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 2013  gennaio 23 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL CASO DERIVATI MPS

(Monte dei Paschi di Siena)

REPUBBLICA.IT - GIU’ LA BORSA
MILANO - Il Monte dei Paschi di Siena crolla in Borsa e trascina al ribasso il listino principale milanese, che chiude in rosso dello 0,77%. Il titolo Mps ha perso oltre otto punti percentuali, travolto dallo scandalo derivati, che ha costretto alle dimissioni da presidente dell’Abi Giuseppe Mussari, ex numero uno dell’istituto senese a cui vengono constestati i casi Alexandria e Santorini. Nel resto d’Europa, Parigi ha ceduto lo 0,39%, mentre Londra è avanzata dello 0,34% e Francoforte l’ha seguita a ruota (+0,19%).
Dopo le buone trimestrali di Google e Ibm diffuse nella serta di martedì, Wall Street tratta con gli indici in leggero rialzo. Alla chiusura degli scambi in Europa, il Dow Jones segna +0,3% in linea con il Nasdaq, mentre lo S&P 500 è sulla parità. Pesano ancora in modo negativo le misure anti-deflazionistiche annunciate ieri dalla Banca del Giappone cui si aggiungono i timori per le trattative negli Usa sul debito americano: la più grande minaccia per l’economia globale secondo gli esperti interpellati da Bloomberg, che si potrebbe sbloccare con un’estensione dei termini di sforamento del tetto al debito fino al 19 maggio da parte della Camera.
L’euro chiude stabile sotto quota 1,33 dollari. La moneta unica passa di mano a 1,3279 dollari dopo aver toccato un massimo di 1,3354 dollari. Lo yen è in rialzo dopo che i mercati hanno accolto con delusione le misure della BoJ che partiranno dal 2014. L’euro è scambiato a 117,59 yen mentre il dollaro/yen è a quota 88,53. Il differenziale di rendimento tra Btp e Bund si allarga in area 265 punti base, con i titoli italiani che rendono il 4,18%. Sul versante obbligazionario il Portogallo, che sta offrendo sul mercato il primo bond dal salvataggio del 2011 (con scadenza ottobre 2017), sta procedendo con una raccolta ordini superiore alle aspettative oltre 8 miliardi.
Sul fronte macroeconomico è andata meglio delle attese l’economia spagnola, scesa meno del previsto nel 2012 segnando una flessione dell’1,3% secondo la Banca di Spagna. In Gran Bretagna la disoccupazione è scesa ai minimi dal 2011 al 7,7%, mitigando sui mercati la delusione per il sensibile peggioramento della fiducia delle imprese francesi, calata a gennaio ai minimi dal gennaio 2009, dopo un lieve miglioramento a fine 2012. Quest’ultimo dato è stato reso noto dall’Istituto di statistica Insee, che ha precisato che l’indice che misura l’andamento degli affari delle imprese dell’Esagono è sceso di 3 punti rispetto a dicembre, a quota 86 a gennaio, collocandosi "di gran lunga al di sotto della media a lungo termine", pari a 100 punti. Negli Stati Uniti, infine, si è registrata la crescita del 5,6% dei prezzi delle case nei dodici mesi conclusi lo scorso novembre.
A condizionare la seduta, si diceva, il terzo ribasso consecutivo alla Borsa di Tokyo, che ha toccato i nuovi minimi da tre settimane scontando la delusione degli investitori nipponici per le misure anti-deflazionistiche annunciate ieri dalla Banca del Giappone, causa a sua volta di un incremento delle prese di beneficio. Alla tendenza negativa ha inoltre contribuito un nuovo rafforzamento dello yen sui mercati valutari, penalizzante per i comparti maggiormente esposti sul fronte dell’export. In chiusura l’indice Nikkei dei 225 titoli-guida è piombato così a quota 10.486,99 dopo aver bruciato 222,94 punti pari al 2,08%. Il premier giapponese, Shinzo Abe, ha quindi annunciato un cambiamento "che fa epoca" alla Boj: l’intenzione è quella di cambiare politica monetaria e nominare un nuovo governatore più in sintonia con le posizioni del governo, quando scadrà, entro due mesi, il mandato dell’attuale numero uno, Masaaki Shirakawa.
Sul fronte delle materie prime, il prezzo del petrolio si muove in calo a New York, dove fa segnare una flessione dello 0,2% a 96,49 dollari in corrispondenza della chiusura delle contrattazioni europee. In calo anche l’oro, quotato a 1.686,2 dollari l’oncia (-0,4%).

OPERAZIONE SANTORINI
Elisabetta Martinuzzi - Nicholas Dunbar
MILANO - Deutsche Bank avrebbe disegnato un derivato per il Monte dei Paschi di Siena al picco della crisi finanziaria per oscurare le perdite della banca più vecchia del mondo. Nel 2008 la più importante banca tedesca avrebbe prestato circa 1,5 miliardi di euro al Monte dei Paschi attraverso una transazione chiamata Progetto Santorini: il fine sarebbe stato quello di aiutare la banca a mitigare una perdita di 367 milioni di euro della banca su un contratto derivato precedente e chiuso sempre con Deutsche Bank. Dell’operazione, se ne sarebbe occupato il banchiere Dario Schiraldi. Secondo un gruppo di sei analisti che hanno analizzato i documenti, la banca senese aveva scommesso perdendo su una copertura della sua quota in Intesa SanPaolo e poi sul valore dei titoli di Stato italiani.
Lo scorso dicembre, il Tribunale di Milano ha accusato quattro banche, tra cui la stessa Deutsche Bank, guidata da Anshu Jain, di aver frodato il Comune di Milano attraverso un contratto derivato di interest rate swap. Da Francoforte la banca ha fatto sapere di aver seguito nell’operazione i loro rigidi criteri interni di condotta e che il cliente ha avuto i propri advisor finanziari. Il Monte dei Paschi non ha commentato, ma non ha nemmeno mai reso pubblico nulla nei suoi bilanci. L’operazione ha comunque ottenuto il via libera del Global Market Risk Assessment Committee di Deutsche Bank, riconducendo così la responsabilità ultima del progetto Santorini allo stesso Jain e al capo dell’investment banking Colin Fan.
I guai per il Monte dei Paschi sono iniziati nel 2008 quando sotto la guida di Giuseppe Mussari la banca ha acquistato Antonveneta a un valore doppio di quello di mercato: l’anno si è chiuso con un calo del titolo del 49% e dei profitti del 47%. Nello stesso periodo, la banca ha maturato una perdita di 367 milioni su un contratto derivato aperto con Deutsche Bank e relativo a una quota del Monte dei Paschi in Intesa SanPaolo. La crisi finanziaria ha fatto crollare le azioni di Intesa facendo perdere loro il 50% del valore e mettendo la banca senEse nelle condizioni di registrare una perdita nei bilanci. Ma il Monte dei Paschi piuttosto che riportare una minusvalenza ha preferito rimpiazzare l’operazione. Alla discussione per rivedere il tutto partecipò anche l’allora direttore finanziario del Monte dei Paschi, Marco Morelli, oggi numero uno di Bank of America in Italia.
Naque così l’operazione Santorini, dal nome della vulcanica isola greca attribuito a una veicolo finanziario irlandese. Monte dei Paschi acquista una quota in Santorini nel 2006, ma le operazioni partono nel 2008 quando Deutsche apre due opzioni (digital option) con la banca senese sull’andamento dei tassi di interesse legati all’euro. Una sarebbe stata positiva per Deutsche Bank, l’altra per Monte dei Paschi. Dai documenti sembrerebbe che la banca tedesca incassi fin da subito circa 60 milioni di euro per un prestito con scadenza a fine 2018. E che la banca senese abbia fornito una garanzia ai tedeschi contro la svalutazione di titoli di Stato italiani, venduti ai tedeschi, per un ammontare di 1,5 miliardi di euro. Nel 2007, l’operazione Santorini ha generato perdite per 87 milioni di euro, nel 2008 per 62 milioni, mentre nel 2009 la liquidazione dell’operazione ne ha portate 224,4 milioni. (Bloomberg)
(17 gennaio 2013)

CORRIERE.IT - LA STORIA
Lo scandalo derivati travolge Mps in Borsa, mentre prendono forza le ipotesi di un’azione di responsabilità della Banca e della Fondazione che la controlla nei confronti dell’ex presidente Giuseppe Mussari.
Le azioni della banca senese vengono sospese a lungo segnando un teorico -9% e poi riammesse in flessione del 5%. Attualmente segnano una perdita del 7%. Mussari, responsabile della gestione della banca negli anni in cui sono stati sottoscritti i i titoli «tossici», si è dimesso martedì dalla presidenza dell’Abi, l’Associazione delle banche italiane.
AZIONE DI RESPONSABILITA’ - Tanto la Fondazione Monte dei Paschi quanto la Banca Mps sono pronte ad una eventuale «azione di responsabilità» nei confronti della precedente dirigenza della Banca. Da mesi sono in corso approfondimenti, compresa un’indagine interna avviata dall’attuale presidente Alessandro Profumo e dell’amministratore delegato Fabrizio Viola.
PIAZZA AFFARI - Il caso Mps inizialmente trascina in rosso la Borsa di Milano con l’indice Ftse Mib che prima segna un ribasso dello 0,73%. Poi piazza Affari lima leggermente il calo con Wall Street in positivo. Il Ftse Mib cede lo 0,53% a 17.620 punti. Prosegue l’ondata di vendite su Mps (-7,32%) travolta dalla mina derivati. Male, nel credito, anche Ubi (-3,08%), Intesa SanPaolo (-2%). Tra i big soffre Finmeccanica (-3,07%) su cui pesa il dossier Ansaldo Energia. Acquisti su Autogrill (+1,53%) con le ipotesi di spin-off delle attività duty free da quelle food & beverage. Fuori dal paniere principale ritraccia Camfin (-6,6%).

CORRIERE.IT - SERGIO RIZZO
Inutile negarlo: per il Pd la vicenda dei derivati che sarebbero stati sottoscritti «segretamente» nel 2009 dal Monte dei Paschi di Siena, con le conseguenti dimissioni di Giuseppe Mussari dalla presidenza dell’Abi, adesso proprio non ci volevano. Non in piena campagna elettorale. Non quando c’è in ballo pure il voto al Comune di Siena, roccaforte diessina prima e democratica poi, dal mese di giugno 2012 senza giunta dopo che il Pd locale si è dilaniato proprio a causa della banca. Ma l’imbarazzo in questo caso era inevitabile. Sappiamo che le privatizzazioni non hanno fatto uscire del tutto la politica dalle banche.
Attraverso le Fondazioni, che ne controllano quote cospicue, i partiti continuano in qualche caso ancora a condizionarne le scelte. C’è perfino chi teorizza il diritto della politica a farlo. Un paio d’anni fa il leader leghista Umberto Bossi emanò il seguente editto: «Le banche più grosse del Nord avranno uomini nostri a ogni livello». E certo a Piero Fassino resterà per sempre appiccicata quella sciagurata domanda («Abbiamo una banca?») sfuggitagli al telefono con Giovanni Consorte durante la scalata dell’Unipol alla Bnl… Nel Montepaschi, però, la presenza della politica non è relegata a una partecipazione di minoranza, per quanto di peso, come accade a Unicredit o Intesa San Paolo.
E neppure a una battuta tanto infelice quanto innocua. La banca senese è controllata da una Fondazione, a sua volta controllata dal Comune, a sua volta feudo Pd: prima appunto che gli ex margheritini e gli ex diessini litigassero ferocemente a proposito del destino del Monte e di certe poltrone. I sindaci che negli ultimi vent’anni hanno preceduto il dimissionario Franco Ceccuzzi, erano anche dipendenti del Monte. A dimostrazione di un rapporto simbiotico fra città, banca e partito.
Oltre a rappresentare una seria ipoteca sullo sviluppo, viste le tante discutibili operazioni del passato dettate dalla politica, una presenza così forte dei partiti ha riflessi sulla gestione. Quando qualche mese fa è arrivato, l’attuale presidente Alessandro Profumo ha trovato nelle controllate una trentina di caselle occupate con nomine politiche. Il Monte è una società quotata in borsa: ma finora non c’è stato verso di convincere la politica a fare un passo indietro. E adesso i nodi vengono al pettine, nel momento peggiore. Servirà almeno di lezione?
Sergio Rizzo

CORRIERE.IT - BERSANI
«Nessuna responsabilità del Pd, per l’amor di Dio... il Pd fa il Pd e le banche fanno le banche». Così Pierluigi Bersani, arrivando ad Albano Laziale per il tour elettorale, risponde su eventuali responsabilità del partito nel caso Mps e le conseguenti dimissioni del presidente di Abi, Mussari.
MARONI - «Monti e Bersani subito in Parlamento per spiegare i favori a Mps e le responsabilità del Pd nella disastrosa gestione della banca». Lo scrive su Twitter il segretario della Lega, Roberto Maroni
CICCHITTO - Dal pdl si alza la voce di Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera. «In tutta la vicenda riguardante il Monte dei Paschi , che ha avuto un prestito di circa 4 miliardi di lire, è indispensabile fare pienamente luce anche perchè il Governo si è svenato con una cifra vicina a quella che viene ricavata dall’Imu».

CORRIERE.IT - L’INTRIGO
Ora a Siena tutti vogliono sapere, tutti vogliono conoscere la verità, tutti sono pronti a chiedere che Banca Monte dei Paschi e gli organi di controllo siano preparati a promuovere azioni di responsabilità contro i vertici che hanno guidato la banca fino all’aprile scorso.
I DERIVATI - Le ultime notizie sulle operazioni dei derivati, hanno messo in secondo ordine tutti gli altri appuntamenti che la città si sta preparando a celebrare: dalle prossime elezioni amministrative per il Comune al cambio dei vertici della Fondazione Mps in programma nel mese di luglio. Senza dimenticare le inchieste aperte dalla procura. In città sale la tensione e anche la rabbia: oggi molti ricordano che l’ex presidente Giuseppe Mussari, che in serata si è dimesso dall’Abi, e l’ex dg, Antonio Vigni, sono anche gli autori dell’operazione Antonveneta.
ANTONVENETA - Quell’acquisizione a cui molti fanno risalire i guai della banca: la necessità di ricorrere pesantemente ai Monti bond e il piano di ristrutturazione con pesanti tagli ai dipendenti. Rocca Salimbeni, che giovedì riunisce il Cda, ha parlato con due diverse note, in pratica confermando quanto riportato da Il Fatto Quotidiano. E in serata Giovanni Alberto Aleotti, membro del Cda, pur evitando di parlare della passata gestione, conferma «il grande lavoro» e «la trasparenza» con cui opera il nuovo Consiglio.
L’ASSEMBLEA DEI SOCI - Siena si stava preparando con curiosità all’Assemblea dei soci convocata per venerdì dal presidente Alessandro Profumo e dall’ad Fabrizio Viola. Curiosità cresciuta dopo la notizia della presenza, annunciata, di Beppe Grillo e Oscar Giannino. Ma anche questo oggi interessa meno, mentre preoccupano di più i tagli alle sponsorizzazioni, anche delle squadre di calcio e basket, di cui già si parla. Il candidato a sindaco del centrosinistra, e già primo cittadino, Franco Ceccuzzi, e il presidente della Provincia Simone Bezzini, si prendono la loro rivincita: «il cambiamento era urgente» dicono. Del resto nell’ottobre scorso Viola, per la prima volta, aveva annunciato che stava rivisitando alcune operazioni riguardanti i derivati.
I RISULTATI - Logico che, se qualcosa è emerso, l’ad non si sia tenuto per sè i risultati ma li abbia condivisi con il presidente Profumo, con il Cda ed, è probabile, anche il maggior azionista di maggioranza, quella Fondazione guidata da Gabriello Mancini che oggi preferisce non commentare. È probabile che anche di questo parlerà venerdì all’assemblea straordinaria convocata per dare al Consiglio la delega per il possibile aumento di capitale. E venerdì oltre a Grillo e Giannino, sono già certi gli interventi di due assidui frequentatori delle assemblee della banca. Pier Paolo Fiorenzani (ex assessore provinciale, dirigente del Pd ma, soprattutto, presidente dell’associazione pensionati esattoriali del Monte) è «sconvolto» perchè, da senese, si sente «tradito dal pozzo senza fine del disastro Mps» e chiede «un’ampia e rapida conclusione delle indagini».
L’UDIENZA - Un’idea questa che fa sua anche Romolo Semplici, piccolo azionista, presente a tutte le assemblee e sempre pronto a chiedere a Mussari di avere notizie su certe operazioni che riguardavano i derivati: «Mi dicevano che ero pazzo e che facevo il male della banca. Bisogna fare pulizia e ripartire da zero». Il tutto mentre la procura senese giovedì ha in programma un’udienza preliminare sull’inchiesta che riguarda l’aeroporto di Ampugnano. 14 gli indagati e tra loro l’ex presidente Mussari.

CORRIERE.IT - FABRIZIO MASSARO
A Siena la finanza strutturata non ha colpito ignari pensionati o incauti risparmiatori. Qui ad essere stata travolta è stata direttamente Mps, la banca più antica del mondo, fondata nel 1472 e prossima a ricevere 3,9 miliardi di aiuto di Stato sotto forma di Monti bond. E costretta a tirare la cinghia tanto da tagliare 225 mila euro di contributi alle contrade del Palio. Dopodomani all’assemblea convocata per l’aumento di capitale da 4,5 miliardi al servizio dell’aiuto di Stato andrà in scena lo psicodramma di un’intera comunità e non solo. La linea l’ha dettata ieri l’ex sindaco, Franco Ceccuzzi, ricandidato per il Pd: «Le gravi irregolarità contabili sono una conferma, molto più dolorosa di quanto ci si potesse aspettare, di quanto fosse necessario ed urgente operare un ricambio ai vertici del gruppo». Tra chi ha annunciato interventi in assemblea ci sono Beppe Grillo e Oscar Giannino. Che con ogni probabilità commenteranno anche le condizioni dell’aiuto di Stato, fra le quali un interesse iniziale al 9% che sale fino al 15%, il divieto di fare riferimento nelle pubblicità all’aiuto di Stato o di «intraprendere politiche commerciali aggressive».
I Monti bond serviranno a Mps per coprire 2 miliardi di minor patrimonio determinato dal valore di mercato dei 22 miliardi di Btp che la banca ha in pancia. Btp che peraltro, a causa dei derivati sottoscritti su quegli stessi titoli, rendono appena 60 milioni l’anno. Nelle intenzioni dell’allora presidente Giuseppe Mussari dovevano invece rimpolpare la redditività di una banca azzoppata da un passo rivelatosi più lungo della gamba: l’acquisto di Antonveneta per 9 miliardi dalla spagnola Santander (che l’aveva pagata 6,3 miliardi pochi mesi prima) a fine 2007, alla vigilia della crisi, e costato agli azionisti due aumenti di capitale, il primo da 5 miliardi nel 2008 e l’altro da 2,2 miliardi nel 2011. Quei contratti derivati sono da mesi sotto la lente del nuovo board presieduto da Alessandro Profumo e guidato da Fabrizio Viola.
Dall’analisi degli advisor Pwc e Eidos sta emergendo che Mps avrebbe messo in piedi le operazioni in derivati anche per coprire centinaia di milioni di potenziali perdite, senza darne completa informazione. L’esame avrebbe individuato almeno 17 miliardi di Btp acquistati con finanziamenti su cui sono stati costruiti derivati, la cui chiusura potrebbe provocare perdite a livello patrimoniale fino a 500 milioni, come ha fatto sapere la stessa banca spiegando di aver richiesto mezzo miliardo in più di «Monti bond» (fino a 3,9 miliardi) per «assicurare la copertura, dal punto di vista prudenziale, degli impatti patrimoniali di eventuali rettifiche di bilancio, nonché degli eventuali costi di chiusura delle operazioni in oggetto». Ieri è venuta fuori l’operazione «Alexandria» del luglio 2009 con la giapponese Nomura e un altro dossier denominato «Nota Italia».
Nei giorni scorsi era stata scoperta la ristrutturazione del veicolo «Santorini», con Deutsche Bank (con sottostante 1,5 miliardi di Btp) per coprire 367 milioni di potenziali perdite nel 2008. Non sarebbero le uniche operazioni, né tutto sarebbe chiaro. La vicenda Alexandria risale all’inizio del 2009: Mps aveva necessità di chiudere uno swap costruito da Dresdner su mutui ipotecari rischiosi che era in forte perdita. Secondo fonti finanziarie, la banca giapponese ha realizzato per Mps un asset swap su Btp per 3 miliardi di nozionale (dalla durata media di 27 anni) per sostituire il vecchio derivato. Ad oggi la perdita Alexandria ammonterebbe a 220 milioni, mentre l’esposizione complessiva verso Nomura potrebbe arrivare a 740 milioni. È stato Il Fatto quotidiano a rivelare i dettagli della ristrutturazione: il contratto con Nomura sarebbe stato trovato solo lo scorso 10 ottobre scorso nella cassaforte dell’ex direttore generale Antonio Vigni e non era a conoscenza della Banca d’Italia.
La banca giapponese ha anche informato Viola della trascrizione di una telefonata tra Mussari e il capo europeo di Nomura, Sadiq Sayed, in cui quest’ultimo chiede al presidente di Mps se avesse compreso l’operazione, se il Consiglio fosse stato informato e se avesse inviato i contratti ai revisori. Viola ha girato le carte alla Procura di Siena, che da mesi indaga su Mps, con indagati Mussari, Vigni e l’ex collegio sindacale. «Non ricordo se un’informativa sia mai stata portata in Consiglio», ha detto ieri l’ex presidente dei sindaci, Tommaso Di Tanno, «se è stato fatto era talmente paludata da essere incomprensibile». Anche Mps ha detto che «non risulta» che l’operazione «sia stata sottoposta all’approvazione del Consiglio», in rettifica a una nota di Nomura secondo cui l’operazione «è stata rivista e approvata prima dell’esecuzione ai più alti livelli» di Mps, inclusi board e Mussari, e che lo scambio «era stato esaminato dai revisori di Kpmg». Anche la società di revisione ha precisato di «non essere mai stata messa a conoscenza di alcun accordo di natura riservata risalente al 2009 tra Mps e Nomura».
Fabrizio Massaro

NIENTE PIU’ SOLDI PER LE CONTRADE E IL CALCIO
SIENA — Il cielo azzurro spazzato dal vento, le nuvole in lontananza, un bel sole che prova a intaccare il gelo. Ma basta uscire dalle mura e allontanarsi qualche chilometro: piove. Siena è sotto la sua teca di cristallo, pare quasi un altro mondo, e il contrasto è più stridente se si pensa a quant’è buio questo lungo inverno senese. La teca infatti non protegge sempre, come dimostrano peraltro gli ultimi mesi di passione politico-finanziari, e ne sanno qualcosa i quasi 2.500 elettori che si sono messi in fila domenica per votare alle primarie del centrosinistra. Non è solo questione di tempo da lupi: sono tornati alle urne per una competizione che in molti avrebbero preferito diversa, meno farlocca, arrivata dopo la caduta di un sindaco durato appena un anno.
Ma tant’è: Franco Ceccuzzi ha vinto con 1.979 voti, battendo l’ex consigliere comunale di Sel Pasquale D’Onofrio, fermo a 452. Tasso di partecipazione non entusiasmante, visto che hanno partecipato in 2.461 (al primo turno per le primarie fra Bersani e Renzi furono oltre settemila) e che Ceccuzzi sperava in tremila persone. L’eccesso di votazioni (primarie per la premiership, primarie per i parlamentari, primarie per il candidato sindaco) avrà pesato, così come la decisione di alcuni consiglieri dissidenti del Pd, che fanno parte dell’associazione Confronti, di non partecipare al voto, chiedendo ai loro elettori di fare altrettanto. E pensare che il Pd regionale queste primarie non voleva neanche farle e ha provato a convincere i vertici locali a desistere. Il responsabile enti locali Stefano Bruzzesi le avrebbe evitate volentieri, il segretario regionale Andrea Manciulli ha preferito adottare questo ragionamento: quella è la Repubblica di Siena, non immischiamoci. La città è sotto la sua teca, ma la teca da tempo mostra crepe.
Il babbo Monte ha smesso di elargire la paghetta ai suoi figlioli. Dopo aver tolto 255 mila euro alle contrade, domenica è arrivata la notizia che anche il Siena Calcio risentirà della crisi: il presidente Mezzaroma ha spiegato che Mps «ci ha già fatto sapere che non ci rinnoverà la sponsorizzazione. Il rapporto scade a giugno 2013, poi non avremo più il supporto del Monte. Questo significa che io già da adesso devo far quadrare i conti insieme ai risultati sportivi». Le parole di Mezzaroma sono la metafora di Siena: lo splendore non è più concesso, ora serve attenzione a quel che si spende. E non vale solo per il calcio. L’attenzione alle spese è una prerogativa del commissario Enrico Laudanna, per nulla amato da queste parti. «Ma che fa? Non fa niente», dicono da più parti, destra e sinistra, i senesi. I sindacalisti della Cgil si sono fatti due conti: finora sono state prodotte una quarantina di delibere («poche, c’è chi da sindaco ne faceva 40 in un giorno!»), ma soprattutto c’è una spasmodica attenzione a non sprecare neanche un centesimo. Per dire, alla biblioteca comunale, le presentazioni dei libri non possono sforare l’orario di lavoro, pena il pagamento di straordinari assolutamente da evitare. Il bilancio pare infatti che non conceda molti lussi, come peraltro ha sottolineato la Corte dei Conti in una delibera del novembre scorso, che gli ex (o attuali) dissidenti brandiscono come arma a sostegno della bontà della loro azione anticeccuzziana.
E venerdì sotto la teca venata di crepe entreranno Beppe Grillo e Michele Boldrin di Fermare il Declino, con cui l’ex Pdl ora civico Enrico Tucci vorrebbe stringere un accordo per le amministrative: è fissata l’assemblea straordinaria dei soci di Mps e i due sono riusciti ad avere una delega per partecipare. Nello stesso giorno Oscar Giannino, animatore di Fermare il Declino, parlerà proprio a Siena, considerata da economisti come Luigi Zingales la metafora dell’Italia; velenosa commistione fra pubblico e privato, politica e finanza. In primavera, ricordiamolo, si vota, e ognuno ha la sua ricetta per «fermare il declino». Contro Ceccuzzi ci sarà Eugenio Neri, cardiochirurgo appoggiato da sei liste civiche a forte caratura politica (ci sono esponenti ex Pd e Pdl a suo sostegno) e ci sarà Laura Vigni per la sinistra. Poi forse chissà Bruno Valentini, il sindaco di Monteriggioni che avrebbe voluto sfidare Ceccuzzi alla fine deciderà davvero di candidarsi (nel frattempo pare stia lavorando al programma), di fatto però uscendo dal Pd. E poi spunterà anche il candidato dei grillini. I quali, finora, non hanno ottenuto risultati brillantissimi laddove pure il terreno dovrebbe essere fertile. Tucci vorrebbe provare a unire Fermare il Declino e Beppe Grillo. Una divertente miscela anarco-capitalista, ma dopo il botto chissà che cosa resterebbe. Forse di botti la città non ha bisogno, dice l’ex prorettore Giovanni Minnucci: «Ho la sensazione che i singoli cittadini stiano finalmente acquisendo la piena contezza della drammaticità della situazione. Non ho ricette se non una: che la città si stringa intorno alle sue prestigiose istituzioni affidandosi ai suoi figli migliori: quelli che, in maniera del tutto disinteressata, operino esclusivamente per il bene comune, senza vacue promesse ma progettando un futuro possibile». Come dire: per ora i migliori non sono quelli che si vedono a giro.
David Allegranti

IL CASO ALEXANDRIA
Profumo è stupito? Banca d’Italia non immaginava? Nessuno sapeva di Alexandria? Ma dov’erano il Consiglio d’Amministrazione e il Collegio dei Sindaci di Montepaschi, Consob e Banca d’Italia, Comune e Fondazione quando il 6 maggio scorso Report mandava in onda “il Monte dei fiaschi” e descriveva Alexandria? Difficile non vedere, visto che poche ore dopo la trasmissione le auto della Finanza stavano a Rocca Salinbeni a sequestrare migliaia di documenti.
Innanzi tutto: di che parliamo? Alexandria è un cdo squared, un prodotto finanziario complicatissimo. Nel novembre 2005 Gianluca Baldassarri, direttore finanziario di Montepaschi, d’accordo con la sede inglese della Dresdner Bank, il cui capo salesman era Raffaele Ricci, avvia l’operazione per un ammontare di 400 milioni, totalmente sottoscritti da Montepaschi. A valle dell’investimento si sono inventati altri veicoli finanziari come schermo per nascondere il pagamento di ricche commissioni. Parliamo di milioni di euro.
Ad un certo punto (2009) la valutazione precipita sotto il 50 per cento e per questo si scatena la vigilanza interna della banca. Si decide quindi di ristrutturare Alexandria. E dalla banca Dresdner si passa alla banca giapponese Nomura. Casualmente, a fare l’operazione è lo stesso Raffaele Ricci che da Dresdner si è trasferito a Nomura. Questa ristrutturazione ha comportato perdite ingenti all’interno dell’area finanza ma non sono mai state evidenziate dai bilanci.
Ora tutto è chiaro ma resta un interrogativo: l’avvocato Mussari si dimette per Alexandria o si dimette per altro? L’intelligente ex numero uno di Montepaschi e dell’Abi sa che la partita che può far male è quella del tangentone sull’acquisto di banca Antonveneta sul quale stringono le indagini della Procura di Siena e del Reparto Valutario della Guardia di Finanza. Non è che per evitare l’inferno ci si barrica dentro il purgatorio?
Guarda la puntata integrale "Il monte dei Fiaschi" andato in onda a Report il 6 maggio 2012
Paolo Mondani

FEDERICO DE ROSA SUL CORRIERE DI STAMATTINA
MILANO — La bomba derivati piomba sul Montepaschi: fa crollare il titolo di oltre il 6%, getta un cono d’ombra sui conti dell’istituto per perdite che potrebbero arrivare fino a 740 milioni nel bilancio 2012 e apre scenari inediti sulla gestione dell’ex presidente oggi alla guida dell’Abi, Giuseppe Mussari. Il quale in seguito alle rivelazioni de Il Fatto Quotidiano sull’operazione in derivati denominata «Alexandria», in serata ha dato le dimissioni «con effetto immediato e in modo irrevocabile» dalla presidenza dell’Associazione delle banche italiane. L’ex numero uno di Rocca Salimbeni ha inviato una lettera al vicepresidente vicario dell’Abi, Camillo Venesio, per spiegare i motivi della scelta. «Assumo questa decisione — scrive — convinto di aver sempre operato nel rispetto del nostro ordinamento, ma, nello stesso tempo, deciso a non recare alcun nocumento, anche indiretto, all’Associazione». Il passo indietro sarebbe arrivato dopo un giro di consultazioni in Abi, che però non avrebbe dato un esito univoco. Alla fine, nell’interesse dell’Abi, è arrivato il passo indietro.
Mussari era stato nominato per il secondo mandato alla guida dell’Associazione dei banchieri appena sette mesi fa. La nomina avvenne all’unanimità, come di rito, ma dopo un confronto serrato in cui non erano mancate raccomandazioni alla cautela. Appena un mese prima, infatti, il nome di Mussari era spuntato in un’inchiesta della Procura di Siena sull’acquisizione di Antonveneta. L’istituto venne comprato con un blitz per 10,6 miliardi dal Santander, che appena qualche mese prima l’aveva pagato 6,6 miliardi. Alla fine l’avvocato calabrese è riuscito però a mettere d’accordo il comitato dei saggi e a ottenere la conferma all’unanimità. Nel frattempo al suo posto in Rocca Salimbeni era arrivato Alessandro Profumo. Il quale, ironia della sorte, da numero uno di Unicredit aveva sostenuto l’ascesa di Mussari a Palazzo Altieri, e ora dalla stanza dei bottoni della banca senese sta smontando pezzo per pezzo la passata gestione. E proprio nel corso di questa revisione sarebbe spuntato da una cassaforte il dossier Alexandria: un equity swap realizzato con Nomura per ristrutturare un vecchio derivato della Dresdner in forte perdita, che avrebbe provocato un buco di 220 milioni di euro e un’esposizione nei confronti della banca giapponese di circa 740 milioni. Nei giorni scorsi è venuta fuori un’altra operazione simile, denominata «Santorini» con controparte Deutsche Bank, e ieri è spuntata anche «Nota Italia».
Il passo indietro di Mussari lascia il vertice dell’Abi scoperto in un momento delicato. La carica sarà retta per ora dal vicepresidente Venesio, il quale potrebbe anche tenerla per un tempo più lungo. La procedura di nomina del presidente dell’Abi segue un rito lungo e articolato, ma è la prima volta che l’avvicendamento avviene in seguito a dimissioni. In base al nuovo statuto l’indicazione del presidente toccherebbe ai «piccoli», banche popolari e credito cooperativo. Saranno comitato di presidenza e comitato esecutivo a decidere come procedere.
Federico De Rosa

IL RISCHIO BANCHE IN ITALIA
ROMA — Il terremoto nella banca senese, ha riportato in primo piano la paura per i derivati nel sistema del credito. Anche se la Banca d’Italia continua a rassicurare che la quota degli istituti italiani rappresenta solo l’1,6% del valore complessivo in dollari dei 13 Paesi industrializzati monitorati dalla Bri, la Banca dei regolamenti internazionali. I derivati non sono di per se prodotti pericolosi perché servono a coprire i rischi dei tassi e dei cambi — anche lo Stato ha contratti per 160 miliardi — ma a vedere i danni che possono provocare quando non sono dosati con attenzione è difficile essere così sicuri. Il Monte dei Paschi, che è la sesta banca del Paese, è un caso significativo, anche se potrebbe restare unico di tali dimensioni. Ma ha determinato le dimissioni del numero uno dell’Abi, del rappresentante dei banchieri italiani e bisogna vedere innanzitutto come la prenderanno i mercati e la Borsa e come reagiranno gli altri istituti.
I derivati insomma possono anche essere pericolosi, come hanno potuto toccare con mano i tanti enti locali, anche piccoli, che qualche anno fa si sono lanciati tutti in operazioni complicate e strutturate, magari per finanziare la costruzione di uno stadio comunale, restandone scottati e indebitati. Un caso, il più pesante, vale per tutti: i derivati da 1,68 miliardi risalenti al 2005 del Comune di Milano, messi sotto inchiesta, sfociata nel dicembre scorso con un giudizio di condanna per 4 banche straniere Deutsche Bank, Depfa, Ubs e JPMorgan colpevoli di aver in qualche modo truffato, con contratti ingiustificati o occulti, Palazzo Marino. La pena per gli istituti condannati è stata il pagamento di 90 milioni di euro equivalente ai profitti illeciti dei derivati più un milione a testa a titolo di responsabilità, nonché la detenzione da 6 a 8 mesi per 9 dirigenti. Una vicenda importante, che però ha coinvolto istituti stranieri.
I dati relativi alle aziende italiane, in particolare le maggiori, diffusi dalla Banca d’Italia, come si è detto sono «modesti», sia per quel che riguarda la quota di contratti in essere sia per quel che attiene al rapporto dei derivati con i mezzi propri, che è importante per valutare la solidità e i rischi di stabilità della banca stessa. In cifre assolute, sempre secondo i dati più recenti relativi a giugno 2012, i derivati finanziari registravano un valore lordo di mercato positivo di 259,7 miliardi superiore a quello negativo di 256 miliardi sempre di dollari. Quanto alle diverse tipologie i derivati su tassi di interesse rappresentano l’88,1% del totale, quelli su azioni e su cambi rispettivamente il 2,7% e il 9,2%.
S. Ta.

LA DOPPIA SCALATA DELL’AVVOCATO
ROMA — «È stato per me un grande onore rappresentare le banche in Italia nell’ottica di perseguire l’interesse generale del Paese», dice Giuseppe Mussari chiudendo la lettera di dimissioni dalla presidenza dell’Abi. Un’uscita di scena decisa per non creare imbarazzo e «nocumento» all’associazione ma nella convinzione «di aver sempre operato nel rispetto dell’ordinamento». La decisione di lasciare Palazzo Altieri è arrivata in serata, dopo una giornata cadenzata dalle notizie provenienti dal Montepaschi di cui Mussari è stato presidente per sei anni dall’aprile del 2006 all’aprile 2012. «Non dico nulla», aveva risposto fino a quel momento Mussari con garbo e fermezza a chi gli chiedeva un commento. Era convinto che qualunque cosa avesse detto sulla vicenda dei derivati e dell’accordo segreto tra Mps, ai tempi in cui era presidente, e la banca d’affari Nomura avrebbe dato adito a ricostruzioni per lui inopportune. E quindi preferiva tacere. Da abile avvocato qual è, voleva evidentemente esaminare ogni dettaglio della situazione. In serata poi la decisione di dimettersi. Il susseguirsi di notizie da Siena lo aveva colto mentre era nel suo ufficio a Palazzo Altieri dove ieri si è svolto l’atteso (per l’Abi) incontro con gli ispettori del Fondo monetario internazionale. C’era da difendere le banche italiane sulla scena internazionale, ma forse Mussari ieri aveva comprensibilmente altro per la testa. La vicenda senese rischia di coinvolgerlo in un’azione di responsabilità da parte dello stesso Montepaschi, ferma restando la minaccia ancora più grande, finora rimasta sotto traccia, degli esiti dell’inchiesta giudiziaria avviata un anno fa sull’operazione Mps-Antonveneta. Un acquisto fatto sotto la sua regia, salutato come un atto di grande maestria ma poi considerato la causa del declino dell’antica e storica banca cittadina.
Mussari, cinquant’anni, calabrese di Catanzaro con mamma senese è arrivato nella città del Palio per studiare giurisprudenza. Avvocato penalista, vicino al Pci prima e al Pds e Pd poi, ha gradualmente preso le distanze dalla politica una volta fatta la scelta di diventare banchiere nel 2001 con la nomina al vertice della Fondazione Mps, allora azionista di assoluta maggioranza della banca di cui è diventato presidente dopo cinque anni. Nel 2010 è stato chiamato a guidare l’Abi dove è stato riconfermato all’indomani delle dimissioni da Mps, sostituito da Alessandro Profumo, suo sponsor nella corsa alla presidenza dell’Associazione. Dove si è adoperato per promuovere accordi coi consumatori e per assumere iniziative assieme a Confindustria e le altre associazioni imprenditoriali. La crisi, e gli scandali, del Monte però lo hanno inseguito.
Stefania Tamburello