Rinaldo Frignani, Corriere della Sera 23/01/2013, 23 gennaio 2013
ADDIO «FEBBRE DA CAVALLO», QUATTRO IPPODROMI CHIUSI —
Solo pochi mesi fa pensavano che l’ippica avesse raggiunto il suo anno zero. Non era così. Era peggio: lo sport in cui un tempo nemmeno tanto lontano l’Italia era seconda solo all’Inghilterra (e molte volte l’ha anche superata) doveva scendere ancora più in basso. Un’agonia breve e dolorosa che oggi trascina con sé allevatori, allenatori, fantini, driver e migliaia di addetti ai lavori insieme alla memoria storica di un mondo che ha portato purosangue italiani come Varenne e Ribot a vincere ovunque.
L’ultimo ippodromo in ordine di tempo che chiuderà i battenti sarà a fine mese Tor di Valle (quello di «Febbre da cavallo», Soldatino e delle mandrakate), preceduto da San Siro, Agnano e Livorno. Attualmente all’ippica spetta solo l’1,2% del giro d’affari da 80 miliardi di euro l’anno che ruota attorno ai giochi e alle scommesse. Pochi anni fa poteva contare sul 70%. Un quadro desolante. Preoccupante per chi ci lavora (oltre 50 mila persone) e per i cavalli da corsa (15 mila). L’altro ieri, sotto alla sede dei Monopoli, l’Assogaloppo ha dato vita a una nuova manifestazione del settore, chiedendo la riforma delle scommesse. E i responsabili dell’Aams hanno sottoscritto un documento nel quale c’è l’impegno affinché il nuovo regolamento venga sottoscritto dai ministri delle Finanze e delle Politiche agricole. Un primo successo, e di questi tempi non è poco. «Speriamo che ci sia una ripresa — spiega Fabio Carnevali, presidente dell’Assogaloppo —, il fatto è che ci vogliono distruggere. La crisi non c’entra niente: le scommesse sono in attivo e all’estero l’ippica continua a essere seguita con successo. In Francia le puntate sono aumentate del 5% e il trend è in crescita da cinque anni». Non un problema legato all’ambiente, ma a chi ha voluto stravolgerlo. «Non abbiamo nemmeno un punto di riferimento istituzionale dopo la soppressione dell’Unire, poi Assi (l’Agenzia per lo sviluppo del settore ippico). E pensare che con l’ex ministro Zaia avevamo preparato un piano di rilancio rimasto in un cassetto. Speriamo che lo aprano, ma forse è troppo tardi».
L’ultima mossa per arrestare la caduta libera. Solo a Roma sono decine le scuderie costrette a chiudere. «Soprattutto quelle medie — spiega un allenatore di Capannelle —. Sono rimaste le cinque-sei che possono permetterselo e quelle più piccole, con uno o due cavalli, magari con gli amici per dividersi le spese. Il montepremi è calato al punto che non ci si rientra nemmeno». Parte delle corse di Agnano sono state dirottate a Roma, quelle di Livorno si corrono a Pisa.
«Ci ha tradito chi gestiva i punti vendita delle scommesse — riprende Carnevali —. Hanno permesso a costo zero di poter puntare prima su altri sport e poi su altri giochi, anche d’azzardo. La nostra pubblicità è scomparsa, siamo noi a doverla pagare, e la tassazione sulle giocate è altissima (il 40% sulla corsa Tris). Così il pay-out è molto basso». Secondo l’Assogaloppo negli ultimi 4-5 anni il montepremi è calato da 275 milioni di euro a meno di 100, e agli ippodromi — per la gestione delle corse — sono toccati meno di 60 milioni rispetto ai 110 del passato. «Un attacco su più fronti, uno sfacelo voluto e non casuale. Hanno perfino cercato di trasformare gli ippodromi in casinò, senza riuscirci», protesta Carnevali.
Gli scommettitori prediligono il mercato nero, i siti Internet stranieri. E anche fantini, driver e allenatori preferiscono espatriare. Un’emorragia continua. «La ricetta sarebbe quella di poter puntare a quota fissa, il vecchio picchetto, e abbassare il prelievo fiscale. Ma serve la volontà di farlo», propone il presidente dell’Assogaloppo. Come quella di salvare i cavalli dalla macellazione. «Noi non lo faremo mai — avverte Carnevali —. Ma quando siamo costretti a regalarli, come facciamo a sapere che fine faranno?».
Rinaldo Frignani