Flavio Haver, Corriere della Sera 24/01/2013; Luciano Ferraro, ib., 24 gennaio 2013
2 articoli - «SESSO CON I TRANS IN CAMBIO DI FAVORI» MAGISTRATO IN CELLA — Dalla condanna al boss della Mafia del Brenta, Felice Maniero, agli incontri a sfondo sessuale — anche all’interno del suo ufficio nel Palazzo di giustizia di piazzale Clodio — con i trans su cui indagava e a cui prometteva (e garantiva) favori e «tutela» in cambio della loro «disponibilità»
2 articoli - «SESSO CON I TRANS IN CAMBIO DI FAVORI» MAGISTRATO IN CELLA — Dalla condanna al boss della Mafia del Brenta, Felice Maniero, agli incontri a sfondo sessuale — anche all’interno del suo ufficio nel Palazzo di giustizia di piazzale Clodio — con i trans su cui indagava e a cui prometteva (e garantiva) favori e «tutela» in cambio della loro «disponibilità». Dalla notorietà per aver inferto 19 anni di reclusione a uno dei criminali più spietati e feroci degli ultimi tempi, all’infamia di una cella in un carcere, dove tante volte, aveva fatto finire spacciatori e trafficanti di stupefacenti o usurai. La parabola — tra alti e bassi — del pubblico ministero romano Roberto Staffa, 55 anni, originario di Napoli, sposato, padre, ha visto l’epilogo ieri: è stato rinchiuso nel penitenziario di Perugia per concussione, corruzione e rivelazione del segreto d’ufficio per ordine del gip Carla Giangamboni. Il procuratore Giacomo Fumu e il sostituto Angela Avila hanno perquisito a lungo ieri le stanze della toga nella cittadella giudiziaria della Capitale, finita sotto choc per la vicenda. Anche perché c’era chi ricordava le sue performance come componente della «Dura lex», band musicale di magistrati e avvocati. «È un galantuomo assoluto, un magistrato che ha sempre anteposto il dovere e gli impegni professionali alle esigenze personali. Dubito fortemente delle accuse che sono mosse a suo carico», ha detto il difensore, Salvatore Volpe. Il ministro della Giustizia Paola Severino ha chiesto gli atti a Perugia e avviato la procedura per sospendere dal servizio Staffa. E L’Anm ha fatto sapere che «la violazione della legge da parte dei magistrati compromette la giurisdizione e la credibilità dell’ordine giudiziario. Nella magistratura non possono esistere spazi di impunità, i magistrati sanno trovare gli strumenti necessari per individuare e sanzionare, anche al proprio interno, ogni comportamento contrario alla legge». Le accuse contenute nelle 93 pagine dell’ordinanza non sembrano comunque lasciare scampo a Staffa. Oltre a una serie di intercettazioni telefoniche, le microspie e una telecamera sistemate nel suo ufficio hanno registrato e filmato colloqui e incontri sessuali. Staffa — secondo l’accusa — barattava il suo lavoro in cambio di sesso. In cambio di informazioni su procedimenti di cui si stava occupando (per otto anni — il limite massimo consentito dalle norme — è stato uno dei pm di punta della Direzione distrettuale antimafia di Roma). In cambio di permessi di colloquio con i detenuti (un video lo ritrae mentre ha un rapporto sessuale con una donna che voleva incontrare un parente rinchiuso in cella). In cambio di permessi di soggiorno per «motivi di giustizia» ad alcuni trans. Gli accertamenti sono partiti proprio su input della Procura capitolina un anno e mezzo fa e hanno avuto un’accelerazione negli ultimi tempi: a mettere sulla strada giusta gli inquirenti è stato — inizialmente — proprio un trans. Interrogato dal pm romano Barbara Zuin in un’inchiesta per prostituzione, ha detto di essere ricattato da Staffa, che per dargli «protezione» aveva preteso incontri hard. A Roma, dove era in servizio da 15 anni, Staffa era arrivato da Venezia: da presidente di Corte d’Assise aveva condotto il processo su Maniero e i suoi complici e sui «Serenissimi» protagonisti dell’assalto al campanile di San Marco. Ma a Venezia Staffa era arrivato dopo un trasferimento da Trieste deciso dal Csm: il nome del magistrato nell’89 comparve tra i firmatari dell’«affidavit» redatto da alcuni notabili triestini in difesa di un imprenditore, industriale degli pneumatici, arrestato per pedopornografia all’aeroporto di New York nel 1988. Flavio Haver QUANDO DIFESE UN PEDOFILO E FU «PROMOSSO» - «Nessuna immunità per noi», ha esortato ieri l’Associazione nazionale magistrati dopo l’arresto del pm Staffa. E ha aggiunto: «Sappiamo trovare gli strumenti per sanzionare, anche al nostro interno, ogni violazione». Ma proprio nel caso di Roberto Staffa questa capacità di sorvegliare e punire sé stessi non c’è stata. Per capirlo serve un lungo passo indietro, a 25 anni fa. Staffa è un giovane sostituto procuratore a Trieste quando, nel 1988, un imprenditore della sua città viene bloccato dal Fbi in California: c’è una intercettazione choc, un agente finge di volergli vendere una bambina messicana di 10 anni per un weekend, per 5.000 dollari. L’imprenditore chiede al telefono: «Cosa posso fare con questo animaletto, posso frustarla? Incatenarla?», e altre violenze. Prima della condanna del pedofilo affiliato alla P2 di Licio Gelli, sul tavolo del giudice Ronald Lew di Los Angeles arrivano 30 lettere da altrettanti notabili triestini (vescovo compreso). Tutte dicono: avete arrestato un mite benefattore e rispettabile padre. Anche la firma di Staffa compare in una di quelle lettere. Alcuni colleghi lo attaccano. Lui spiega di aver aderito all’appello in favore del pedofilo come socio del comune tennis club e non come magistrato. Il Csm la ritiene comunque una mossa «incauta». E come l’ha sanzionato? Aprendogli le porte, nel 1989, di un tribunale ancora più importante, quello di Venezia. Una «punizione» che può far sorgere più di qualche dubbio sulla capacità delle toghe di autosorvegliarsi e autopunirsi. Luciano Ferraro