Massimo Sideri, Corriere della Sera 24/01/2013, 24 gennaio 2013
SIAE, LE FORBICI DEI COMMISSARI. GLI STIPENDI D’ORO? DIMEZZATI
Alla Siae, più che alla Scala e ai concerti, sembrano abbonati ai commissariamenti. E sempre dal palchetto d’onore. Quello che si chiuderà formalmente con l’insediamento dei nuovi vertici a marzo è solo l’ultimo di una storia infinita: già nel 1926 «il ministro Mussolini» scriveva al «signor Commissario straordinario» Vincenzo Morello della Società degli autori per dirimere le polemiche sorte con la Società anonima degli editori (Seda).
Quello attuale sarà anche l’ultimo? Il commissario Gian Luigi Rondi e i subcommissari Domenico Luca Scordino e Mario Stella Richter si sono trovati davanti a una sorta di vaso di Pandora sul quale ha indagato anche la commissione Cultura alla Camera. Dei professionisti dell’associazionismo la cui mission era la sopravvivenza degli sprechi e la dieta bulimica dei costi. Non c’era soltanto lo scandalo del fondo pensioni con dipendenti che si bonificano le somme sul proprio conto personale (è successo anche questo) e quello degli immobili (appartamenti a dipendenti, family & friends, con appena 500 euro di caparra e rateizzazioni a 40 anni senza nemmeno il bisogno di passare in banca) ma una serie infinita di rivoli dai quali distillare le briciole del mezzo miliardo annuo amministrato dalla Siae. Briciole, beninteso, da diversi milioni di euro. Solo per gestire l’house organ della Siae, il resistibile Viva Verdi, si spendevano un milione e 280 mila euro, di cui 250 mila come compenso per il direttore della testata. Per il comitato editoriale presieduto da Gianni Minà erano previsti 200 mila euro. Oggi l’house organ vive grazie a Internet con 82 mila euro: 50 mila per il direttore e 32 mila per i costi editoriali. D’altra parte chiuderlo nell’anno del bicentenario di Verdi sarebbe stato, oggettivamente, una blasfemia. La missione impossibile dei commissari, aiutati dal direttore generale, Gaetano Blandini, è stata quella di salvare tutti scontentando un po’ tutti. I dipendenti Siae sono 1.300 e, a parte due licenziati per giusta causa (guarda i bonifici suddetti), nessuno è stato mandato via, al netto dei prepensionamenti. Certo l’indennità di lavanderia e di penna — ormai barzellette per gli aficionados del settore — sono state accantonate. Ma è soprattutto lavorando di mannaia sulla pletora di commissioni, comitati, organismi e affini che si è potuta ridurre la voce dei compensi agli organi e organismi societari dagli oltre 3 milioni di euro del 2009 e 2010 ai 1.381.462 euro del 2011 (il bilancio 2012 arriverà in marzo e, ulteriore novità introdotta dai commissari, sarà online come già avviene dal loro arrivo. Una rivoluzione copernicana: il bilancio della Siae insieme a quello del Vaticano era il sogno di ogni reporter finanziario fino a pochi anni fa). Ora gli stipendi d’oro e di platino sono un lontano ricordo. Il mezzo milione e rotti di gettoni di presenza del 2009 e i rimborsi per un totale di 383 mila euro hanno subìto una cura dimagrante feroce tanto che oggi le due voci insieme pesano per 175 mila euro. Solo il presidente, ancora nel 2009, riceveva un compenso di oltre 244 mila euro. Nel 2011 era crollato a 1.527 euro (per Rondi). E il nuovo presidente 2013 avrà un tetto sui 120 mila euro. L’assemblea degli associati che si riuniva ben 4 volte l’anno in rappresentanza dei 108 mila autori-soci bruciava 440.741 euro (107 mila di gettoni di presenza e 80 mila di rimborsi spese, vitto, alloggio e viaggi). Sorpresa: ora ne bastano 62 mila. La commissione Stato e regioni è stata soppressa (altri 153 mila euro risparmiati che andavano tutti in gettoni e rimborsi). A rimanere insoddisfatti sono stati anche i ministeri che negli ultimi 30 anni potevano contare su 3 consiglieri su 9 nell’organo della Siae. Oggi sono solo 5 e nessuno in rappresentanza dei dicasteri. A giudicare dai bilanci degli ultimi 30 anni non sarà una perdita. Certo, inutile nascondere che, nonostante la salvaguardia dei posti di lavoro, si sia proceduto con lo spirito della riorganizzazione strutturale: dei 12 dirigenti di prima fascia reddituale (sopra i 200 mila euro lordi l’anno) ne sono rimasti 4. Dei 60 dirigenti di seconda fascia, comunque sui 100 mila euro, ne sono stati prepensionati 20. Ma anche qualche «innovazione» sulle semplici regole ha dato il suo frutto. Per esempio la riduzione da 3 a uno dei giorni di malattia consecutiva che si potevano fare senza obbligo di certificato medico. Un particolare che faceva scoppiare delle vere e proprie epidemie nei giorni precedenti ai ponti festivi in cui la Siae diventava un deserto (le malattie sono calate dal 30 al 6%, segno che le nuove regole hanno fatto bene anche alla salute dei dipendenti).
Certo alla nuova Siae rimangono in eredità storiche anomalie non risolte. È un ente di diritto pubblico quando gli conviene e diventa un ente che gestisce denari privati quando non gli conviene più. La distinzione tra iscritti e associati è caduta negli anni Novanta: tutti hanno pari diritti passivi e attivi. Ma con il nuovo statuto più guadagni più conti in assemblea. E, anche se è vero che negli ultimi 40 anni, in media, hanno votato solo 2.500 associati, il 1 marzo ci sarà una prova sul campo della nuova democrazia delle royalties. I piccoli, sulla carta, potrebbero decidere di aggregare i voti e occupare l’assemblea.
Ma è più facile che il governo resti ancora di Gino Paoli, Mogol, il figlio di Battisti e i Pooh. Il potere, almeno alla Siae, è degli anni Settanta.
Massimo Sideri