Sergio Rizzo, Corriere della Sera 23/1/2013, 23 gennaio 2013
Inutile negarlo: per il Pd la vicenda dei derivati che sarebbero stati sottoscritti «segretamente» nel 2009 dal Monte dei Paschi di Siena, con le conseguenti dimissioni di Giuseppe Mussari dalla presidenza dell’Abi, adesso proprio non ci volevano
Inutile negarlo: per il Pd la vicenda dei derivati che sarebbero stati sottoscritti «segretamente» nel 2009 dal Monte dei Paschi di Siena, con le conseguenti dimissioni di Giuseppe Mussari dalla presidenza dell’Abi, adesso proprio non ci volevano. Non in piena campagna elettorale. Non quando c’è in ballo pure il voto al Comune di Siena, roccaforte diessina prima e democratica poi, dal mese di giugno 2012 senza giunta dopo che il Pd locale si è dilaniato proprio a causa della banca. Ma l’imbarazzo in questo caso era inevitabile. Sappiamo che le privatizzazioni non hanno fatto uscire del tutto la politica dalle banche. Attraverso le Fondazioni, che ne controllano quote cospicue, i partiti continuano in qualche caso ancora a condizionarne le scelte. C’è perfino chi teorizza il diritto della politica a farlo. Un paio d’anni fa il leader leghista Umberto Bossi emanò il seguente editto: «Le banche più grosse del Nord avranno uomini nostri a ogni livello». E certo a Piero Fassino resterà per sempre appiccicata quella sciagurata domanda («Abbiamo una banca?») sfuggitagli al telefono con Giovanni Consorte durante la scalata dell’Unipol alla Bnl… Nel Montepaschi, però, la presenza della politica non è relegata a una partecipazione di minoranza, per quanto di peso, come accade a Unicredit o Intesa San Paolo. E neppure a una battuta tanto infelice quanto innocua. La banca senese è controllata da una Fondazione, a sua volta controllata dal Comune, a sua volta feudo Pd: prima appunto che gli ex margheritini e gli ex diessini litigassero ferocemente a proposito del destino del Monte e di certe poltrone. I sindaci che negli ultimi vent’anni hanno preceduto il dimissionario Franco Ceccuzzi, erano anche dipendenti del Monte. A dimostrazione di un rapporto simbiotico fra città, banca e partito. Oltre a rappresentare una seria ipoteca sullo sviluppo, viste le tante discutibili operazioni del passato dettate dalla politica, una presenza così forte dei partiti ha riflessi sulla gestione. Quando qualche mese fa è arrivato, l’attuale presidente Alessandro Profumo ha trovato nelle controllate una trentina di caselle occupate con nomine politiche. Il Monte è una società quotata in borsa: ma finora non c’è stato verso di convincere la politica a fare un passo indietro. E adesso i nodi vengono al pettine, nel momento peggiore. Servirà almeno di lezione?