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 2013  gennaio 22 Martedì calendario

LORETTA GOGGI – QUANDO IL BUNGA BUNGA ERA SOLO UNA CANZONE


LA PRIMA volta che Loretta Goggi si mette a piangere è la prima volta in cui accenna a Gianni Brezza, di cui dopo trent’anni di relazione è rimasta vedova due anni fa. Mi racconta dell’impresario che non ha pagato nessuno di coloro che lavoravano allo spettacolo che lei abbandonò per correre al capezzale del marito, e io le passo un fazzoletto. Lei lo guarda sorridente, non lo usa, lo piega come si stesse esercitando sui tovaglioli di un pranzo di matrimonio.
La seconda volta capisco che il fazzoletto non serve, perché quelle della Goggi sono lacrime alla Barack Obama, lacrime da primo piano, lacrime che si affacciano un attimo dall’angolo dell’occhio e poi si ricompongono da sole. Dev’essere il vantaggio d’essere abituati a essere osservati: acquisire un certo stile nel lacrimare.
La terza volta mi ricordo di un tizio che aveva lavorato con lei decenni fa, al quale avevo chiesto suggerimenti. «In una conversazione normale riderà moltissimo e piangerà tre volte», aveva detto, e io non avevo capito quanto fosse preciso.
La prima volta in cui Loretta Goggi ride molto è quando le chiedo: «Che resta di un sogno erotico se al risveglio è diventato un poeta?», che era la domanda (senza risposta) che si faceva in Maledetta primavera, il tormentone sanremese di quelle che erano bambine trent’anni fa, e il brano che ha fatto di lei un’icona gay.
Prima del Sanremo 1981, Goggi aveva già avuto varie carriere. Una da bambina prodigio: era adolescente quando girò La freccia nera, sceneggiato Rai del 1968. Una da imitatrice, e cantante, e ballerina, partita da Canzonissima e arrivata a Fantastico, attraversando i migliori decenni della nostra tv (o, come la chiama lei, «questa scatola qua»).
La prima mezzora dell’intervista, dopo che mi ha saggiamente risposto: «Non resta che il sogno», la passiamo a cercare di far funzionare un computer. Le dico che uno dei primi risultati che la riguardano su YouTube è un balletto di Canzonissima (1972) in cui lei è vestita da capo indiano, e il ritornello della canzone dice «bunga bunga». Trasecola. «Me lo deve far vedere subito. Lo sapevo che sono una che precorre i tempi, e non solo televisivamente parlando. Com’è possibile che nessuno me l’abbia mai detto. Tra l’altro l’avranno scritto dei grandi, Marcello Marchesi...». Facciamo funzionare l’audio, e il passaggio è inequivocabile. «Non lo dico io, lo dice il coro, ma sì, è proprio... Non posso credere che Berlusconi si sia ispirato a me. Sono sicura che il mio bunga bunga significasse un’altra cosa. Era un suono onomatopeico per i tamburi».
Quindi aveva ragione lui: non era una cosa sconcia.
«Era una citazione colta che veniva dalla grande storia del varietà».
Questo mito di voialtre – lei o la Carrà o Heather Parisi – che eravate brave, mica come le televisive di adesso, non è insensato? Non perché non lo foste, ma perché in tv avere una presenza è parecchio più importante che avere la voce di Mina.
«Sono d’accordo. Ma è perché sono cambiati i tempi, la tv non si guarda più, si tiene in sottofondo, non abbiamo tempo da dedicarle, abbiamo troppe cose da fare. Mettersi seduti a guardare qualcosa, a meno che non sia quel Benigni che mi ha fatto piangere...»
Ma la tv non è fatta di un evento l’anno, però. Ci sono ventiquattr’ore e non so quanti canali da riempire.
«Infatti non bisogna colpevolizzare le aziende. Canzonissima andava in onda per tre mesi e lo scrivevano per sei, ma c’erano solo due reti, e da parte del pubblico c’era un’altra attenzione. Però adesso si da uno spropositato valore a quello che c’è in quella scatola: una volta si diceva «c’è scritto sul giornale», siamo passati a «l’ha detto la tv», e poi adesso «l’ho visto su Internet». E se io mi sveglio domattina e dico su Internet che ho vinto un premio Nobel, nel mio curriculum d’ora in poi tutti scriveranno che l’ho vinto».
A un certo punto mi accorgo che stiamo parlando di tutto tranne che del film di Fausto Brizzi che sta per uscire, Pazze di me. Ma siccome non sono io che conduco questa conversazione, l’argomento cinema devia su trent’anni fa. «Sa quando c’era il cinema d’essai, a Roma, dove si andava solo a vedere quelle robe polacche sottotitolate... Le ho viste tutte».
Per conquistare qualche fidanzato intellettuale?
«A fidanzati scarsissima, io. Poi, ora, mi dicono tutti: "Dopo La freccia nera ti volevo sposare". Adesso, me lo dici! Ho dei colleghi fantastici, di cui non farò il nome neanche sotto tortura, che ogni volta che mi incontrano dicono: "Sei il mio mito da quando ero piccolo". Erano sempre piccoli, magari siamo coetanei ma loro erano piccoli: si vede che io sono proprio ridotta malissimo. Un mito, un mito, un mito. Ti giri, arriva un’altra, neanche ti sei allontanata, e già son lì che fanno uguale con lei, un mito, un mito, un mito».
In una scala di fama precoce in cui la più sana di mente è Jodie Foster e il più disturbato Michael Jackson, lei dove si colloca?
«Non mi metta questo dubbio, proprio adesso che mi sono convinta di essere sana».
È viva, quindi non può essere Jackson. Ma come la viveva, quella celebrità giovanile?
«Non me ne sono accorta. È stato bellissimo, come avere un sacco di amici. Io poi ero molto timida, lo so che lo dicono tutti, ma io ho usato proprio tutti i mezzi per non scoprirmi, le imitazioni... Per riuscire a cantare con la mia voce ci ho messo anni».
A un certo punto di Gypsy, che ha debuttato al Nuovo di Milano il 15 gennaio, Loretta Goggi dice: «Mi ha interrotto nel bel mezzo di una frase» e un altro le risponde: «Lei è sempre nel bel mezzo di una frase». Sentendo questo scambio, mi torna in mente la sensazione di mancanza di controllo che ho provato per quel paio d’ore in cui ha deciso e affrontato tutti gli argomenti.
Le marce della Diane che non sapeva guidare sul set di Pazze di me. La prima battuta che pronuncia è appunto: «Lo sai che la mia Diane non la presto a nessuno», e in una scena di parcheggio ha rischiato disastri. Frizzi le ha fatto fare un’action figure, una Barbie-Loretta, mi fa vedere la foto della bambola messa vicina a Telegatti e altri premi.
La volta che litigò con Mike Bongiorno in diretta, durante una serata di Miss Italia, e la cosa non si ricompose mai, «Pensavo sarebbe successo, perché poi nel mondo dello spettacolo si dimentica tutto», ma non è andata così, «Mio marito mi diceva: "La tua coerenza mi fa schifo"; io rispondevo: "Basta che non la prendi per mancanza di elasticità"». E persino la politica. «I viola, gli arancioni, gli indignati, non capisco: siamo sempre gli stessi? Sono diversi? Uniamoci, facciamo qualcosa, non sono per niente contenta di questi ultimi vent’anni». E, in quanto responsabile del bunga bunga... «Parlo con una certa autorevolezza».