Giampaolo Cadalanu, la Repubblica 24/1/2013, 24 gennaio 2013
NELLA FABBRICA DEL CACCIA MILIARDARIO “SE LO PERDIAMO CI RIMETTE SOLO L’ITALIA”
Le ali della discordia per ora sono solo scheletri gialli, ancorati su un sostegno verticale mentre un macchinario grigio alto più di cinque metri attacca le parti in alluminio a quelle in fibra di carbonio. Il gigante che martella con precisione si chiama, inevitabilmente, Thor: è un robot simbolo dell’eccellenza tecnologica italiana, dicono i tecnici. E proprio per non perdere la sfida dell’innovazione, garantisce l’Aeronautica militare, è partita la produzione del controverso cacciabombardiere F35. Il primo esemplare sarà disponibile per i piloti italiani nella primavera del 2015.
Non ci sono alternative al progetto Joint Strike Fighter, sottolinea la forza armata, anche se i problemi tecnici non sono ancora stati risolti del tutto. Per chiarire ogni dubbio, meglio ambientare le spiegazioni direttamente sullo sfondo dell’impianto produttivo, a Cameri, pochi passi da Novara. Il colonnello Giuseppe Lupoli, del segretariato generale della Difesa, non si preoccupa per le vulnerabilità emerse di recente, come quella ai fulmini: sono problemi normali all’inizio della produzione. E sicuramente non devono rimettere in discussione un progetto che la Difesa italiana considera strategico. I 90 caccia “F35 Lightning II” dovranno sostituire nei prossimi 40 anni tre
linee di volo: i caccia tradizionali Tornado e Amx e gli Harrier a decollo verticale della Marina. In totale, 253 aerei.
Ma a illustrare quello che si fa a Cameri sono intervenuti con passione anche i piccoli imprenditori coinvolti nella produzione: dall’Aerea di Milano che impiega 120 persone sulle lavorazioni dell’F35 e conta di assumerne altre 80, alla Oma di Foligno (50 persone), alla Vitrociset (50), alla Omi (30), alla Ompm (25). Le stime dell’Aeronautica sono ottimiste: nella produzione diretta, a pieno regime, l’impianto di Cameri impiegherà un migliaio di dipendenti, fra produzione, assemblaggio e assistenza, per assemblare ogni mese due caccia (i 90 italiani ma anche 85 olandesi) e produrre sei ali (l’Alenia dovrebbe ottenerne i contratti per un migliaio). In tutto, con l’indotto, l’F35 darà lavoro a diecimila persone. Non è un risultato eccezionale: sono più o meno i livelli occupativi già garantiti dall’Eurofighter. Ma quello che conta, spiega l’ingegner Mantovani dell’Aerea, «è che non si perda il patrimonio tecnologico».
In parole povere, o si è dentro a questa partita o si è fuori, sottolineano imprenditori e militari. Per essere dentro l’Italia investirà 15 miliardi di euro, ma le
aziende del nostro Paese hanno già contratti per 807 milioni di dollari, e alla fine potrebbero arrivare a superare gli 11 miliardi di euro, facendo rientrare in Italia,
oltre ai jet, gran parte dell’investimento. È ancora il colonnello Lupoli a sottolineare che con il programma Jsf l’Italia ha vinto una sfida straordinaria, entrando in un progetto complessivo di grande integrazione
fra alleati, ma allo stesso tempo convincendo la riluttante Lockheed-Martin a dislocare una linea produttiva in Italia, sia pure sorvegliandone da vicino gli standard di qualità. Quelle che non sono state superate, però, sono le perplessità di tipo strettamente militare: la tecnologia Stealth, che dovrebbe permettere all’aereo di volare senza farsi vedere dalla maggior parte dei radar, sarà sotto stretto controllo del Pentagono. L’ultima fase, quella di controllo della effettiva “invisibilità”, resterà
off limits
per i tecnici italiani. L’Aeronautica non lo considera un
segno di scarsa fiducia: stiamo a un passo soltanto, gli alleati d’oltre Atlantico si convinceranno presto a rivelarci anche i procedimenti segreti, dicono gli ufficiali.
Messi da parte i dubbi tecnologici, restano in piedi le perplessità più politiche. L’Aeronautica sottolinea che senza i caccia più aggiornati non si sarebbe potuto intervenire in Iraq, in Afghanistan, in Libia. Il giudizio sulle necessità di “proiezione di potenza”, care al ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, andrà al Parlamento prossimo venturo.