo del 3%». L’umanità, di questo passo, rischia di finire come
il popolo degli Struldbrug nei
Viaggi di Gulliver:
individui che non conoscono la morte, ma vengono progressivamente immiseriti dalla vecchiaia.
L’allungamento dell’esistenza,
aggiunge Appleby, non può essere annoverato fra gli esempi più fulgidi di equità sociale. A determinare quanto vivremo infatti è ancora in buona parte lo status sociale. Dividendo la popolazione
britannica in cinque ceti, lo studioso ricorda che nel 2003 l’aspettativa di vita di una donna della prima classe era di 80 anni, contro i 68,6 di una donna del ceto più basso. E mentre la maggior parte dei paesi del mondo ha registrato un incremento dell’aspettativa di vita, Bielorussia, Lesoto, Ucraina e Zimbabwe sono regrediti, a causa principalmente di alcol e Aids.
Il progresso dell’aspettativa di vita è dovuto solo in parte agli accorgimenti che riguardano comportamenti quotidiani e alimentazione, o alla medicina che tiene sotto controllo molte malattie croniche della terza età. L’umanità deve soprattutto ringraziare l’abbattimento della mortalità infantile: «Dal 1970 a oggi — ricorda Appleby — i decessi dei
bambini sotto ai 5 anni si sono ridotti del 60%».
Se molti dei dati citati nello studio si riferiscono a individui di sesso femminile è perché le donne in media muoiono a un’età più avanzata rispetto agli uomini. Questo vantaggio però si sta riducendo. Nel 1967 in Gran Bretagna la discrepanza fra i due sessi era di 6,3 anni. Oggi è di 4,1 anni e in continua riduzione. A ogni cittadino del regno che compia 100 anni la corona invia un biglietto di auguri. Giorgio V nel 1917 spedì 24 messaggi. Nel dopoguerra la cifra era decuplicata. Nel 2011 il numero di congratulazioni si è moltiplicato di 40 volte, raggiungendo quota 9.736. Fino a ieri i biglietti indirizzati alle centenarie erano cinque volte più numerosi di quelli con un nome maschile sull’intestazione. Ma anche se in futuro le curve dei due sessi sembrano destinate a incontrarsi, l’importante è che entrambe continuino a guardare verso l’alto.