Corriere della Sera 24/01/2013, 24 gennaio 2013
ARTICOLI SUL CASO MPS DAL CORRIERE DELLA SERA DI GIOVEDI’ 24 GENNAIO 2013
DARIO DI VICO
LA ROCCA ISOLATA DEL LEGHISMO - La relazione che ha legato Siena alla sinistra italiana la si potrebbe catalogare sotto la fattispecie del «leghismo rosso», una sorta di rapporto museale con il territorio, un’osservanza quasi religiosa delle tradizioni che alla fine ha portato alle disgrazie di oggi.
Il Monte dei Paschi, infatti, paga il mito della sua unicità, non aver voluto partecipare al processo di aggregazione delle banche italiane perché la politica locale non sopportava l’idea che la Fondazione potesse scendere nel capitale della banca sotto il 51%. I primi no risalgono alla metà degli anni Novanta quando il sistema bancario italiano inizia a fare massa critica e passa via via dalle prime aggregazioni tra piccoli istituti ad operazioni più ambiziose che vedono sposarsi Cariplo e Ambroveneto, San Paolo e Imi e segnalano l’ingresso dell’Unicredit nelle Casse di risparmio di Torino, Treviso e Verona. Fuori da questi movimenti restano sostanzialmente due banche: la Bnl che per esplicita volontà del ministero del Tesoro non dà vita al polo con Banco di Napoli/Ina e proprio il Monte dei Paschi, fedele al vincolo statutario e alla supremazia della Fondazione. Quando Siena si muove già allora si registra un capitombolo: compra a caro prezzo la Banca del Salento e si infila in una vicenda complicata. I pugliesi amano la finanza d’assalto e il Monte si trova a vendere prodotti ad alto rischio, che finiscono per animare l’attività delle Procure.
Per il catenaccio imposto dalla politica locale e dalla Fondazione il Monte diventa, senza volerlo, una banca regionale mentre i concorrenti mettono su taglia e muscoli. I vari manager che si susseguono alla guida operativa della banca Mps si adeguano per quieto vivere e quando Luigi Spaventa arriva a Siena per tentare di venire a capo dell’anomalia locale, e comincia ad assumere dirigenti dall’esterno, la comunità organizza le barricate. Una società chiusa decide di difendersi e riesce a farlo con un successo. I gruppi dirigenti della sinistra da Roma osservano e capiscono tutto ma poi si girano dall’altra parte per paura di mettere a repentaglio i rapporti con uno dei più consolidati feudi elettorali.
Passa qualche anno e Carlo Azeglio Ciampi fa approvare una riforma delle Fondazioni per riordinare i rapporti con le banche e modernizzare il sistema. Il Monte riesce a fare eccezione ancora una volta, tutti si adeguano e Siena no. Al punto che un sindaco particolarmente estroverso come Pierluigi Piccini decide che, avendo terminato il suo mandato, gli piacerebbe traslocare alla testa della Fondazione per iniziare una nuova carriera. Il ministro del Tesoro Vincenzo Visco interviene da Roma con un tackle sull’uomo ed emette un regolamento che impedisce il trasloco del sindaco e il trionfo del leghismo rosso.
È da questa vicenda che parte l’avventura di Giuseppe Mussari, il primo non senese che riesce ad arrivare al vertice della Fondazione con l’idea, per di più, che quel modello non possa funzionare all’infinito. Ma quando nel 2007 parte il round decisivo delle aggregazioni bancarie che porterà a creare due player di taglia continentale (Intesa-Sanpaolo e Unicredit-Capitalia) c’è sempre una banca che resta fuori dal giro, il Monte. L’anomalia senese riesce a resistere a tutti e tutti, niente possono la sinistra o i governatori. Mussari però non si rassegna alla taglia mignon e crede di aver trovato la strada giusta. Per effetto di una carambola bancaria che vede coinvolti gli olandesi di Abn Amro, gli scozzesi della Royal Bank e gli spagnoli del Santander la banca Antonveneta viene messa sul mercato dagli iberici che ne erano diventati padroni. È l’ultima occasione che il mercato riserva a Siena per crescere e Mussari la coglie, pur di tornare ad essere la terza banca d’Italia. Peccato che la strapaghi e peccato anche che siamo ormai arrivati alla vigilia della Grande Crisi. Passa qualche mese e la tempesta finanziaria è davanti agli occhi di tutti, i prezzi delle banche crollano e il costo dell’operazione Antonveneta condizionerà negativamente tutte le mosse successive di Mussari e del Monte. Da anomalo il caso senese diventa patologico.
Dario Di Vico
FEDERICO DE ROSA
IL MONTE PASCHI DIVENTA UN CASO POLITICO - — Adesso Siena fa davvero paura. La scoperta di Alexandria, un complicatissimo derivato finanziario nascosto tra le pieghe del bilancio del Monte dei Paschi, ha scatenato una sorta di fobia. Ieri mattina, quando Piazza Affari ha aperto i battenti, gli ordini di vendita per le azioni Mps erano ingestibili, tanto che il titolo non è riuscito a fare prezzo e quando è entrato in negoziazione ha iniziato a scendere fermandosi a -8,43%, con il 5% del capitale scambiato.
Le dimissioni dalla presidenza dell’Abi di Giuseppe Mussari, all’epoca dei fatti numero uno a Rocca Salimbeni, hanno amplificato i timori del mercato che ora teme nuove sorprese da Siena. Ieri sera il presidente della banca, Alessandro Profumo è intervenuto al Tg1 per rassicurare gli investitori. «Con il lavoro che stiamo facendo torneremo ad avere la reputazione che ci meritiamo» ha affermato. «La situazione di Mps — per il banchiere — richiede un profondo ripensamento e direi quasi la rifondazione del rapporto tra Monte e la città» di Siena. Anche l’amministratore delegato della banca, Fabrizio Viola, è intervenuto per fare chiarezza, spiegando che non c’è nulla da temere. Nè una nazionalizzazione del Monte nè una scalata. Quelle emerse, ha precisato, sono «operazioni complesse con strutture contrattuali complesse» di cui in effetti né Banca d’Italia né Consob erano a conoscenza. Altri rischi al momento Viola non ne vede. I sindacati, che per accompagnare il salvataggio di Mps hanno accettato non pochi sacrifici, ieri hanno chiesto un incontro urgente ai vertici di Mps. Il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni ha parlato di «molteplici responsabilità, attribuibili sia alla politica nazionale sia a quella locale» per il dissesto del Monte.
Ma Alexandria è solo una parte del problema. Sul dissesto del Monte si sta infatti consumando una guerra che con i bilanci in realtà non ha molto a che fare ma che dai disastri di Mps prende spunto per regolare i conti. E’ una guerra tutta politica. Così come quelle bolognesi sono «cooperative rosse» il Monte era la «banca rossa». Una storica roccaforte della sinistra. E nel pieno della campagna elettorale il collegamento è scattato in un attimo. Visto che i soldi per il salvataggio, 3,9 miliardi di "Monti bond", sono stati stanziati dal governo in carica, nel mirino sono finiti Pierluigi Bersani e Mario Monti. «Monti e Bersani subito in Parlamento per spiegare i favori a Mps e le responsabilità del Pd nella disastrosa gestione della banca» ha scritto su Twitter il leader della Lega, Roberto Maroni, a cui hanno fatto eco Maurizio Gasparri, Giorgia Meloni, Ignazio La Russa, Francesco Storace. Il segretario del Pd non ci sta però a essere tirato dentro. «Non c’è nessuna responsabilità del Pd, per l’amor di Dio...» ha risposto Bersani, perché «il Pd fa il Pd e le banche fanno le banche». Gli attacchi sono arrivati anche da sinistra. «Il vero scandalo — per il segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero — è che il governo ha regalato al Monte dei Paschi 3,9 miliardi. Ha usato i soldi degli italiani che pagano le tasse per coprire i buchi di una banca privata». «L’ammontare dei Monti Bond è equivalente alla prima rata versata dai contribuenti per l’Imu» ha ricordato il leader idv Antonio Di Pietro. Un parallelo molto pericoloso. Senza quei soldi Siena non sta in piedi e la fronda che vorrebbe bloccare i Monti Bond sta crescendo.
Così come sta crescendo la spinta per promuovere un’azione di responsabilità nei confronti di Mussari e dei manager che nel 2009 gestivano Rocca Salimbeni. Visto da Siena è anche un modo per regolare i conti. «C’è la responsabilità di chi ha governato la città», ha dichiarato il sindaco di Firenze, Matteo Renzi. La Fondazione Montepaschi, il cui presidente (ex Margherita) Gabriello Mancini da primo azionista non ha mai fatto mancare il sostegno a Mussari, ieri ha detto che sta valutando insieme alla banca un’azione di responsabilità.
Federico De Rosa
FABRIZIO MASSARO
LE MANOVRE SUL BILANCIO DEL 2009 PER UN CENTESIMO DI DIVIDENDO - Un centesimo per azione: è stato questo il dividendo pagato da Mps sul bilancio 2009, ed esclusivamente per le azioni di risparmio tutte della Fondazione Mps. Per la gran massa di azioni ordinarie, invece cedola zero. C’era da rinforzare il patrimonio, e poi gli utili non erano abbastanza: appena 220 milioni, un quarto dei 922 dell’anno prima. Ora si scopre che forse non c’erano neppure.
Quegli utili furono recuperati grazie ad alchimie finanziarie di cui né consiglio né Bankitalia erano stati messi al corrente, con operazioni «non correttamente contabilizzate» e dalla documentazione «non correttamente gestita», come ha detto ieri l’amministratore delegato di Mps, Fabrizio Viola, che le ha analizzate con l’assistenza degli advisor di Eidos Partners. Sono le ormai famose operazioni «Alexandria» e «Santorini». Quei contratti in derivati — Alexandria un cdo (collateralized debt obligations, cioè una scommessa legata a mutui ipotecari rischiosi realizzata nel 2005 con Dresdner, Santorini una scommessa (collar) su titoli SanpaoloImi realizzata nel 2002 con Deutsche Bank — perdevano rispettivamente 220 e 367 milioni di euro. Per non affossare il bilancio 2009 l’allora presidente di Mps, Giuseppe Mussari, si rivolse alla banca giapponese Nomura per ristrutturare Alexandria. La scelta cadde su «investimenti in Btp a lunga durata, finanziati attraverso operazioni di pronti contro termine» — ha chiarito ieri Mps — sui quali venne realizzata una scommessa sui tassi (un «asset swap» rivelatosi in perdita a causa del calo dell’euribor). In questo modo Siena otteneva di spalmare quelle perdite sui successivi 30 anni della durata dei prestiti, come se fossero dei mutui. I 3 miliardi di Btp acquistati furono dati come collaterale alla stessa banca d’affari, pur restando nei portafogli di Mps, che si assunse così il rischio dello spread: «Di fatto è come se Mps avesse venduto protezione contro il rischio sovrano dell’Italia, quello che si chiama credit default swap (cds), cioè un derivato», spiega una fonte a conoscenza del dossier. Per le regole contabili i derivati vanno contabilizzati ogni anno a valori di mercato, i pronti contro termine invece no. Il sospetto è che Mps abbia sostituito il cdo con uno strumento che produce gli stessi effetti di un derivato pur non essendolo formalmente, così da alleggerire i conti.
Per «Alexandria» — la singola operazione più grande in Btp per la banca — esiste un documento segreto che collegherebbe i due lati dell’operazione e ne svelerebbe la ratio economica: si chiama «mandate agreement» ed è stato difficile rintracciarlo in banca (era nella cassaforte dell’ex direttore generale Antonio Vigni) pur essendo protocollato. Da qui l’allarme e i sospetti di un falso in bilancio. Per questo Viola ha girato l’incartamento alla procura di Siena ma anche, a quanto pare, a quella di Milano. C’è un effetto indiretto dell’utile 2009: il dividendo di 1 centesimo (pari a 186 mila euro) consentì anche di pagare la cedola sui bond fresh, in gran parte (450 milioni) in pancia alla Fondazione presieduta da Gabriello Mancini. Che ora si prepara all’azione di responsabilità. L’assemblea di domani sui 3,9 miliardi di aiuti di Stato si preannuncia agitata.
Fabrizio Massaro
GIUDITTA MARVELLI
CONTI CORRENTI AL SICURO, LA GARANZIA FINO A 100 MILA EURO - I guai di una grande banca mettono sempre un po’ di ansia i correntisti. E la vicenda del Monte dei Paschi, l’istituto di credito più antico del mondo, non fa certo eccezione. Quali ombrelli si aprono per tutelare i cittadini-clienti? Va detto subito che la storia non ha per il momento contorni così foschi da fare pensare al rischio di un fallimento. E’ ipotizzabile una lunga questione amministrativo-giudiziaria che non dovrebbe però avere effetti dirompenti sugli incolpevoli correntisti del Monte. In ogni caso, ecco, punto per punto, quali sono le garanzie che la legge italiana offre a chi tiene i soldi in banca.
La prima e più importante è quella del Fidt, il Fondo interbancario di tutela dei depositi (www.fitd.it). Il fondo copre le somme depositate fino a un valore massimo di 100 mila euro per titolare di conto e per azienda di credito. Chi ha più conti nella stessa banca, quindi, ha diritto a una copertura massima di 100 mila euro. Se invece ho tanti conti in diversi istituti e, per assurdo, tutte le banche dove sono cliente fallissero in contemporanea, avrei diritto a 100 mila euro (se possiedo così tante sostanze liquide) per ogni banca. Nel caso di conti cointestati, il limite dei 100 mila euro si applica per ogni testa. Il tempo di rimborso è di 20 giorni lavorativi, più altri dieci di eventuale proroga, che viene concesso dalla Banca d’Italia solo in casi eccezionali.
Titoli di Stato, azioni, obbligazioni e oro restano sempre di proprietà del depositante. Non rientrano nell’eventuale ripartizione di debiti e crediti della banca: in caso di liquidazione vengono restituiti al legittimo proprietario. Qualche rischio però si corre con le obbligazioni della banca: i bond bancari hanno diversa natura e non tutte le emissioni mettono al sicuro nel caso estremo del fallimento. E i fondi comuni? Anche in questo caso un certo grado di sicurezza non manca. Il patrimonio è conservato in una banca depositaria che è terza rispetto all’istituto che li colloca e che li distribuisce.
Giuditta Marvelli
STEFANIA TAMBURELLO
BANKITALIA CONTRO SIENA: CI HANNO NASCOSTO LE CARTE — La Banca d’Italia non sapeva tutto. «La vera natura di alcune operazioni del Monte dei Paschi di Siena è emersa solo di recente, a seguito del rinvenimento di documenti tenuti celati all’Autorità di Vigilanza e portati alla luce dalla nuova dirigenza di Mps», dice una nota dell’Istituto di via Nazionale nella quale si conferma che la Vigilanza continuerà a tenere ben acceso il faro sulla banca senese.
Le operazioni «sono ora all’attenzione sia della Vigilanza sia dell’Autorità giudiziaria, in piena collaborazione», prosegue la nota, ma senza aggiungere di più perché «gli approfondimenti e le indagini sono coperti da segreto d’ufficio e da segreto istruttorio». La Banca d’Italia dunque non era a conoscenza, non certo dell’esistenza di contratti di derivati, ma di quel documento segreto che ne alterava la distribuzione dei rischi, trovato dall’amministratore delegato di Mps, Fabrizio Viola. E quindi della complessa operazione strutturata, messa in piedi dalla precedente gestione Mussari-Vigni in grado di determinare perdite non emerse e un potenziale impatto sul patrimonio. Fatti che se vengono tenuti nascosti, fanno sapere in via Nazionale, possono configurare il reato di ostacolo alla vigilanza peraltro già segnalato alla Procura di Siena che ha aperto un secondo filone di indagine, accanto a quello principale sull’operazione, causa di tutti i mali di Mps, dell’acquisto dell’Antonveneta effettuato nel 2008.
Ma come è possibile che a palazzo Koch, dove i problemi e le debolezze del Monte dei Paschi erano monitorati da tempo, si potesse ignorare, documenti segreti o no, la reale consistenza dei conti della banca? La domanda ieri è rimbalzata in molti commenti politici e di mercato, spingendo gli interrogativi all’indietro nel tempo fino appunto all’operazione Antonveneta. L’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che non ha mai amato l’ex governatore, non si è lasciato sfuggire l’occasione di un twitter: «Date consuetudine a scrivere lettere apostoliche e vecchia, vasta, competenza derivati, stupisce mancata lettera vigilanza Draghi a Siena». La storia dei mali di Mps, come quella dei controlli della Vigilanza, è dunque lunga ma la vicenda dell’acquisto di Antonveneta e dei capitali necessari per completarlo è stata seguita con attenzione dalla Banca d’Italia che, guidata allora dall’attuale presidente della Bce Mario Draghi, mise una serie di caveat denunciando anche in questo caso all’autorità giudiziaria comunicazioni non veritiere, come testimonia l’avvio dell’inchiesta della Procura. E comunque il Monte dei Paschi, finì sotto il costante controllo e monitoraggio della Vigilanza sin dal 2010 ovviamente, fanno rilevare a Palazzo Koch, nel rispetto dei poteri concessi dalla legge che non consente agli ispettori di via Nazionale di trasformarsi in poliziotti e di sequestrare documenti. In ogni caso, ha riferito nel luglio scorso in Parlamento il responsabile della Vigilanza Federico Signorini, la Banca d’Italia ha messo sotto pressione Mps ottenendo nell’aprile dello scorso anno «una chiara e decisa inversione di rotta» con l’azzeramento dei vertici e l’avvio di una profonda ristrutturazione» che ha portato all’uscita dalla banca di 106 dirigenti su 500. Forse nessuno si attendeva un percorso così accidentato e un compito di «pulizia» così complesso da parte dei nuovi amministratori, il presidente Alessandro Profumo e Viola, che comunque, rileva ancora la nota di Bankitalia «stanno cooperando con l’autorità giudiziaria e con la Banca d’Italia per accertare le passate circostanze». Non c’è quindi alcuna ragione, fanno sapere ancora in Banca d’Italia, di ipotizzare un commissariamento comunque non giustificato dalla situazione patrimoniale. Né di avere timori per la concessione di Tremonti bond alla banca senese. Anche la Consob fa sapere di aver mantenuto negli ultimi tempi sotto osservazione la banca della città del Palio, sollecitando le informazioni date al mercato dagli amministratori i quali già dal novembre scorso avevano focalizzato l’attenzione sui derivati in bilancio. Anche su richiesta della stessa Commissione che ha operato al fianco di Bankitalia e che per i prossimi giorni ha convocato i revisori dei conti e i sindaci.
Stefania Tamburello
NICOLA SALDUTTI
L’ISTITUTO PIU’ ANTICO E I CONTRATTI SUL FUTURO - Il Monte dei Paschi di Siena ha un vanto del quale è andato orgogliosa per molto tempo: è la banca più antica del mondo in attività. E’ stata fondata a Siena nel 1472, vent’anni prima che l’America venisse scoperta. Quando ha venduto le sue azioni al pubblico (senese e non) la sua storia era un pezzo delle motivazioni per sottoscrivere i titoli. E adesso? Adesso le acrobazie contabili hanno tutte lo stesso comun denominatore: i prodotti derivati. Contratti molto complicati che in teoria dovrebbero coprire dai rischi ma che se utilizzati in modo ardito finiscono con il moltiplicarli (i rischi). Ma i prodotti derivati (quelli più diffusi vanno sotto il nome di future) hanno un’altra caratteristica: tentano di anticipare in qualche modo la direzione che prenderà il futuro (dei mercati). Di prevedere quale sarà il loro andamento. Nel caso di Siena quale poteva essere l’andamento dei Btp. E così ha quasi il sapore di una beffa il fatto che Mps, con il suo glorioso passato sia stata tradita dalle sue incerte (se non colpevoli) scommesse su quello che poteva accadere nel 2036.
Nicola Saldutti
PAOLO MONDANI
BROKER COREANI E SVIZZERI, I MISTERI DI «ALEXANDRIA» - Tommaso Di Tanno è stato alla guida del Collegio sindacale di Montepaschi dal 2006 fino all’approvazione del bilancio 2011 su indicazione dell’ex azionista Francesco Gaetano Caltagirone, proprio nel periodo in cui la banca era diretta dal presidente Giuseppe Mussari e dal direttore generale Antonio Vigni. Interpellato da Radiocor sul caso Alexandria, l’ex presidente di Tanno non ricorda «se un’informativa su questo punto sia mai stata portata in consiglio». Ma sa che «varie discussioni sul tema Alexandria ci furono, anche se non formalizzate». La storia è un po’ diversa da come la racconta Di Tanno, e i documenti che «Report» ha a disposizione lo dimostrano.
Innanzi tutto, il rapporto di Audit numero 460 del 2009, interno a Banca Mps, «vede» Alexandria eccome e ne segnala tutti i rischi potenziali. A pagina 5 dell’allegato sulle controllate e le filiali estere, Alexandria viene descritta con precisione così come tutto il portafoglio titoli delle filiali estere. E nella relazione conclusiva, a proposito dell’area finanza allora diretta da Gianluca Baldassarri si fa esplicito riferimento a «un eccessivo ricorso a consulenze esterne» così come alla necessità di potenziare la registrazione delle telefonate nelle sale operative dove i contratti si chiudevano troppo spesso al cellulare, quindi impedendo l’effettuazione dei controlli.
Ma il documento che più colpisce è la riunione del Collegio sindacale del 28 gennaio 2010 nel cui verbale, Di Tanno, risulta chiaramente infastidito dall’aver ricevuto con ritardo incomprensibile (almeno cinque settimane) l’Audit in questione. E raccomanda per il futuro che simili documenti non vengano preventivamente filtrati dalla Direzione generale. Non solo: nella riunione viene «pesato» proprio il portafoglio "dei titoli più strutturati e complessi" che più di altre voci può provocare «i maggiori impatti sul bilancio» e viene sottolineata la «carenza dei controlli» e la notevole «concentrazione» dell’impegno finanziario in un solo prodotto. In quella riunione viene sentito Gianluca Baldassarri e si fa continuo riferimento a una decisione del Cda del 14 gennaio precedente nella quale si prevede un «nuovo assetto organizzativo» dell’area finanza del Gruppo. Quindi di Alexandria, che rappresentava il 44 per cento dell’intero portafoglio titoli all’estero, tutti sapevano. Altroché se sapevano.
Sono le filiali estere della banca, nel 2005, a sottoscrivere Alexandria su pressione dell’area finanza. L’operazione è divisa in due: 260 milioni con bookrunner Dresdner Bank, mentre il resto tocca a una controparte coreana misteriosa, Coryo. Responsabili per Mps: Gianluca Baldassarri e il suo vice Alberto Cantarini. Responsabili in Dresdner: Raffaele Ricci e Giovanni Marolda. Contemporaneamente Alexandria investe in un altro veicolo, chiamato Skylark, che emette altre decine di milioni di euro di titoli attraverso broker svizzeri. Perché la Dresdner e Montepaschi ricorrono a broker svizzeri invece di operare tra di loro alla luce del sole? E cosa c’entra Coryo? Ricche commissioni?
Nel 2009, il rischiosissimo investimento di Alexandria giunge ad una valutazione non superiore al 50 per cento, anche se contabilmente sta sempre molto sopra questo valore. Attraverso la banca giapponese Nomura (Raffaele Ricci, nel frattempo, si è trasferito qui) si fa una ristrutturazione del portafoglio di riferimento et voilà, in un solo giorno, da un valore del 50 si passa ad oltre il 90%, più di 200 milioni di euro recuperati con un colpo di spugna. Le perdite per 220 milioni dove sono finite? E chi ha incassato le commissioni di «ristrutturazione»? La magia funziona, ma non per molto. Le ferite riemergono nei bilanci e più dolorose di prima.
A febbraio dell’anno scorso, un mese dopo essere stato chiamato a Siena, Fabrizio Viola va da Giuseppe Mussari a comunicargli che darà il benservito a Baldassarri. Lette le carte, trova troppe cose strane nei conti dell’area finanza. Oggi fanno tutti gli gnorri. In banca, in Comune, alla Fondazione, un composto stupore è il vestito per l’occasione. Nessuno si è accorto di nulla, nonostante che di Alexandria parlassimo diffusamente nell’inchiesta di «Report» del 6 maggio scorso. Il sindaco di Siena Ceccuzzi, primo elettore della Fondazione Mps maggiore azionista della banca, chiede ora un’azione di responsabilità contro il vecchio vertice. Non poteva accorgersene prima? Ma non è finita, perché il timore che aleggia a Rocca Salimbeni riguarda soprattutto la tangente sulla quale indaga la procura di Siena e il Reparto Valutario della Finanza che avrebbe suggellato la compravendita miliardaria e supervalutata di Antonveneta, ultimo capolavoro dell’avvocato Giuseppe Mussari che si è dimesso in fretta, forse, per evitare guai peggiori.
Paolo Mondani