Serena Danna, Corriere della Sera 24/01/2013, 24 gennaio 2013
UN’UTOPIA DIGITALE DIVENTA FILM
Una mattina del 2002 Larry Page, cofondatore di Google, chiese alla giovane product manager Marissa Mayer (oggi amministratore delegato di Yahoo!) di aiutarlo in un’operazione piuttosto tecnica per un «big boss»: scannerizzare le pagine di un libro. Le ore trascorsero con Mayer che girava le pagine del testo e Page che le «registrava». Alla fine della giornata il ceo di Mountain View ebbe l’illuminazione che cercava da tempo: l’utopia di Google — rendere l’informazione «accessibile e fruibile universalmente» — passava da uno scanner. Se solo con l’aiuto di un’assistente era riuscito lui stesso a «digitalizzare» in poche ore un libro, perché non provare a farlo con tutti i libri del mondo?
Parte da questa domanda Google and The World Brain, il documentario diretto dall’inglese Ben Lewis in concorso al Sundance Film Festival, che racconta il mastodontico progetto di digitalizzazione di biblioteche, centri culturali e librerie conosciuto come The Google Book Search. Il titolo è un omaggio ai racconti del 1937 del maestro inglese della fantascienza H. G. Wells. «Internet ha reso possibile il sogno che comincia nel III secolo a.C. con la biblioteca di Alessandria e arriva al "cervello del mondo" di Wells, quello capace di contenere tutta la conoscenza», racconta il regista collegato via Skype da Park City, dove il film è stato accolto con grande curiosità dagli esigenti critici del Sundance. Solo un colosso aziendale dotato della migliore tecnologia (e di tante risorse umane ed economiche) poteva trasformare la «Biblioteca di Utopia» del web, come l’ha definita il filosofo Peter Singer, in un progetto. «Il Novecento è stato il secolo dell’uomo sulla luna — afferma in video Brewster Kahle, fondatore dell’Internet Archive —, il nostro deve essere ricordato per l’universalizzazione della conoscenza».
L’entusiasmo e l’ingenuità del guru Kahle si ritrovano nelle parole dei direttori delle più importanti biblioteche del mondo, come lo storico Robert Darnton di Harvard o Reginald Carr della Bodleian Library di Oxford, che, nel 2004, anno di partenza del Google Book Search, accolgono la proposta di digitalizzazione di Mountain View come un miracolo. Fa tenerezza la testimonianza di Padre Damià Roure, custode del tesoro letterario del monastero benedettino di Montserrat, uno dei partner del progetto di Google: quando una voce fuori campo gli chiede se non avesse paura che un giorno l’azienda avrebbe potuto rivendicare la proprietà del materiale digitalizzato, il religioso — silente per cinque lunghissimi secondi (enfatizzati dalla macchina da presa di Lewis) — risponde che non aveva pensato a un tale eventualità.
«C’è un equivoco di fondo che riguarda il web — spiega Lewis —, l’idea che tutto quello che circola online debba essere gratis: come se l’economia della conoscenza potesse emanciparsi dal compromesso del denaro». Chi non crede alla buona fede di Google, anticipando una tendenza che caratterizzerà la politica francese verso l’industria hi-tech, è Jean-Noël Jeanneney, ex presidente della Bibliothèque nationale de France. L’autore di Google sfida l’Europa (editore Portaparole) è esilarante nel racconto della visita dei «due ragazzotti mal vestiti» sbarcati da Mountain View con l’offerta di digitalizzazione gratuita dei testi e un thermos in regalo. Jeanneney afferma di aver sentito subito «puzza di arroganza e di brutale commercio».
A compensare la reazione dello storico francese ci sono le immagini di una conferenza tenuta nel 2006 da Mary Sue Coleman, presidente dell’Università del Michigan, che difende la partnership con Google definendo l’operazione «legale e di profondo valore etico». Purtroppo (per Page e il cofondatore Brin) gran parte del mondo editoriale e letterario non la pensa come lei.
La vicenda è nota. Nel 2005 comincia l’odissea legale contro Google, accusata dalla Lega degli autori americani e dall’Associazione nazionale degli scrittori di aver digitalizzato sei milioni (su dieci) di libri protetti da copyright senza l’autorizzazione degli autori. Processo che terminerà con il rigetto da parte del giudice dell’accordo da 125 milioni di dollari proposto da Google e l’impegno di tutelare il copyright degli autori. «Possiamo considerarlo il primo grande processo della storia del web — commenta Lewis —. La decisione del giudice fu clamorosa: la giustizia americana, a discapito di una delle aziende più produttive del Paese, decise che il "cervello del mondo" non poteva avere proprietari». Il regista, che ha impiegato tre anni nella lavorazione del film, sottolinea come la vicenda Google Book Search sia rivelatrice dei danni del tecno-utopismo che ha accompagnato la nascita di Internet: «La difesa ideologica della libertà del web e l’idea di un cyberspazio "puro" ha permesso alla Silicon Valley di fare affari, nascondendo interessi economici dietro l’alibi della democrazia diretta e dell’universalizzazione della conoscenza».
Nel film le voci dei tecno-utopisti, come il fondatore della rivista «Wired» Kevin Kelly e il fondatore delle Creative Commons Laurence Lessing, si uniscono a quelle dei delusi, su tutti il pioniere della realtà virtuale Jaron Lanier, e dei «nuovi padroni», come il direttore della comunicazione di Baidu, il motore di ricerca di Pechino che ha emulato Google e fatto bottino digitale di milioni di libri cinesi, sapendo di poter contare sulla complicità del governo. Google and The World Brain è il racconto dettagliato e critico di una battaglia. Nella consapevolezza che la guerra per il controllo del web è appena cominciata.
Serena Danna